1 . Premessa
Il presente scritto costituisce un contributo alla disamina e alla valutazione dell’incidenza, a distanza di circa otto anni, dell’istituto della mediazione, introdotta nel nostro Paese con il decreto legislativo 28/2010, sulla Giustizia Civile.
Com’è noto, specialmente ai cultori della mediazione, il valore dell’Istituto consiste in primo luogo nell’efficace azione di pacificazione sociale che costituisce l’architrave di una nuova vi-sione della risoluzione dei conflitti che la mediazione dischiude; andandosi ad affiancare all’insostituibile e necessaria (ma non sempre) azione della magistratura e dell’avvocatura nella tradizionale modalità (giudiziale) di risposta alla domanda di giustizia attraverso i giudizi di co-gnizione e di esecuzione forzata.
Tuttavia in un’epoca nella quale è diventato cogente l’imperativo di contrastare quella che è stata definita, con felice sintesi di uno dei più gravi mali italiani, la giustizia-lumaca, occorre, quanto meno per finalità ulteriore a quella testé indicata, esaminare anche se e in che modo la mediazio-ne possa contribuire -e di fatto stia contribuendo- alla risoluzione di questo grave problema, che vede l’Italia additata e condannata anche all’estero per l’eccessiva durata delle cause.
2 . E’ opportuno partire dalla relazione del Ministro della Giustizia sull’ amministrazione della giustizia per l’anno 2016 ai sensi dell’art.86 del RD 30.1.1941 n.12, pubblicata nel sito del Ministero
Per quanto riguarda i dati del contenzioso civile si legge ivi che le pendenze dei fascicoli civili alla data del 30.6.2016 ammontavano al ragguardevole numero di 3.820.935, mentre le iscrizioni annuali (da intendersi dal 30.6.2015 al 30.6.2016) risultano pari a 3.472.590
Poiché tali numeri riguardano una congerie di affari (che vanno dalla cognizione all’ esecuzione, dalla volontaria giurisdizione alle procedure concorsuali etc.) è opportuno concentrare l’attenzione sulla cognizione e sul contenzioso ordinario puro che espone i seguenti numeri:
2014-2015 – cause iscritte : 224.390
2015-2016 – cause iscritte : 257.069
A fronte di tali “entrate” i procedimenti definiti nei rispettivi periodi ammontano a
2014-2015 – cause definite : 266.391 ( + 42.001)
2015-2016 – cause definite : 270.084 ( + 13.015)
Le pendenze al 30 giugno 2015 erano 654.697
Le pendenze al 30 giugno 2016 erano 643.047
Va evidenziato, quale fattore positivo, che il numero di cause definite nel periodo (sia con lo strumento tradizionale, cioè le sentenze e sia attraverso i sistemi A.S.R. ) è maggiore del nume-ro di cause iscritte nel medesimo periodo. Ciò sta a significare che il sistema giudiziario è in grado da qualche anno di aggredire l’arretrato. Se lo smaltimento dei fascicoli conservasse il trend dell’ultimo anno per azzerare l’arretrato ne-cessiterebbero 49 anni (643.047 : 13.015) che non sembra un tempo di attesa accettabile.
Da quanto sopra emerge con tutta evidenza ed in modo irrefutabile che il Sistema Giustizia allo stato delle cose NON è in grado di affrontare il grave problema, di cui in premessa, cioè la dura-ta eccessiva delle cause. Tale fatto contiene anche un altro dato importante che è quello dell’eccesso di cause civili, e dell’impossibilità, nonostante il conclamato impegno lavorativo dei giudici italiani, di risolvere il problema rebus sic stantibus. Si può pensare a soluzioni esterne al sistema, ovvero ad un approccio che comporti un diverso e migliore utilizzo dei mezzi e delle risorse (non solo materiali, ma anche normative) esistenti.
Sotto il primo profilo si potrebbe pensare alla creazione di sezioni dedicate allo smaltimento dell’arretrato , mentre è del tutto illusoria la strategia, che sembra la più amata dal legislatore, di manipolazioni del codice di procedura civile (cfr. il recente tentativo di introdurre per tutte le cause civili in cui il giudice decide monocraticamente il procedimento sommario di cui all’art.702 bis cpc), perché tale approccio non vede che il problema non è rappresentato dalle norme processuali, ma dalla eccessiva mole dei ruoli di cui ogni giudice è gravato.
