Per quello che ho letto e imparato in questi mesi, credo proprio che dovremmo rive dere il discorso, partendo dalle basi.
Cosa succederà nei prossimi 3 anni?
Nessuno può dirlo, ma tutti possono farsi delle idee e possono anche – in teoria -migliorare le loro capacità immaginative: concretamente e pragmaticamente, però, chi dovrebbe dedicarsi a svilupparle?
Siamo in un bel cul de sac: intorno a noi si stanno verificando un sacco di cambiamenti, ma noi spesso continuiamo a fare lo stesso lavoro, più o meno allo stesso modo.
Ad esempio tutti oggi parlano di intelligenza artificiale, ma ad un livello piuttosto superficiale; quanto dovrebbe saperne – di più – ognuno di noi per immaginare seriamente qualche ricaduta? Ed immaginare conseguentemente, qualche contromisura?
Se io penso che nei prossimi du/tre anni l’a.i. non avrà alcuna ricaduta diretta e reale su di me e sul mio lavoro, ovviamente non mi preoccuperò minimamente e non apporterò nessun cambiamento.
Ma io ho gli strumenti mentali e di conoscenza per elaborare un simile scenario?
E’ il cane che si morde la coda: non so immaginare, ma non faccio nulla per immaginare meglio: sembra la ricetta per un possibile disastro.
Lungi da me fare del terrorismo psicologico: voglio solo provare a salvare capra e cavoli.
E se qualcuno immaginasse per te?
Questo nemmeno avevi immaginato, vero? Certo che no, perché tu immagini il futuro attingendo al tuo passato e presente, alle tue attuali conoscenze, al tuo mindset e forse sarebbe troppo complicato, scomodo e costoso, cercare di cambiarli.
Non è il tuo mestiere immaginare, ma forse è quello di qualcun altro. Qualcuno che magari studia sui film di fantascienza o si occupa di Future Studies.
Forse tu non ami i film di fantascienza o non pensi che guardarli possa avere la minima attinenza con la formazione e le competenze professionali: questione di mindset, ripeto, ossia di sistemi di credenze. Mi spiace dirtelo, ma i manuali sono una roba intrinsecamente superata, quando si parla di futuro: nessuno può scrivere un libretto di istruzioni per sapere come affrontare la prossima sfida innescata dal prossimo cambiamento.
Può essere utile e molto, invece, scoprire cosa hanno da dirci quei talentuosi artisti che hanno la rara capacità di vedere il mondo con decenni di anticipo.
Ovviamente quando si parla di futuro, non esiste alcun sistema di misurazione lineare, nessun metro statico. Non puoi ragionare in termini di giorni, mesi o anni: devi essere fluido.
Philip Dick scrisse il suo stupendo “Gli androidi sognano pecore elettriche?”, da cui è stato tratto il mitico “Blade runner”, nel 1968. In questo capolavoro, si parla di “replicanti”, ossia si robot dalla fattezze umane, in pratica indistinguibili dagli esseri in carne e ossa.
Per menti autolimitanti ed imborghesite è troppo; quindi liquidano il tutto come intrattenimento, puro diletto. Niente che possa diventare davvero reale. Poi però nel 2016 arriva Hiroshi Ishiguro e bisogna ammettere che non si trattava solo di fantascienza: in ogni caso, nulla che ti toccherà da vicino.
L’a.i. e l’intelligenza “nascosta”
Anche se non hai Alexa in casa, usi Google o Facebook e quindi avrai di certo già usato o goduto di qualche applicazione di intelligenza artificiale: termine coniato John McCarthy durante la conferenza di Darthmouth del 1957.
Puoi stare certo che nel prossimo triennio uscirà qualche altra “diavoleria” che in questo momento non sei nemmeno in grado i immaginare: questo è il punto.
Come non ti aspettavi Chatgpt, che sembra uscito dal nulla, mentre in realtà non è affatto così.
Siano un po’ tutti impantanati nel dilemma di Coleridge anche se non lo conosciamo: ci buttiamo dentro un’innovazione o aspettiamo che sia qualcun altro a farlo? E se dopo fosse troppo tardi?
Magari qualche editore o marketer ti ha già tirato un po’ per la giacchetta offrendoti dei corsi dei libri o ti ha fatto intravedere delle soluzioni facili, come quelle per scrivere post al posto tuo…o fare ricerche giuridiche, scrivere email…
Ma questo è davvero quello che ti serve?
