La riservatezza in Europa
Oggetto di analisi di questa ultima parte è lo sviluppo del concetto di riservatezza all’interno dell’Unione Europea. Particolare attenzione è prestata al Libro Verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale (COM (2002) 196 def), e allo sviluppo della conciliazione in alcuni stati membri della comunità, quali l’Olanda, Belgio, Inghilterra, Galles, Scozia, Italia e Lituania.
Il Libro Verde
Il Libro Verde, adottato dalla Commissione Europea nell’Aprile del 2002, su richiesta dei Ministri di Giustizia degli Stati Membri, fornisce una struttura di base all’interno della quale la conciliazione si può sviluppare in maniera armoniosa, offrendo garanzie minime di procedura, tra le quali risalta il rispetto dell’obbligo di riservatezza.
Il paragrafo 79 del Libro definisce la riservatezza come il perno del successo dell’ADR, in quanto contribuisce a garantire la franchezza delle parti e la sincerità delle comunicazioni, nel corso della procedura. Per tale ragione, l’obbligo di riservatezza grava sia sulle parti che sul conciliatore.
Le informazioni scambiate tra le parti, durante la procedura, non dovrebbero essere ricevibili come mezzi di prova, in occasione di un successivo procedimento giudiziario o di un arbitrato, a meno che ciò non sia previsto da un’apposita disposizione normativa o che non sia necessario all’attuazione/esecuzione dell’accordo raggiunto o le parti decidano di sottrarre la procedura all’obbligo della riservatezza. Similmente, le informazioni ricevute dal conciliatore nel corso delle sessioni private (caucus), non possono venire rivelate alla controparte, a meno che chi le ha rese non vi acconsenta o ciò non sia legislativamente previsto.
Reazioni al Libro Verde
Nel Libro Verde ci si interroga, peraltro, sull’opportunità di ravvicinare la legislazione degli stati membri, per garantire il rispetto della riservatezza e sulla misura in cui questa debba essere garantita. In relazione a tale quesito, sembra esservi accordo sul fatto che l’eccessiva regolamentazione della conciliazione compromette la flessibilità di tale istituto, impedendone lo sviluppo. Conseguentemente, gli stati Membri dovrebbero educare il pubblico ai vantaggi della mediazione, anziché focalizzarsi su aspetti di carattere legislativo.
In questa ottica il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) ritiene che il miglior modo per disciplinare le procedure di ADR, sia quello di avvalersi di raccomandazioni, le quali garantiscono maggiore flessibilità rispetto a regolamenti e direttive, il cui utilizzo potrebbe paralizzare lo sviluppo delle ADR. Tuttavia, alla luce dei risultati raggiunti, durante i primi tre anni, trascorsi servendosi dello strumento della raccomandazione, sarebbe opportuno valutare, in base all’impatto della raccomandazione stessa, l’opportunità di ricorrere a una direttiva o di continuare ad utilizzare la raccomandazione. Per quanto concerne il conciliatore, il comitato ritiene che è indispensabile una formazione adeguata e completa, per consentire ai terzi di svolgere, in maniera utile ed efficace, le loro funzioni. Essa dovrebbe essere completata da una formazione continua, obbligatoria. Di particolare rilievo risulta, inoltre, essere la redazione di un codice europeo di deontologia, che aiuti i conciliatori nell’adempiere i propri incarichi e la previsione di garanzie procedurali minime da inserire nella procedura di ADR: imparzialità del terzo nei confronti delle parti, trasparenza, efficacia, equità e riservatezza.
Infine, degna di nota risulta essere l’opinione espressa dal CEDR sul Libro Verde. L’istituto, come il CESE, evidenzia l’importanza nell’assicurare la qualità e reputazione della conciliazione. Al contempo, pone in luce come un’eccessiva regolamentazione sia inutile per lo sviluppo di una procedura nuova, ancora in fase di consolidazione. Il CEDR contesta il fatto che il Libro Verde concentra troppo la sua attenzione su aspetti di tipo legislativo, anziché su quelli di carattere sociale. Il centro ritiene che a questo punto di sviluppo dell’ADR, l’attenzione dovrebbe essere maggiormente incentrata nell’educare la popolazione, anziché nel fornire un’attenta e dettagliata legislazione. Infatti, essendo quello dell’alternative dispute resolution un nuovo settore del diritto, volto a rafforzare la giustizia sociale, gli sforzi dovrebbero incentrarsi nell’incoraggiare la popolazione a ricorrere a questo nuovo strumento di risoluzione extragiudiziale delle controversie.