3 . Il ruolo degli strumenti alternativi (alla causa, ADR) ed alla sentenza (ASR)
Le statistiche della mediazione pubblicate dal Ministero della Giustizia per il periodo 1 gennaio – 30 giugno 2017 contengono novità e miglioramenti. Il significato delle statistiche va valutato con cautela in quanto è molto facile che siano presenti inadeguatezze – talvolta finanche rese palesi- nell’acquisizione e nell’elaborazione dei dati. La ragione di tale imprecisione deriva da vari fattori. Allo stato, non avendo ancora il Ministero della Giustizia attivato alcuna rilevazione presso gli uffici giudiziari del lavoro svolto e dei provvedimenti emessi dai giudici nell’ambito dell’ A.S.R., l’unico canale di acquisizione dei dati proviene dagli organismi di mediazione. Dati che però sono parziali e spesso fuorvianti.
E’ infatti lo stesso Ministero, nella pubblicazione di cui trattasi, che avverte (pag.2) che gli organismi rispondenti nel II ° trimestre 2017 sono (solo) n.453 su n.700. Tale circostanza, dovrebbe indurre il Ministero ad avviare ciò che ormai costituisce una richiesta, corale quanto inascoltata, dei giudici, vale a dire la rilevazione dei provvedimenti di tale genere emessi. Operazione che potrebbe essere effettuata dal Ministero immediatamente attraverso una disposizione (temporanea) impartita alle cancellerie di registrare, in modo non telematico, i provvedimenti emessi dai giudici in tema di mediazione ex art. 5 decr. lgsl. 28/2010 e di proposta ex art. 185 bis e in via stabile e a regime, attraverso l’aggiornamento del sistema in-formatico SICID.
In alcuni uffici giudiziari, come presso la Corte di Appello di Bari, sono state nel frattempo introdotte buone prassi, registrate nel sito del Ministero della Giustizia, che, con l’ausilio del DI-GISIA locale, fanno emergere a livello telematico, rendendoli visibili e computabili, tali provvedimenti. L’attivazione a livello nazionale di un’appropriata rilevazione dei provvedimenti ASR dei giudici da parte del Ministero della Giustizia costituirebbe un grandissimo contributo alla implementazione dell’utilizzo degli strumenti alternativi alla sentenza, quale modo di definizione dei conflitti giudiziari, in quanto consentirebbe e produrrebbe:
– un formidabile impulso all’utilizzo degli strumenti alternativi alla sentenza da parte dei giudici, allo stato frenato dalla prospettiva poco allettante di non vedere riconosciuto il lavoro e l’impegno profusi nella definizione alternativa delle liti. E’ opportuno, a tale riguardo, segnalare il grave e incombente inconveniente che si sta profilando e che incombe negativamente sull’utilizzo e sull’incremento dell’utilizzo della mediazione (demandata) e della proposta ex art. 185 bis cpc da parte dei giudici. In un primo momento la vera sfida è stata quella di coinvolgere la magistratura civile nell’utilizzo degli strumenti alternativi di cui trattasi. Questo obiettivo si sta raggiungendo nel senso che seppure con una distribuzione a macchia di leopardo, ormai in quasi tutti gli uffici giudiziari italiani e non solo in quelli di primo grado (vedi esperienze in atto presso la Corte di Appello di Milano e di Napoli) mediazione e proposta del giudice vengono usual-mente praticati. Il problema (che ha del paradossale) che si sta profilando è che proprio quei giudici che hanno utilizzato con maggiore intensità gli strumenti A.S.R. hanno visto, correlati-vamente, con l’abbreviarsi dei tempi di decisione, anche il crollo del numero delle sentenze re-se nell’anno, se confrontato con i giudici che hanno poco o niente utilizzato gli strumenti A.S.R. Poiché com’è stato ampiamente illustrato nell’articolo di cui alla nota 7 tutto il sistema di valuta-zione del lavoro dei magistrati (carriera, possibilità di svolgere incarichi extragiudiziari, etc.) è tutt’ora imperniato sul numero di sentenze emesse (che peraltro è l’unico dato lavorativo co-noscibile agevolmente), è di ovvia e lampante evidenza la tragica conseguenza che deriva dalla mancata acquisizione (e conseguente impossibile valutazione da parte di chi spetti, CSM, etc) degli indicatori di lavoro dei giudici nella materia ASR: la inevitabile dissuasione ed il freno dall’utilizzo degli strumenti ASR;
– la possibilità di acquisire informazioni molto precise, ed alla fonte (ad es. il dato dichiarato dal Ministero di un modestissimo 9% di mediazioni demandate “pure”, di cui infra, è infatti poco plausibile).
