Intervento di Michele Vietti, Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, alla conferenza “Il Giusto rapporto tra giurisdizione e mediazione” del 19 ottobre 2012:
È giudizio ormai condiviso che il crescente interesse che gli ordinamenti dimostrano per le pratiche di risoluzione alternativa delle controversie dipende in larga misura dal profondo mutamento del contesto sociale e giuridico in cui si collocano e da cui è condizionato il contenzioso civile.
La globalizzazione ha messo in crisi i modelli della contrattazione classica, sostituendoli con uno assai più fluido e indistinto, di cui il contratto classico non riesce più a definire gli esatti confini. Ne deriva che sulla giurisdizione si è progressivamente scaricato il sempre più gravoso onere di offrire una risposta ad una domanda di giustizia frammentata e generata da una micro-conflittualità che non riesce ad essere catalogata negli schemi classici del contenzioso.
Di contro, al giudice e’ sempre più richiesta una competenza di tipo specialistico, necessaria per poter dirimere i conflitti che, sebbene sovente di non rilevante importo economico, tuttavia impongono la conoscenza di normative sempre più dettagliate.
L’ultimo fattore di questa tendenza va individuato nella trasformazione dello Stato che, negli ultimi anni, dal modello centralistico di Stato-soggetto, espressione di un potere che si occupa anche della risoluzione dei confliti tra i cittadini, si è trasformato in uno Stato-funzione, che ha delegato importanti funzioni ad un livello di governo più decentrato. Ciò che ha determinato sul fronte giurisdizionale una proliferazione di istanze di giustizia legate all’applicazione di fonti normative di secondo o terzo livello, con evidente sovraccarico per il sistema giudiziario che è invece rimasto centralizzato, sia come organizzazione che come regolazione.
Per affrontare seriamente la nuova situazione credo sia indispensabile promuovere forme di tutela che non si risolvano nella lettura ”tribunale-centrica” dell’art. 24 Cost., pena la paralisi del sistema. Il ricorso alla giurisdizione va considerato un estremo rimedio, esperibile solo allorquando ogni altro mezzo di risoluzione del confilitto e’ stato tentato.
E’ quindi necessario implementare modelli di tutela non giurisdizionali, interni a settori economici o sociali che possano assumere di volta in volta le forme di un sistema (anzitutto capace di enforcement al suo interno). Dunque, il tema delle alternative delle quali ci occupiamo oggi e’ il modello vincente.
Vorrei provare a spiegare le ragioni per questo mio voto di preferenza, espresso appunto per un sistema nuovo di ADR, nel quale si iscrive anche la media conciliazione recentemente introdotta nel nostro ordinamento.
Anzitutto, fondamentale per il successo del de-centramento giudiziale, è la ricerca di soggetti muniti di competenze specifiche, elevate, riconoscibili come tali dagli attori che popolano la scena di settore: dunque, mi sembra di dover escludere l’opzione verso emuli del magistrato generalista, che in passato non ha dato buona prova di se’ – sia in termini di qualità che di efficienza del prodotto reso – tanto che anche l’organizzazione magistratuale va oggi sempre più strutturandosi per comparti di esperienze specialistiche (penso al Tribunale delle imprese come più recente affermazione di tale trend).
In prima approssimazione vorrei far notare come nel novero dei gestori di ADR l’art. 5 del d.lgs. 28/2010 sulla media-conciliazione elenca soggetti funzionalmente distinti ma il ricorso ai quali è ritenuto in eguale misura soddisfare la condizione di procedibilità ai fini del giudizio da promuovere presso l’A.G.
Per quanto attiene agli organismi di conciliazione, il deficit più evidente (non a caso pertinente pure alle note questioni di cui sono investite la Corte costituzionale e quella dell’UE) è che non se ne preveda un catalogo ministeriale che ne favorisca la specializzazione (viceversa l’idea era il cardine nei regolamenti attuativi della Riforma del diritto societario sugli organismi lì previsti), con il rischio di contribuire alla formazione di mediatori generalisti.
Sennonché, a mio avviso, è necessario che almeno il mercato dei servizi di media-concliazione vada strutturandosi sopra organismi settoriali, e non potrà che essere soltanto una svolta simile a imporre l’effettività di una misura che talora è vissuta ancora dagli attori del processo civile come adempimento burocratico. Correggerà la mano invisibile del mercato -penso- la deficienza normativa di origine.
Il modello vincente di risoluzione alternativa delle controversie ha quindi certamente dalla sua parte questo primo fattore decisivo: la specializzazione, il sapere specialistico.
Ma è altrettanto importante considerare che solo con una preparazione tecnica ed una capacità di persuasione adeguata al livello di contenzioso trattato, i mediatori potranno guadagnarsi quella autorevolezza che, ben al di la’ della mera obbligatorieta’ del procedimento, sara’ un fattore decisivo per il successo dell’istituto.
Ciò che va comunque ribadito con forza è che in un contesto in cui il contenzioso civile ha raggiunto numeri intollerabili e tempi così lunghi da aver condotto l’Italia ai primi posti per numero di condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, la mediazione, come del resto gli altri sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, si pone oggi non come un utile esercizio di stile legislativo, ma come uno strumento indispensabile per affrontare la crisi della giustizia.
Anche dall’appena pubblicato rapporto 2012 della commissione sullo studio dei sistemi giudiziari europei (CEPEJ) emerge che la domanda di giustizia civile in Italia e’ la più alta d’Europa; e tuttavia che per la prima volta i giudici italiani si collocano al primo posto per la produttività.
Quindi mi sembra confermato che le cause dell’inefficienza non sono legate tanto all’impegno dei giudici, ma risalgono a limiti strutturali e a complessita’ dell’organizzazione giudiziaria; e che l’introduzione di meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie e’ uno dei rimedi per invertire una tendenza ormai intollerabile per uno Stato moderno.