Riservatezza e Stati Membri
Olanda
In Olanda non sono ancora state emanate previsioni normative che disciplinano la conciliazione. Le disposizioni esistenti e il codice di condotta per conciliatori sono stati redatti dall’Istituto di Conciliazione Olandese (NMI). Tale organismo ha posto in luce l’importanza della riservatezza nella procedura di conciliazione e considerandola come una garanzia procedurale minima.
Infatti, dovendo essa essere osservata sia dal conciliatore che dalle parti, incoraggia il libero scambio di informazioni tra le parti. Il terzo neutrale non può divulgare le informazioni acquisite durante una sessione privata (caucus), a meno che non sia stato altrimenti accordato, e deve vietare a coloro che assistono al processo di conciliazione, senza essere parti, di diffondere le notizie apprese nel corso del procedimento stesso.
Similmente, le parti non possono divulgare le informazioni apprese nel corso della conciliazione e si devono impegnare a non chiamare in giudizio il conciliatore o coloro che hanno partecipato al processo. Questo impegno alla riservatezza viene siglato, anteriormente all’inizio della conciliazione, in un accordo, che assume la forma di un contratto e che è quindi disciplinato dalla sezione del codice civile dedicata ai contratti. Conseguentemente, le parti non hanno la certezza che il giudice non decida di interrogarle su questioni attinenti la conciliazione.
Per contro, la magistratura non potrà acquisire informazioni dal terzo neutrale, al quale si applica l’articolo 272 del codice penale. Questo esclude la testimonianza di professionisti che, per la natura delle attività da loro svolte, sono vincolati al segreto. Siccome la conciliazione impone tale dovere sul conciliatore e siccome i conciliatori sono professionisti, in considerazione del fatto che vengono iscritti in appositi registri tenuti dal NMI dopo aver seguito dei corsi di formazione, l’articolo 272 si applica al caso di specie. In questo modo le parti hanno la certezza che il conciliatore non sia costretto a diffondere le informazioni apprese nel corso della conciliazione.
Inghilterra e Galles
Lo sviluppo della conciliazione in Inghilterra e in Galles è riconducibile sia ad iniziativa pubblica, che privata. Sebbene la conciliazione abbia raggiunto un notevole grado di sviluppo, scarsa attenzione è stata rivolta alla riservatezza, tanto che non esiste una previsione normativa che la disciplina esplicitamente. La regola 31.6 delle regole di procedura civile (CPR) statuisce che una parte ha il dovere di rendere noti non solo i documenti sui quali fa affidamento, ma anche quelli che influenzano negativamente il suo caso. Dall’analisi di tale previsione normativa si è spinti ad affermare che la riservatezza, nella conciliazione, non è protetta, poiché il conciliatore è tenuto a presentare al magistrato i documenti richiesti, per una valutazione circa la loro ammissibilità. Tale prassi potrebbe danneggiare la procedura di conciliazione.
In realtà, il paragrafo otto della regola 31.19 fornisce una disposizione derogatoria a tale norma. Esso sancisce che la parte 31 del CPR, che disciplina la diffusione e la verifica dei documenti, non si applica quando ciò possa recare nocumento al pubblico interesse. Ciò significa che se il conciliatore o la parte riescono a dimostrare che la non divulgazione delle informazioni della conciliazione è necessaria per il pubblico interesse, tali informazioni non dovrebbero essere usate come prova. Questo è facilmente dimostrabile, in quanto compromettere l’efficienza ed affidabilità di uno dei modi più efficienti, per risolvere le dispute, in maniera pacifica, cioè della conciliazione, danneggerebbe il pubblico interesse.