Quanto ancora alla frammentarietà dei dati statistici, è ancora lo stesso Ministero a ricordare (pag.2) le turbolenze che hanno interessato la mediazione (dal 13.12.2012 al 30.9.2013 sospesa l’obbligatorietà a seguito della sentenza della Corte Costituzionale; dal 20.9.2013, fuoriuscita della materia della RCA da quelle obbligatorie di cui all’art.5 comma 1 bis decr. lgsl. 28/2010). L’esame delle rilevazioni statistiche è tuttavia di grande interesse e utilità se più che i dettagli si considerano le tendenze che i dati in esse considerati evidenziano.
Per cominciare occorre allora affermare che il trend delle mediazioni (inteso sia come numero di procedure iscritte e sia come accordi raggiunti) è stabile ed in crescita, sia pure con diverse intensità a seconda del tipo di mediazione. Invero nel 2016 le iscrizioni delle domande di mediazione hanno raggiunto il numero di 183.977 di poco inferiore al numero del 2015 (196.247).
I risultati delle procedure di mediazione: dal 2014 le statistiche del Ministero espongono separatamente l’esito della mediazione quando le parti accettano di proseguire oltre il primo incontro (vale a dire quando si svolge – secondo la giurisprudenza unanime- la vera mediazione). La serie storica mostra le seguenti percentuali di accordi:
2014 47 %
2015 43,5 %
2016 43,6 %
2017, 1° sem. 42,4 %
Ciò relativamente alle seguenti percentuali di “aderente comparso e partecipante”
2014 40,5 %
2015 44,9 %
2016 56,4 %
2017, 1° sem. 48,6 %
E’ particolarmente interessante notare che la serie storica elaborata dal Ministero per il periodo 1° aprile – 30 giugno 2017 (sempre relativamente al caso di aderente comparso e parteci-pante) attesta che la percentuale di accordi NON E’ MAI SCESA AL DI SOTTO DEL 40%, rimanendo più o meno fissa al 42-43 %. La distribuzione per tipologia di mediazione, pone al primo posto la mediazione obbligatoria con n.138.127 domande nel 2016 (a fronte di n.151.469 domande nel 2015 e n.131.360 domande nel 2014) ed al secondo posto quella demandata con n. 19.128 domande nel 2016, n.18.062 domande nel 2015 e n.7.699 domande nel 2014). A seguire mediazione volontaria e obbligatoria in quanto prevista da clausola contrattuale.
Di particolare interesse sono le rilevazioni del Ministero relative alla mediazione demandata dal giudice, dove si colgono le più rilevanti novità del lavoro svolto dalla Direzione Generale di Statistica a far tempo dal II° trimestre 2016. Ed invero da tale data per la tipologia mediazione demandata dal giudice è stata introdotta la suddivisione fra demandata dal giudice per le materie NON obbligatorie (questa è la vera , ed a rigore unica figura di mediazione demandata prevista dall’art.5 co. II° decr.lgsl.28/2010) e demandata dal giudice per improcedibilità (che è quella di cui all’art.5 co.1 bis del decr.lgsl.28/2010 per il caso che in giudizio sia rilevata o eccepita il mancato esperimento della mediazione obbligatoria nelle materie di cui all’art.5 1 bis).
Ebbene, sia pure la relativa statistica, per la sua recente introduzione, si riferisca ad un solo anno, il risultato lascia perplessi. Secondo tale rilevazione, solo il 9% del numero complessivo delle mediazioni demandate del pe-riodo aprile 2016 – giugno 2017 è costituito dalla mediazione vera (cioè demandata dal giudi-ce per le materie NON obbligatorie). Invero il dato è poco plausibile perché NON è il frutto di una rilevazione, che assicurerebbe correttezza e certezza, effettuata presso gli uffici giudiziari, ma attraverso le parziali risposte de-gli organismi di mediazione, che verosimilmente in molti casi confondono la natura della media-zione “proveniente” dal giudice.
In ogni caso il dato, quale che sia l’esatta consistenza, la dice lunga su quanto sia ancora lunga la strada per l’effettiva diffusione generalizzata fra i giudici della cultura della mediazione, e della importanza strategica che ancora oggi svolge la mediazione obbligatoria, per fortuna ormai non più a tempo, ma stabilizzata dal recente intervento del legislatore (decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2017, n. 96). Questa diffidenza nei confronti della mediazione si fonda pressoché esclusivamente sul retaggio culturale della logica del conflitto tradizionale, con le sue dinamiche dell’antagonismo e della decisione imposta dal giudice; il cui superamento, com’è facile comprendere, richiederà molto tempo e un capillare e paziente lavoro didattico per la diffusione della conoscenza dei nuovi pre-gnanti valori di pacificazione sociale (oltre che di rapido mezzo di definizione dei conflitti ) che la cultura dell’accordo e della pacificazione rappresenta e promuove.
