Il protrarsi dello scontro tra parte dell’avvocatura e sostenitori della risoluzione alternativa delle controversie aiuta a capire le ragioni della mediazione, e persino di quella “obbligatoria”. In primo luogo, è normale che anche la mediazione finisca in tribunale: definirne l’ambito è compito della legge, e attuarla della magistratura (a riprova del primato della giurisdizione e quindi dell’improprietà di espressioni come “privatizzazione” o, peggio ancora, “svendita” della giustizia).
La mediazione è uno strumento in più per ridurre il carico giudiziario e – cosa di cui ancora non si parla – migliorare la qualità degli accordi che risolvono le liti. Si pensi ai due possibili esiti della battaglia legale proprio sul tentativo obbligatorio di conciliazione, che spetterà alla Corte costituzionale definire. Vince il ministero: restano in vigore le norme attuali. Vincono i contrari: la mediazione torna a sparire (come in passato, in regime di volontarietà, la mediazione sarebbe pressoché inesistente). Quali gli scenari in entrambi i casi, in aggiunta alla perdurante incertezza per cittadini e imprese? Nel primo, l’avvocatura ha solo perso altro tempo e terreno rispetto agli organismi che già offrono servizi di mediazione. Nel secondo, verosimilmente il legislatore reintroduce il tentativo obbligatorio evitando presunti problemi di costituzionalità. Gli avvocati perdono ancora. Il Governo, allora, vince comunque? Non proprio. Come accade spesso in tribunale, alla sconfitta dell’uno non corrisponde una proporzionale vittoria dell’altro. La scarsa collaborazione di parte della classe forense, infatti, riduce il potenziale della mediazione. E soprattutto, se ministero e avvocatura si parlano solo nelle aule giudiziarie soluzioni qualitativamente superiori si allontanano. Lavorando assieme potrebbero invece migliorare le cose. Si pensi all’innalzamento della qualità nella formazione dei mediatori e a controlli serrati, per rassicurare chi afferma che molti organismi siano inadeguati. Per la questione della competenza territoriale, a richiedere un giustificato motivo se si chiama qualcuno in mediazione a più di tot kilometri. Infine, a raccomandare, o imporre, l’assistenza dell’avvocato quando il valore della contesa sia superiore a una certa somma.
Al pari di molti processi, quello tra Oua e Governo produrrà un risultato economicamente inefficiente: un vincitore e un vinto. La sentenza, infatti, non mira a soddisfare interessi comuni, per quanto superiori. Ecco il senso profondo del tentativo obbligatorio di conciliazione: evitare ai litiganti di entrare sempre e automaticamente nel tunnel del processo, dal quale è verosimile che usciranno con una soluzione sub-ottimale (quando non entrambi sconfitti). Inoltre, in Italia le sentenze risolvono solo il 44% delle controversie civili; più della metà delle liti si trascinano per anni prima di chiudersi con un accordo, o per abbandono. Favorire soluzioni transattive efficienti, anche grazie alla mediazione, è allora un obiettivo politico doppiamente doveroso.
Gli avvocati ritengono il Ministro responsabile dello scontro, perché rifiuterebbe ogni trattativa. Ma l’Oua, che in questa vicenda è la parte debole, avendo contro praticamente tutti, sbaglia ad avanzare richieste inesaudibili brandendo l’arma dello sciopero. Non lo dice un mediatore, ma Sun Tzu, che da un paio di millenni consiglia i generali di tutto il mondo ne L’arte della guerra. Il negoziatore esperto si preoccupa della “yesability” della propria proposta, che questa sia cioè accettabile dalla controparte. Analogamente, è sbagliato chiedere cento (il blocco totale della mediazione) per ottenere dieci (il mero rinvio), quando alleandosi con chi la pensa allo stesso modo si può ottenere molto di più, e più facilmente. Insomma, abbiamo di fronte un caso paradigmatico da mediazione: da soli, i contendenti rischiano di non accordarsi, o di farlo tardi e male.
Negoziato e mediazione non garantiscono di ottenere sempre ciò che si vuole. Due cose sono però certe: per un leader, non provarci nemmeno è un errore di cui la base potrebbe e dovrebbe chiedere conto; se invece si tratta, farlo a testa bassa produce una riposta uguale e contraria, o addirittura maggiore. Nel caso di specie, che accadrà agli altri tavoli negoziali tra avvocatura e Ministro Alfano? All’avvocato che pensa di dover essere, sempre e comunque, “uomo di guerra” giova ricordare le parole di Cartesio: co-gito, non co-mbatto, ergo sum.
8 commenti
Sono pienamente d’accordo e condivido che il modus operandi sia del Ministro che dell’OUA non porterà se non alle usuali soluzioni di compromesso che rischiano di svuotare di contenuto la riforma.
e pensare che la mediazione potrebbe essere una grandissima fonte di guadagno per gli avvocati.