Scozia
La tutela della riservatezza è limitata ad alcune aree del diritto. Nell’ambito del diritto di famiglia, per esempio, l’articolo 1 del Civil Evidence Act stabilisce che quanto appreso nel corso di una conciliazione non può essere usato come prova in un procedimento civile. Deroghe a tale previsione normativa vengono fornite dall’articolo 2, che considera la necessità di proteggere il pubblico interesse e le parti più deboli della società, quali i minori, una priorità rispetto alla necessità di garantire riservatezza nella conciliazione.
Belgio
Il codice di condotta proposto dall’“Ordre des Barreauz francopnones et germanophone” definisce la conciliazione come un procedimento volontario e confidenziale. L’esplicito riferimento alla confidenzialità evidenzia l’importanza attribuita a questo requisito minimo della conciliazione. Esso non deve essere osservato solamente dalle parti e dal conciliatore, ma anche dai suoi collaboratori.
La riservatezza viene disciplinata anche dalle previsioni normative concernenti il diritto di famiglia, che prevedono, nel caso in cui l’obbligo di riservatezza venga violato, che il giudice possa decidere l’ammontare dei danni e degli interessi da imporre sulle parti e di non prendere in considerazione, ai fini della sentenza, i dati confidenziali che vengono erroneamente divulgati.
Va comunque notato che l’obbligo di riservatezza non è assoluto. Infatti, il conciliatore può diffondere le informazioni, dalle quali sia rilevabile il compimento di un’infrazione commessa ai danni di minori o una minaccia alla sua sicurezza mentale o fisica del minore stesso.
Che l’importanza della conciliazione in Belgio stia crescendo è testimoniato dalla proposta di legge, volta ad introdurre, nel codice giudiziario belga, un articolo interamente dedicato alla conciliazione. Esso consta di tre commi. Il primo attribuisce al conciliatore il potere di consultarsi con esperti su questioni di carattere tecnico, se le parti risultano essere d’accordo e se l’obbligo alla riservatezza viene imposto anche sui terzi, che partecipano alla procedura. Il secondo pone in luce come solo ove venga garantita la riservatezza, le parti si sentiranno libere di condividere le informazioni con il conciliatore. Infine, il terzo sancisce il carattere confidenziale delle osservazioni rese dal conciliatore.
Italia
In Italia i sistemi di alternative dispute resolution sono ancora poco conosciuti ed utilizzati. Ciononostante vi è un crescente interesse nei confronti di tali procedure, come dimostrato dalla riforma del diritto societario e dalle numerose proposte di legge presentate sull’argomento.
La conciliazione stragiudiziale nelle controversie di diritto societario viene disciplinata dal decreto legislativo n. 5 del 17 febbraio 2003 “Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366” e dai regolamenti attuativi 23 luglio 2004, n. 223, recante approvazione delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione a norma dell’articolo 39 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 e 23 luglio 2004, n. 222 recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all’articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5.
La procedura di conciliazione nel nostro paese si ispira al principio della riservatezza. Infatti il comma 3 dell’art. 40 del Dlgs. n. 5/2003 stabilisce che le dichiarazioni rese dalle parti, nel corso del procedimento, non possono essere utilizzate nel giudizio promosso a seguito dell’insuccesso del tentativo di conciliazione, né possono essere oggetto di prova testimoniale. Deroga a questo principio generale viene individuata dal comma cinque del medesimo articolo, dove è previsto che le posizioni assunte dalle parti, sulla proposta di conciliazione presentata dal terzo neutrale, su richiesta di entrambe le parti, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, vengono inserite nel verbale di fallita conciliazione e valutate dal giudice nel giudizio, ai fini della decisione sulle spese processuali.
Oltre alla riforma del diritto societario, l’attenzione nei confronti delle procedure di conciliazione è stata mostrata dalle numerose proposte di legge presentate sull’argomento, tutte riunite nel disegno di legge 2463, meglio conosciuto come progetto di legge Cola. Esso pone in evidenza l’importanza della riservatezza nella conciliazione quando, all’articolo 5, stabilisce che ogni elemento risultante dalla procedura di conciliazione è riservato, a meno che non esistano previsioni normative che escludono questo privilegio o le parti non abbiano disposto diversamente. Esso, inoltre, esclude che il conciliatore, i suoi collaboratori e chiunque venga a conoscenza della procedura per ragioni di ufficio o di servizio possano testimoniare su fatti e circostanze relativi alla medesima.