Se si prescinde dalla spiegazione “culturale”, l’indifferenza di larga parte della magistratura nei confronti della mediazione è spiegabile solo con la perdurante assenza di considerazione di tale lavoro dei magistrati, a sua volta derivante dalla mancata attivazione da parte del Ministero della Giustizia di un sistema nazionale (a mezzo SICID in suo delle cancellerie) di rilevazione dei provvedimenti emessi dai giudici in materia di mediazione demandata e 185 bis cpc e non sol-tanto, peraltro solo quanto ai primi, mediante richiesta agli Organismi di mediazione (operazione del tutto insufficiente, come ammesso dallo stesso Ministero che ricorda come un gran numero di organismi non hanno risposto alla richiesta finalizzata alle rilevazioni statistiche).
Occorre quindi adoperarsi affinché gli ostacoli di natura culturale e organizzativa siano superati. Il contributo che la mediazione può dare allo smaltimento delle cause è sorprendentemente poco attenzionato. Vale evidenziati alcuni dati :
– i procedimenti iscritti presso i Tribunali ordinari relativi ai codici oggetto inerenti la media-zione rappresentano mediamente l’8% del totale dei procedimenti iscritti nel civile (così attesta l’Ufficio Statistiche del Ministero della Giustizia, cfr. grafico allegato alle statistiche dell’anno 2015);
– le materie della mediazione obbligatoria costituiscono solo l’8% del contenzioso ordinario (così attesta l’Ufficio Statistiche del Ministero della Giustizia, cfr. grafico allegato alle statistiche dell’anno 2015);
– l’incidenza della diminuzione del contenzioso ordinario registrata dall’Ufficio Statistiche del Ministero è significativa (- 16% per le materie oggetto di mediazione obbligatoria rispetto ad un – 8% per il restante civile, cfr. grafico allegato alle statistiche dell’anno 2015);
– se la parte convocata aderisce all’invito, la percentuale di successo delle mediazioni è del 43% (2017);
– l’attuale (2017) percentuale di adesione all’invito è attestata al 49%;
– la percentuale assoluta di accordi delle procedure di mediazione è quindi (49 x 43 %) del 21% ;
– un accordo in mediazione equivale, quanto meno tendenzialmente, ad una causa in meno introdotta ;
– poiché nel 2016 il numero di iscrizioni delle domande di mediazione è di 183.977 ne consegue che la mediazione produce una diminuzione delle cause dell’ordine di grandezza di quasi 39.000 cause in meno (21% di 183.977).
Conclusione
Con un allargamento delle materie obbligatorie e con un uso ben più intenso e diffuso della mediazione demandata da parte del Giudice, propugnabile con la rilevazione da parte del Ministero della Giustizia, dei provvedimenti (art. 5 co. II decr. lgsl. 28/2010 e art. 185 bis proposta) dei giudici, la società italiana conseguirebbe due risultati: minor conflittualità quale conseguenza di un’opera di pacificazione posta in essere dai protagonisti del sistema Giustizia (magistrati ed avvocati in primo luogo) ed una drastica diminuzione delle cause e della loro durata.
Massimo Moriconi
Giudice del Tribunale di Roma
2 commenti
Roma-Ostia, 25.11.2011 – DUEMILAUNDICI
Convegno, “Mediazione: profili operativi e problematiche applicative”
Intervento del Dr. … , giudice del Tribunale di Roma
“Mettiti d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché egli non ti consegni al giudice e il giudice non ti consegni alle guardie e tu non sia messo in prigione”.
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E’ l’esortazione di Gesù, riportata nel Vangelo secondo Matteo coerente con il messaggio di amore verso il prossimo, di pace, di riconciliazione e di perdono che pervade la predicazione pubblica del Cristo in tutto il Nuovo testamento. All’epoca Gesù il diritto imperante nei territori della Giudea era quello romano e, a voler (“absit iniura verbis”) laicizzare quel precetto con l’occhio travisato del giurista, si può anche essere presi dalla tentazione di tradurlo nel senso che già duemila anni fa si riteneva preferibile concludere un rapido accordo con l’avversario piuttosto che correre il rischio di affrontare e subire le statuizioni della giustizia di Roma.
