Con ordinanza del 23.06.2015, largamente diffusa e discussa in rete, il Tribunale di Vasto ha rinviato le parti innanzi al mediatore, prescrivendo a quest’ultimo di formulare comunque una proposta anche se non richiesto dalle parti. Ciò tenuto conto, innanzitutto, delle “condizioni di estrema congestione in cui versa il proprio ruolo istruttorio e decisorio” e della “necessità di una definizione rapida del procedimento secondo le modalità conciliative auspicate dalla Direttiva Europea … n. 2008/ 52/ CE del 21.5.2008”.
Secondo il Tribunale, il regolamento che limita la facoltà di proposta al solo caso in cui tutte le parti ne facciano concorde richiesta frustra “… lo spirito della norma [- art. 11, co. 2, d.lgs. n. 28/ 2010-ndr] … che è quello di stimolare le parti al raggiungimento di un accordo …” e non consente “al giudice di fare applicazione delle disposizioni previste dall’art. 13 del citato decreto, in materia di spese processuali, così vanificandone la ratio ispiratrice, tesa a disincentivare rifiuti ingiustificati di proposte conciliative ragionevoli”.
La proposta (per cosi dire) obbligatoria costituirebbe un passaggio fondamentale della procedura di mediazione, anche ai fini dell’eventuale equo indennizzo, nell’alveo della “tendenza del legislatore ad introdurre meccanismi dissuasivi di comportamenti processuali ostinatamente protesi alla coltivazione della soluzione giudiziale della controversia, la cui individuazione – però – presuppone necessariamente la previa formulazione (o, comunque, la libera formulabilità) di una proposta conciliativa da parte del mediatore ed il suo raffronto ex post con il provvedimento giudiziale di definizione della lite”.
Ribadita la necessità di un tentativo di mediazione effettivo (presenza personale etc.), il Tribunale “PRESCRIVE, altresì, che – in caso di effettivo svolgimento della mediazione che non si concluda con il raggiungimento di un accordo amichevole – il mediatore provveda comunque alla formulazione di una proposta di conciliazione, anche in assenza di una concorde richiesta delle parti”.
Il provvedimento si fonda quindi e innanzitutto su dichiarate “condizioni di estrema congestione in cui versa il proprio ruolo istruttorio e decisorio”. Viene, pertanto, naturale andare a vedere nel concreto i numeri veri di tale “estrema congestione”, perché – finalmente – da alcuni mesi sono a disposizione dati statistici di fonte ministeriale, che aiutano a capire la realtà del contenzioso al di là di ogni singola valutazione soggettiva.
Ebbene, dall’Elenco 1, allegato alla “Analisi delle pendenze e della anzianità di iscrizione degli affari civili Ottobre 2014”, predisposta dal Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria del Ministero sulla base delle rilevazioni della Direzione Generale di Statistica (DG Stat), emerge che, alla data del 31.12.2013, il Tribunale di Vasto è qualificato, quanto alla dimensione dell’ufficio per bacino di utenza, come un tribunale “piccolo”, con 6 magistrati in pianta organica (più 6 GOT) ed un rapporto giudice/ abitanti di 1/16.554 (media nazionale: 11.624).
Sul registro SICID risultavano 2.743 giudizi pendenti, di cui 659 (il 24,0%) da considerarsi arretrato in quanto “ultratriennali”. La media nazionale degli ultratriennali è del 27,9%. Effettivamente presenti risultavano 5 magistrati su 6 (1 sola vacanza) ed il personale amministrativo in servizio (32 unità) è superiore a quello previsto (31 unità), a fronte di una media nazionale (negativa) del 16,8% di vacanza. La durata media (calcolata – come recita la nota 6 del citato elenco – come indice di durata prospettica sulla base della formula di magazzino utilizzata da Istat ed Ocse, tenuto conto delle pendenze iniziali e finali) ha un valore di 359 contro una media nazionale di 403, mentre il carico medio ponderato per ogni togato ha il valore di 914 su 863 della media nazionale.