L’a.i. sostituirà l’essere umano nello svolgimento di alcuni compiti, non l’essere umano nella sua interezza: chi fa terrorismo psicologico strizzando l’occhio ad approcci luddisti è in mala fede o è ignorante.
In pratica serve (anche a te) una meta-competenza
E questo dipende in gran parte da te: sta a te decidere quale compito affidare, nell’ambito del tuo studio professionale o della tua organizzazione, all’a.i. e cosa tenere per te. Ma per decidere dovresti prima capire in cosa è brava l’intelligenza artificiale e in cosa è meglio quella umana.
Sempre che quella artificiale sia davvero un’intelligenza.
Per me non lo è.
L’intelligenza è uno di quei concetti troppo grandi per essere usati con disinvoltura, e prima di applicarlo alle macchine, bisognerebbe definirlo per bene: cosa che mi pare facciano in pochi.
L’estate è stata molto produttiva per me: ho letto diversi libri e raccolto qualche ora di video, seguito dei corsi e parlato con chi si occupa di machine learning e data science. Ho visto un film di fantascienza e fatto tesoro delle visite in alcuni musei che ospitavano opere di arte concettuale.
Qualche idea che mi sono fatto a proposito.
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L’intelligenza non può prescindere dalla coscienza e nessuna macchina la possiede. Se hai sentito dire in giro che è questione di tempo, perché prima o poi “emergerà”, fatti spiegare da chi te l’ha detto come pensa che possa accadere, perché altrimenti è solo una bufala.
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Analizzare una mole enorme di dati e scovare delle relazioni o dei pattern è un’operazione meccanica, non di intelligenza, è come ordinare delle scatole senza sapere cosa c’è dentro o senza sapere quale senso o significato può generare quello che c’è dentro.
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Un essere intelligente è un essere che apprende, ma l’apprendimento umano è parecchio differente da quello di un macchina, sia per come si costruisce che per come avviene. E’ accaduto che macchine “addestrate” per riconoscere certe cose, ne abbiano imparate in realtà delle altre: il problema della cd. “coda lunga” è un problema tutt’ora aperto: l’a.i. lavora su base statistica, spesso trascura le eccezioni e non avendo letto il Cigno nero, non può sapere cosa questo può comportare.
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La scienza non basta per orientarsi ed agire consapevolmente nel mondo e se un robot umanoide o un chatbot può scimmiottare dialoghi apparentemente empatici, di certo non ha la capacità di elaborare una sua teoria della mente e di applicarla all’interlocutore.
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Una macchina può anche scrivere articoli o comporre musica secondo un certo stile (alcune sonate sintetiche sono stare ritenute più Chopiniane di alcuni originali) ma non è in grado di ricercare alcunchè; non ha libero arbitrio.
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Una macchina non sente alcunché, non ha sistemi percettivi, non ha sensibilità, non può sapere cosa significhi annusare un profumo, anche se ne può fornire una descrizione esteriore.
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L’errore umano è assai diverso da quello delle macchine, per capire se fidarci o meno e quanto di eventuali applicazioni di a.i. nel nostro ufficio, dovremmo capire, almeno a grandi linee quali fregature nascoste dovremmo aspettarci e come reagire di conseguenza.
Io, per ora, nel mio lavoro, mi sono limitato ad usare Midjourney per produrre sintografie, giacché questo sopperisce alla mia incompetenza di disegnatore e fa molto prima di me ad elaborare l’immagine che mi serve: il risultato dipende in parte dal prompt, ossia dalle istruzioni che io gli do. Fa una compito che io farei peggio. Dichiaro quando l’immagine è sintetica.
Ma non ho la minima intenzione di usare Chatgpt per scrivere questa newsletter o dei post: io amo scrivere, mi aiuta a ragionare. Se mi facessi sostituire diventerei un po’ più stupido (ok, …. anche se nessuno se ne dovesse accorgere). E, inoltre, fregherei i miei lettori.
Non ho capisco proprio dove sarebbe il valore, per me e per chi mi legge.
Il problema magari è capire, come ho già scritto svariate volte, quello che ci piace di più fare e quello che ci riesce meglio.
Operazione non banale.
Articolo a cura di Andrea Buti, tratto dal blog: Metavvocato’s Line.