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Se la “ratio” della legislazione sulla mediazione, entrata in vigore in Italia duemila anni dopo la parola del Vangelo di Matteo, è suscitare nei cittadini i buoni sentimenti del procedimento reciproco e della riconciliazione per evitare di incorrere nelle maglie, nell’alea, nelle conseguenze e nei tempi, talvolta biblici, della macchina della giustizia italiana, allora pare che il legislatore abbia colto in pieno il senso irenico del messaggio evangelico. Peccato però, stavolta in senso ironico, che tra i soggetti più accreditati al ruolo di mediatore non siano stati indicati i parroci, o i preti o le associazioni di uomini religiosi avvezzi per vocazione, “gratis et amore dei”, a ricondurre sulla retta via le anime e, quindi, particolarmente dotati della forza spirituale di persuasione morale indispensabile nel tentativo di ammansire gli animi riottosi di potenziali contendenti in lite.
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Abbandonato il celio e fuor di ogni metafora, appare evidente che l’intento del legislatore italiano, ben lungi dalle ispirazioni del messaggio evangelico per la salvezza delle anime dei singoli, è stato quello di voler alleggerire il carico della giustizia civile introducendo la mediazione quale istituto già operante in diverse realtà europee. Non necessariamente, però, l’adeguamento del diritto interno agli usi e costumi di altri paesi europei rappresenta la giusta soluzione del problema.
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Non lo è certamente nel caso della mediazione in quanto la sua declinazione legislativa ha prodotto una cesura netta rispetto all’impianto dei principi costituzionali dettati per l’ esercizio della giurisdizione, perché produce una deviazione culturale ed un’anomalia profonda rispetto alla millenaria tradizione giuridica italiana che affonda le proprie radici nel diritto romano, perché introduce un ulteriore onere ed ulteriori costi a carico di chi intenda ottenere una pronuncia giurisdizionale, perché crea interferenze e condizionamenti pericolosi tra giurisdizione e mediazione, con il rischio che la giurisdizione si appiattisca in larga parte sulla mediazione. Per stabilire se la mediazione avrà concreto successo nell’applicazione pratica è quanto mai opportuno comprenderne la vera portata.
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Al di là dell’intento di deflazione delle liti, tutto da dimostrare, il rischio concreto che si corre con la mediazione, figlia del D.Lg.vo n. 28/2010, è quello di produrre una metamorfosi del sistema affidando in prima istanza i litiganti ad una gestione psicologica piuttosto che giuridica della lite. La mediazione pone alle parti una concreta alternativa alla giurisdizione, senza le garanzie della giurisdizione come cristallizzate nella Costituzione. La mediazione può di fatto destrutturare e ridimensionare la funzione sociale della giurisdizione. Bisogna capire se la scelta del legislatore di affievolire sensibilmente la consistenza del diritto dei singoli di agire in prima istanza innanzi al proprio giudice naturale sia un’operazione utile al buon funzionamento della macchina della giustizia. Bisogna chiedersi se il sistema della giustizia civile con l’introduzione della mediazione può migliorare in termini di efficienza, rapidità e competenza delle decisioni, tenuto conto della conclamata necessità, nel periodo di profonda crisi che stiamo vivendo, di una riforma della giustizia civile che rassicuri anche le aspettative dei mercati e degli investitori internazionali.
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La prima sensazione che si ha, agli albori applicativi dell’istituto della mediazione, è quella di un ulteriore ostacolo e passaggio costoso che appesantisce, a detrimento della parte economicamente più debole, l’iter procedimentale per giungere ad una pronuncia giurisdizionale.