Di conseguenza, appare francamente difficile individuare in questi numeri la denunciata “congestione” del ruolo, tantomeno “estrema”, visto che si tratta di un ufficio in linea con le medie nazionali ed anzi uno dei pochi con la struttura amministrativa non solo completa, ma addirittura eccedente la pianta organica. Un ufficio “normale” (se non privilegiato), in cui magistrati, personale amministrativo e (si deve supporre anche) avvocati e parti svolgono “normalmente” il loro mestiere nel rispetto e nell’adempimento dei rispettivi (dialettici) ruoli.
Crolla così, travolgendolo, il primo e fondamentale presupposto del provvedimento: non emerge né alcuna particolare eccezionalità nei carichi di lavoro (o se cosi è, si tratta di carichi allineati alla media nazionale, né di meno, né di più); né un prevalere di “comportamenti processuali ostinatamente protesi alla coltivazione della soluzione giudiziale della controversia”.
E viene meno, altresì, la necessità di discutere oltre sul merito del provvedimento (che si spinge addirittura a dettare prescrizioni specifiche al mediatore!!!!) e sul tema, così tante volte discusso nei corsi di formazione, della preferenza da riservare alla mediazione c.d. “facilitativa” rispetto a quella c.d. “valutativa”, per di più se appesantita da quel fondo di dirigismo sanzionatorio, che finisce per limitare la libertà e la autonomia delle parti, che nella mediazione devono trovare e trovano invece la loro più piena valorizzazione. I giudici facciano i giudici ed i mediatori le mediazioni: questo è l’insegnamento del caso di specie.
Tantopiù che le statistiche ministeriali (DG Stat) sulla mediazione relative al primo anno (2014) di funzionamento a regime del sistema come rimodellato della novella dell’estate 2013 evidenziano una costante crescita delle percentuali di effettiva presenza (oltre il 40%), delle prosecuzioni (circa il 60% di quelle in cui le parti si sono presentate), degli accordi raggiunti (47% di quelle proseguite).
Sono ormai almeno 20.000 le posizioni definite in un tempo medio di 83 giorni (contro una media di 844 giorni del solo giudizio di primo grado), cui si aggiungono gli accordi indotti dalla mediazione, ma formalizzati fuori dalla procedura, su un bacino che riguarda l’8% del contenzioso (tale è l’area interessata alla nuova obbligatorietà temperata), con una riduzione delle iscrizioni a ruolo per le materie della mediazione del 15% (in cifra assoluta: 33.597 cause in meno, non perché “non fatte”, ma perché da ritenersi chiuse subito e bene, per parti ed avvocati) contro una media generale del 3%.
Un risultato tangibile e concreto, di segno contrario rispetto a quella immagine illusoria di “bacchetta magica”, che fa sparire d’incanto arretrato e pendenze, disegnata da alcuni al solo fine di poterla denigrare. Un risultato utile, soprattutto se confrontato alle prestazioni di altri istituti di recente introduzione in (latente, ma manifesta) concorrenza con essa.
Ed infatti, a sei mesi dall’entrata in vigore della legge (d.l. n. 132/ 2014, convertito in l. n. 162/ 2014), non si ha notizia di un solo procedimento devoluto ad arbitri (anche se mancano ancora i regolamenti attuativi, che sembrano, però … al di là da venire); mentre alla negoziazione assistita si è fatto un limitato ricorso praticamente solo in materia di diritto di famiglia (non risultano esistere ancora dati ufficiali che dovranno uscire con cadenza annuale; voci informali ed ufficiose indicano in poco più di un centinaio, e pressoché tutte in materia familiare, le negoziazioni assistite comunicate sino al maggio 2015 all’Ordine di Roma, il più grande del paese, ex art. 11 l. n. 162/ 2014).
Una prospettiva interessante per i cittadini e particolarmente stimolante per organismi e mediatori nella sfida verso sempre più alti livelli di qualità, di affidabilità e di efficienza in vista del “tagliando” del 2017 all’esito del primo quadriennio di vero lavoro.