Il raggiungimento dell’accordo, nell’ambito del procedimento di mediazione, può trasformarsi in causa di altre e conseguenti controversie quando la procedura viene svolta da soggetti non legittimati a definire e sottoscrivere l’accordo.
In tal senso, quindi, oltre a risultare necessario l’impiego della massima attenzione nella verifica della sussistenza di una delega valida, occorre accertare i poteri del soggetto delegato o del rappresentante.
In alcuni casi potrebbe essere il delegante, più o meno legittimamente, a definire i poteri del delegato. In un esempio paradossale, ma purtroppo reale, l’avvocato della parte convocata si è presentato in mediazione con delega “a partecipare alla mediazione, al fine di non conciliare”.
In altre circostanze, tuttavia, il problema è insito nella natura e nella disciplina di alcune parti della mediazione. Esempi di problematicità, in ordine agli aspetti menzionati, possono ravvisarsi riguardo ai condomini.
Con particolare riguardo alla materia condominiale, infatti, la legge non dice nulla in merito alla necessità di sottoporre l’accordo conciliativo alla ratifica dell’assemblea. In ragione della natura negoziale dell’accordo di mediazione, tuttavia, parrebbe applicabile il ragionamento svolto dalla giurisprudenza in ordine alla definizione degli accordi transattivi. Sulla base di tale percorso argomentativo, quindi, l’accordo di mediazione dovrebbe essere approvato preventivamente dall’assemblea condominiale.
In alcuni casi, però, potrebbe non essere sufficiente una approvazione a maggioranza dell’accordo. Occorre, quindi, accertare quale tipo di maggioranza sarebbe necessaria, al fine di scongiurare eventuali impugnazioni.
Procedendo in senso analogico, si evidenzia che in una delle tante questioni in cui la Corte di Cassazione[1] si è trovata a decidere in ordine al tipo di maggioranza necessaria all’approvazione degli accordi transattivi, l’amministratore sottoscriveva un accordo nel quale veniva data autorizzazione di disporre delle parti comuni: la transazione andava a interdire, in via definitiva, all’uso comune, una parte del lastrico solare di proprietà di tutti i condomini pro indiviso. Ne conseguiva che solo un condomino avrebbe giovato della disponibilità di tale porzione di parte comune. Anche senza trasferire la proprietà, quindi, andava a costituirsi sul lastrico solare un diritto di uso esclusivo.
Tale accordo, sottoscritto dall’amministratore, non era stato espressamente autorizzato dall’assemblea la quale, solamente, aveva approvato il progetto ma non la transazione.
La Corte, di ciò investita, ha dovuto prendere in esame la validità non solo della sottoscrizione ad opera dell’amministratore, ma anche il contenuto della delibera assembleare. La statuizione menzionata, quindi, ha ritenuto necessaria l’approvazione unanime dell’accordo, poiché disponeva di parti comuni.
In tal senso, è chiaro il disposto del terzo comma dell’art. 1108[2] del Codice Civile (applicabile al condominio in forza del rinvio contenuto nell’art. 1139 c.c.). Tale norma richiede il consenso di tutti i condomini per gli atti di alienazione del bene comune o di costituzione su di esso di diritti reali o per le locazioni ultranovennali (alle quali ben può essere assimilata la concessione in uso escluso a tempo indeterminato).
Il consenso unanime è richiesto, conseguentemente, anche per la transazione che abbia ad oggetto beni comuni. Non è quindi sufficiente una delibera a maggioranza. Occorre invece l’unanimità dei consensi, cioè di tutti coloro che sono proprietari del bene comune.
Tale accordo può avvenire sia in sede assembleare (con la sottoscrizione da parte di tutti i condomini del verbale) sia per formazione progressiva, cioè mediante la sottoscrizione anche in momenti differenti (si pensi al caso in cui tutti i condomini, separatamente, si recano nell’ufficio dell’amministratore per firmare). La forma scritta, e quindi la sottoscrizione, è necessaria in quanto l’articolo 1350 del codice civile la prevede quale necessaria a pena di nullità per la validità di atti di questo tipo. er tale motivo non è valida la delibera assembleare a maggioranza con la quale si vende (o si acquista) una parte comune, o si costituisce una servitù (attiva o passiva) a carico o a favore del condominio.
Se ha ad oggetto beni comuni indisponibili, per i quali è richiesta l’unanimità dei consensi di tutti i condomini, la transazione può essere, quindi, decisa solo all’unanimità. La giurisprudenza, in ordine alle transazioni, è chiara: “ai sensi dell’articolo 1108 comma 3 del Codice civile è richiesto il consenso di tutti i comunisti – e,quindi, della totalità dei condomini – per gli atti di alienazione del fondo comune, o di costituzione su di esso di diritti reali, o per le locazioni ultranovennali, con la conseguenza che tale consenso è necessario anche per la transazione che abbia oggetto i beni comuni, potendo essa annoverarsi, in forza dei suoi elementi costitutivi, fra i negozi a carattere dispositivo. Pertanto, non rientra nei poteri dell’assemblea, che decide a maggioranza, di autorizzare l’amministratore del condominio a concludere transazioni che abbiano ad oggetto diritti comuni “[3].
Per analogia, quindi, pare si possa ragionevolmente ritenere che anche in caso di procedura di mediazione che abbia ad oggetto beni comuni indisponibili, l’accordo debba essere approvato all’unanimità. Gravi, ovviamente, potrebbero essere le conseguenze, in caso di mancato rispetto delle previsioni summentovate. Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente può fare ricorso all’autorità giudiziaria. Da ciò consegue che anche il verbale di accordo della procedura di mediazione potrebbe essere oggetto d’impugnazione, per gli effetti derivati dall’illegittimità della deliberazione condominiale. Secondo alcuni, un accordo siglato in assenza della predetta maggioranza sarebbe annullabile. Si tratta del procedimento d’impugnazione delle deliberazioni condominiali annullabili ossia quelle “ con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o informazione in assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che richiedono maggioranze qualificate in relazione all’oggetto“[4].
Il ricorso avverso la delibera e il conseguente accordo, in questo caso, dovrebbe essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrerebbero dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti. Trascorsi i trenta giorni, quindi, anche l’eventuale conciliazione sarebbe immune da successive impugnazioni. Qualora, di contro, le delibere votate in assenza dell’unanimità si ritenessero affette da nullità, si complicherebbe la questione. Le deliberazioni nulle, infatti, sono quelle “prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale e al buon costume), con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, che incidono sui diritti individuali, sulle cose, sui servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini o comunque invalide in relazione all’oggetto“, e possono essere impugnate, da qualunque condominio (favorevole, astenuto,dissenziente ed assente) in ogni tempo, poiché la nullità è un vizio d’invalidità che non prevede preclusioni temporali.
Pur optando per la prima interpretazione, occorre evidenziare che, in questo secondo caso, gli accordi in mediazione, definiti sulla base di delibere non votate all’unanimità, sarebbero viziati da nullità derivata che potrebbe essere fatta valere in qualunque momento. La figura del mediatore, quindi, si delinea nel nostro ordinamento come una figura determinante al fine di radicare la procedura di mediazione quale reale strumento di definizione delle liti e non quale ulteriore causa di controversie.
[1] cfr. Cassazione sentenza n 4258 del 31 febbraio 2006
[2] Art. 1108, comma terzo, c.c.: “E’ necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni”.
[3] Cfr. Cassazione 4 luglio 2001 n. 9033 e 24 febbraio 2006 n. 4258.
[4] Cfr. Cass. 7 marzo 2005 n. 4806.