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La seconda sensazione è che il sistema esteso di mediazione obbligatoria sia in stridente contrasto con i principi costituzionali che presiedono all’esercizio della giurisdizione. L’art. 102 della Costituzione Italiana affida la funzione giurisdizionale ai magistrati ordinari e vieta l’istituzione di giudici straordinari o di giudici speciali. I magistrati sono nominati a seguito di concorso. L’art. 111 della Costituzione afferma che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge nel rispetto del contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti al giudice terzo ed imparziale. L’art. 25 della Costituzione garantisce che nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. L’art. 24 della Costituzione consente a tutti di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, essendo la difesa assicurata come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. La semplice enunciazione di tali articoli della Carta Fondamentale dei diritti e della convivenza democratica della Repubblica italiana fa sorgere dubbi di costituzionalità delle norme dettate in materia di mediazione obbligatoria, poiché un rilevante gruppo di materie, e quindi, di diritti soggettivi ad esse connessi, sono sottratti all’immediato vaglio del giudice naturale precostituito per legge, e sono affidati in prima istanza ad un soggetto, il mediatore, del tutto estraneo all’ordinamento giudiziario. Il mediatore così diventa il primo soggetto al quale obbligatoriamente si deve affidare chi intenda far valere in giudizio diritti soggettivi riconosciuti dall’ordinamento. Ma il mediatore non è minimamente assimilabile ad un giudice o ad un arbitro terzo ed imparziale. Il mediatore deve fornire un parere e proporre una soluzione per comporre la controversia anche prescindendo dall’applicazione del diritto in senso tecnico, ovvero dalla valutazione tecnica della fondatezza giuridica delle pretese, delle domande e delle eccezioni delle parti alla stregua del diritto vigente civile, sostanziale e processuale.
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La mediazione può essere esercitata, quindi, anche in modo del tutto a-giuridico o meta-giuridico, rappresentando indubbiamente un’attività di supporto psicologico alla gestione del contrasto tra le parti ma senza garantire alle parti l’applicazione del diritto sostanziale e processuale. Il mediatore è libero nelle sue determinazioni, mentre il giudice è “schiavo” della legge, perciò il mediatore è esposto molto più del giudice, pagato dallo Stato, al rischio di corruzione, dovendosi auspicare di non assistere al fenomeno della “vendita” al miglior offerente di pareri o di proposte di mediazione ben motivati e capaci di condizionare anche l’eventuale pronuncia giurisdizionale in caso di impulso all’ulteriore corso del giudizio. A ciò si deve aggiungere che il panorama delle soluzioni di mediazione può essere il più variegato possibile, tenuto conto delle peculiarità dell’organismo di mediazione e dell’estrazione culturale e professionale del mediatore. In questo quadro è evidente che una soluzione di mediazione elaborata da un avvocato può essere molto ben motivata anche dal punto di vista dell’applicazione del diritto e del corredo dei precedenti giurisprudenziali, e può condizionare in modo rilevante anche il giudice qualora la mediazione non sfoci nell’accordo “ante causam”.
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Altro punto estremamente delicato, sotto il profilo della compatibilità costituzionale delle norme sulla mediazione, è l’utilizzabilità del parere del mediatore da parte del giudice, il quale, di fronte ad una soluzione correttamente ed adeguatamente motivata e ricca di riferimenti normativi e giurisprudenziali, può trovare agevole confermare integralmente la proposta del mediatore con ogni ulteriore statuizione sulle spese di giudizio anche a carico dell’ attore vittorioso, che non abbia accettato la soluzione proposta dal mediatore. La tentazione grave che corre la giurisdizione è, dunque, quella di appiattirsi sulla buona proposta di mediazione, rinunciando così all’approfondimento istruttorio, certamente defatigante ed incidente sull’allungamento dei tempi processuali. Tale tentazione può essere tanto più forte quanto più il giudice, pur sempre in adesione al dettato normativo del D.L.vo n. 28/2010, intenda operare nella direzione di rafforzare e potenziare l’istituto della mediazione, quale strumento di deflazione processuale.
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Il giudice è uno dei protagonisti fondamentali di questa possibile metamorfosi del sistema giudiziario nella direzione di un netto arretramento dell’attività giurisdizionale in favore di un incremento della mediazione. In tale prospettiva si colloca l’uso da parte del giudice dello strumento della mediazione c.d. facoltativa. Sulla base delle norme sulla mediazione è così possibile che il giudice da un lato possa tendere a confermare i pareri o le proposte di mediazione ben motivate e dall’altro possa copiosamente spingere le parti in causa a mediare, attivando sempre o quasi sempre l’istituto della mediazione c.d. facoltativa. E’ evidente che un’impostazione del giudice, che sia radicalmente orientato a favorire la soluzione in mediazione delle controversie, può condizionare notevolmente anche l’iniziativa delle parti ad agire in giudizio o a continuare il giudizio. Se le parti sanno che il giudice tende statisticamente ad accreditare la proposta del mediatore, si guarderanno bene dall’insistere in sede giurisdizionale anche per non incorrere nel rischio della condanna alle spese.