Quando la Corte deciderà per l’incostituzionalità, ipotesi che mi pare più probabile, si dovrà immediatamente riaprire il tavolo della trattativa tra Ministero e parti professionali, per ripristinare quelle norme che fossero state dichiarate incostituzionali. Non solo riapprovando norme come suggerito dal collega De Palo (formazione migliorata – attenzione però a non esagerare col business – norme di competenza territoriale, norme sul valore della mediazione: presenza dell’avvocato solo per mediazioni di maggior valore) ma anche cambiare quello che a me pare il più grande difetto della mediazione italiana: il titolo di mediatore non può che essere riservato a professionisti iscritti all’albo degli avvocati. Non mi pare possibile far accedere al titolo di mediatore un qualunque soggetto munito della semplice laurea breve in un qualunque facoltà, sol che abbia seguito il corso di 50 ore. Solo così credo che l’avvocatura sarebbe più tranquilla e credo appoggerebbe anche una mediazione obbligatoria.
Le quattro modifiche, accennate nell’articolo, non modificherebbero la sostanza della riforma, se adeguatamente ponderate.
Qualità dei mediatori, selezione degli organismi basata sull’efficienza, competenza territoriale mitigata da correttivi, e presenza del legale per cause di importo elevato sono tutte richieste, che da qualunque parte arrivino, sono condivisibili e sensate.
Auspico che al più presto qualcuno inizi a fare da mediatore a questa partita tra OUA e Ministro, senno’ si rischia di trovare compromessi sul filo di lana, o a realizzare scambi politici che non facciano bene al nuovo istituto della media-conciliazione.
Mi ha piaciuto il tuo articolo, ci vuole una sforza di conciliazione per arrivare ad una soluzione che aiuta veramente l’utente (la persona che dovrebbe essere privileggiata, ma finora in questa vicenda non è stata sentita). Però ricordiamoci che la consultazione come parte dell’attività legislativa va fatta prima, non dopo, l’atto legislativo – o non conta più in Italia il rule of law? Ci sono adesso migliai di “mediatori professionisti” che hanno in buon fede pagato e seguito un corso formativo, affidandosi ad una legislazione nuova di zecca, fatta proprio per la diffusione della mediazione. Sarebbe ingiusto cancellare le loro legittime aspettative dell’investimento fatto.
Per quanto riguarda le riforme da considerare, mentre che vogliamo innalzare sempre la qualità della prestazione, temo che una intensificazione degli strumenti regolamentari del tipo finora utilizzati (aumento di ore dei corsi, documentazione delle qualifiche ecc) sia il modo peggiore di farlo. Sono sempre i più furbi che hanno meno difficoltà a soddisfare i requisiti burocratici, e un sistema di controlli capillari richiederebbe delle spese che non erano mai previste nella Legge 69/2009.
Per quanto riguarda la proposta dell’assistenza dell’avvocato nei casi di maggiore valore, questi casi generalmente coinvolgono soggetti o imprese con la capacità di decidere autonamente. Sono adulti. Eventualmente, ed anche per la protezione del mediatore, si potrebbe pensare ad un dovere per il mediatore di riferire al suo organismo laddove ha dei dubbi sulla capacità di una parte di capire e difendere i suoi propri interessi.
Cordialmente
Andrew Colvin
Sono d’accordo. Gli “stili negoziali” di Ministro e Oua sono assolutamente discutibili e il riischio è che si arrivi ad una soluzione della vicenda che penalizzi questo importante strumento adr oltre che gli organismi e i migliaia mediatori professionali formatisi in questi anni.
Quanto al profilo della competenza, colgo l’occasione per dire che un corso di 50 ore serve a poco o nulla. La formazione per il mediatore necessita di un percorso molto più lungo e con l’approfondimento di materie come la negoziazione (le teorie e gli studiosi più importanti di questa materia) e le tecniche di mediazione, la specializzazione in determinate materie giuridiche ed economiche.
Io personalmente, pur essendo un mediatore formatosi nel 2008 proprio con adr center (ottimo corso,) ho cominciato ad affrontare in modo diverso ( e più proficuo) ogni singola mediazione che ho svolto solo dopo aver approfondito le dette materie leggendo i libri, oltre che di Shell, di Ury, Fisher, Mnookin, Raiffa ad esempio. Altri ne leggerò ancora in futuro attingendo dalla bibliografia statunitense che è la più fornita al riguardo.
Cordiali saluti agli tuenti e al Prof. De Palo che ho avuto l’onore di avere come formatore ad un corso tenutosi a Roma agli inizi del 2009.
Dott. Vittorio Indovina
(mediatore professionale presso la CCIAA di Bergamo)
Altri soggetti sconfitti sono colorlo che hanno frequentato o stanno frequentando un corso per mediatore, spendendo soldi. Che fanno?Causa allo Stato o all’OUA?
E perché gli Avvocati, se tanto contrari alla mediazione, non hanno protestato quando fu adottato il D.M. del 2004 n. 222?
Perché non hanno protestato quando presso la Cassa Forense si tennero dei corsi ai quali partecipò il Prof, De Palo che ci illustrò la sua esperienza negli USA?
Ma non pensano, buona parte degli avvocati che protestano, di far la parte di chi stava in finestra mentre il mondo stava cambiando?
Avv. Gemma Ferrero
@Gemma
In verità una causa pilota all’OUA e a De Tilla per danni e diffamazione si potrebbe tranquillamente intentare. Vi sono tutti i presupposti. Avvocati fatevi avanti, potrebbero essere centinaia in tutt’Italia. in questo modo l’OUA e i suoi rappresentanti potranno toccare con mano l’efficenza dello status quo della giustizia civile che con tanto ardore difendono.