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Qui si apre l’ulteriore delicato problema della valutazione dell’attività del giudice che operi nella direzione suddetta: può il giudice abdicare alla giurisdizione per favorire la mediazione? Sino ad oggi le carriere dei giudici si muovono sulla base di periodiche valutazioni di professionalità fondate essenzialmente sui dati statistici dei provvedimenti presi. Un giudice che riuscisse nell’intento di incrementare notevolmente la soluzione in mediazione delle controversie come sarà valutato sul piano professionale? Come un giudice capace e professionalmente valido in grado di deflazionale il contenzioso e ridurre le pendenze in ruolo? O come un giudice che non ha lavorato a sufficienza? La questione è molto rilevante, poiché se procede senza intoppi la carriera di un giudice che riuscisse ad incrementare le mediazioni riducendo sensibilmente il numero di sentenze, e se tale giudice dovesse essere ritenuto particolarmente virtuoso, valorizzandosi così il dato statistico delle controversie risolte in mediazione, è evidente l’effetto “domino” su tutta la magistratura civile giudicante italiana, che tenderà ad adeguarsi agli standard di mediazione ottenuti da quel giudice e di conseguenza tenderà a ridurre il numero di sentenze e di provvedimenti giurisdizionali, ampliando l’effetto di arretramento o di riduzione della giurisdizione rispetto agli spazi sempre più ampi assicurati alla mediazione.
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Tale scenario non potrà dirsi, però, in linea con l’aspirazione all’efficienza del sistema giurisdizionale e non ha nulla a che vedere con il concetto stesso di giustizia, poiché il giudice, se è indotto a “sponsorizzare” la mediazione, invece di produrre sentenze e provvedimenti al fine di rispristinare l’ordine violato assicurando ai cittadini i diritti proclamati dalle leggi, si limiterà prevalentemente a devolvere la controversia al mediatore o a confermare, nella misura più ampia possibile, la proposta del mediatore.
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Qui si aprono scenari rilevanti anche sotto il profilo disciplinare per il giudice, che mantiene pur sempre il dovere di essere e di apparire imparziale rispetto alle parti in causa. La problematica è molto delicata e sfumata nei contorni, atteso che non è chiaro come in concreto vanno esercitati la “moral suasion” e la discrezionalità del giudice nell’indurre le parti alla mediazione c.d. facoltativa.
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Qui il giudice potrebbe spingere le parti a mediare in qualche misura anticipando a voce anche il proprio convincimento, in tal modo non essendo e non apparendo più imparziale, rischiando di lasciar percepire, ad esempio, alla parte più recalcitrante alla soluzione in mediazione un probabile esito a lei sfavorevole del giudizio.
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In tale contesto si pone anche la questione di come modulare l’esercizio del potere discrezionale del giudice nell’avviare le parti alla mediazione c.d. facoltativa. Bisogna convenire nel ritenere ingiusto, almeno sotto il profilo logico ed etico, che il giudice avvii le parti alla mediazione nonostante abbia già preso atto dell’inutile esperimento del tentativo di conciliazione, di cui all’art. 185 c.p.c., e nonostante che le parti ed i loro procuratori abbiano manifestato espressamente la chiara e concorde intenzione di non voler accedere alla mediazione e di non accontentarsi dalla mediazione e di voler proseguire nella lite per ottenere la pronuncia giurisdizionale. Imporre alle parti di avviare sempre e comunque il procedimento di mediazione c.d. facoltativa, sebbene ciò sia formalmente possibile, può tradursi pertanto da un lato in una sgradita costrizione ad ulteriori esborsi per la procedura di mediazione e dall’altro in un’interruzione del normale corso processuale a detrimento dei tempi di giustizia e delle aspettative concordi delle parti alla definizione esclusivamente in sede giurisdizionale della controversia. Sul piano dell’esperienza, salva ogni pronuncia in materia ed “in itinere” della Corte Costituzionale, alla giurisprudenza spetterà il compito di descrivere e di delimitare l’uso discrezionale del potere del giudice di avviare le parti a mediazione c.d. facoltativa, dando più o meno rilevanza al profitto della rinuncia delle parti alla mediazione o al profilo del tentativo di conciliazione già non riuscito innanzi al giudice.
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La giurisprudenza di merito si è misurata con i primi problemi applicativi posti dalla normativa sulla mediazione. In particolare presso la sede di Ostia si sono poste in materia di mutamento del rito nelle procedure di sfratto per finita locazione o morosità ed in genere in tutte le procedure in cui è previsto un passaggio da un rito speciale a quello ordinario di merito, dovendosi chiarire sul piano temporale quando inizia il processo di merito al fine di stabilire se tale processo ricada o meno nell’ambito applicativo del D.L.vo n. 28/2010 entrato in vigore il 31.3.2011. In materia di locazione la questione è evidente con riferimento all’ ordinanza di rilascio, di cui all’art. 665 c.p.c. e all’instaurando giudizio di merito. Una delle soluzioni è quella di ritenere che il giudizio di risoluzione del contratto di locazione si instaura con la citazione / intimazione, quale atto di instaurazione del contraddittorio valido anche per la successiva fase di merito resa possibile dall’opposizione alla convalida, non assurgendo le memorie di cui all’art. 426 c.p.c. a nuovi atti introduttivi del giudizio di merito (in tal senso la Sentenza n. 8411 del 27.5.2003 della Terza Sezione Civile della Corte di cassazione ha precisato che il giudizio di risoluzione del contratto di locazione è un giudizio unico, che inizia con l’esercizio da parte del locatore di un’azione di condanna nella forma speciale della citazione per la convalida e che prosegue, previo mutamento del rito, in caso di opposizione dell’ intimato). Pertanto, pur distinguendosi tra fase speciale del procedimento per convalida e fase a cognizione piena del giudizio di merito, il processo di risoluzione contrattuale è da intendersi come processo unitario, per il quale la pendenza di lite risale al tempo della notificazione della citazione intimazione, ed è a tale indicazione temporale che bisogna far riferimento per l’applicazione o meno della mediazione obbligatoria in materia di locazioni. Non mancano sentenze di Cassazione che stabiliscono che l’ordinanza, di cui all’art. 665 c.p.c., determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di un nuovo ed autonomo procedimento di merito (Cass. Civile III Sezione n. 12121 del 23.5.2006). La scelta tra l’una e l’altra impostazione è, allo stato, ovviamente rimessa al giudice ed alla sua sensibilità, in mancanza di pronunce di legittimità a Sezioni Unite che possano dettare un indirizzo diverso.
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Problema analogo si pone nel passaggio dal procedimento ex art. 702-bis c.p.c. a quello di cognizione ordinaria, dove la data rilevante da considerare ai fini dell’applicazione della normativa sulla mediazione è quella del deposito del ricorso ex art. 702-bis c.p.c. .
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Per concludere, il mio auspicio personale è che la Corte Costituzionale intervenga quanto prima sull’istituto della mediazione per chiarire la sua compatibilità o incompatibilità con il sistema costituzionale italiano. “De jure condendo” la proposta costruttiva che intendo lanciare è un ritorno alle origini che faccia salva la insostituibile funzione dei giuristi per recuperare la consapevolezza e l’orgoglio dell’immenso patrimonio culturale del diritto che ha segnato il progresso della civiltà e dell’umana convivenza partendo dall’esperienza romana, attraversando i secoli e permeando il modo stesso di concepire lo stare insieme in uno stato organizzato da leggi. In tale prospettiva si può mantenere la mediazione solo come iniziale opzione facoltativa delle parti, oppure come opzione del tutto sussidiaria alla giurisdizione, mantenendo cioè una fase “in jure” sempre obbligatoria innanzi al giudice, che deve accertare, riconoscere ed applicare il diritto, tracciando le linee essenziali della tutela giurisdizionale, prevedendo una fase attuativa del “dictum” giurisdizionale da devolvere all’arbitro o al mediatore, al fine di procedere ad operazioni di dettaglio come la quantificazione della pretesa pecuniaria o la quantificazione del danno, anche mediante valutazioni o approfondimenti ed indagine tecniche di settore, con i medesimi poteri di mediazione e di proposta transattiva descritti dal D.L.vo n. 28/2010, ma con il controllo e la supervisione finale del giudice in caso di mancato accordo tra le parti.
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Grazie per l’attenzione.
Dr. …
UNA BREVE CONSIDERAZIONE SULLA ” MEDIAZIONE CIVILE E COMMERCIALE ” D.L.gvo 28/2010 e DM 180/2010. ================================================
……per snellire e smaltire le cause in sospeso dei tribunali cosa fare?:
Considerato che sul territorio nazionale esiste centri di mediazione abilitati da garantire il funzionamento del sistema, a titolo sperimentale per 2 anni, i tribunali potrebbero dirottare la pratiche più semplici ai detti centri evitando la lungaggine amministrativa e dei rinvii, arrivando un giorno alla separazione dei compiti; il tribunale tratta il penale e i centri di mediazione tratta il civile. Grazie.