Sia dal disegno di legge 2463 che dal decreto legislativo n. 5/2003 traspare la consapevolezza del nostro legislatore dell’importanza della riservatezza nella conciliazione, requisito fondamentale e contestualmente garanzia procedurale minima, affinché questo strumento di risoluzione extragiudiziale delle controversie risulti vantaggioso per l’intero sistema di giustizia.
Lituania
E’ interessante terminare lo studio concernente la riservatezza nella conciliazione, analizzando il ruolo che questa garanzia procedurale svolge in Lituania. In questo stato, entrato a far parte dell’Unione Europea il 1 maggio 2004, non vi è ancora una legge che disciplina specificatamente la conciliazione. Conseguentemente, questo modo di risoluzione delle controversie è disciplinato dalla sezione del Codice Civile relativo ai contratti.
Le parti che vogliono conciliare, quindi, nel rispetto delle garanzie procedurali devono determinare, prima che la conciliazione abbia inizio, entro quali limiti le informazioni che si sono scambiate debbano rimanere confidenziali. Tale accordo ha valenza limitata, poiché gli articoli 189 e 191 del codice di procedura civile della Lituania garantiscono solamente le informazioni acquisite dalle poche riconosciute categorie di professionisti, come gli avvocati nell’esercizio delle loro funzioni di rappresentanza o i sacerdoti. Conseguentemente, le parti ed il conciliatore, non rientrando in tale categoria, potrebbero essere costretti a testimoniare. L’unico modo per superare quest’impasse potrebbe essere quello di dimostrare che il conciliatore rientra in questa categoria di professionisti privilegiati, anche se non è semplice.
Si può quindi sostenere che la tutela della riservatezza nella conciliazione è limitata e che le prime garanzie sono state introdotte ratificando convenzioni internazionali quali l’UNCITRAL Model Law on International Commercial Conciliation, che tutelano la riservatezza nella conciliazione.
Riflessioni conclusive
Nell’ultimo decennio si è verificato un notevole sviluppo della conciliazione stragiudiziale. Tale incremento verso l’utilizzo dei modi alternativi di risoluzione della controversia è destinato ad interrompersi, ove non vengano previste delle garanzie procedurali minime da inserire nella procedura di ADR.
In particolare, con questo articolo, si è voluto dimostrare che la tutela della riservatezza è una condizione essenziale per lo sviluppo della conciliazione. Infatti, qualora le parti non avessero la certezza che quanto riferito al tavolo della conciliazione è tutelato dal principio di riservatezza, tenderebbero a selezionare le informazioni da comunicare al conciliatore e alla controparte. In questo modo la conciliazione presenterebbe un difetto sostanziale che potrebbe inficiare il buon esito di tale procedura e disincentivare il ricorso a forme di risoluzione extragiudiziale delle dispute.
Lo sviluppo della conciliazione ha stimolato sia i giudici che il legislatore a pronunciarsi in materia. Ciò nonostante ancora alto è il livello di incertezza. Infatti, non essendosi ancora formato un precedente, l’opinione della giurisprudenza è divisa: alcune corti hanno affermato l’assolutezza del principio della riservatezza (Foxgate, Macaluso), mentre altre ne hanno dichiarato la sua relatività, sostenendo che il conciliatore può essere obbligato a testimoniare (Rinanker, Olam).
Similmente, a livello legislativo, la materia viene disciplinata da una pluralità di disposizioni, che hanno portata assai diversa a seconda dello stato in cui vengono emanate. Tale frammentazione crea una situazione di incertezza, che va a minare il ricorso alle tecniche di risoluzione extragiudiziale della controversia. Tale difficoltà è stata percepita soprattutto a livello internazionale, dove sono state intraprese iniziative, volte a garantire l’uniformità tra le leggi esistenti e conseguentemente stimolare il ricorso allo strumento della conciliazione.
Affinché i contendenti inizino a considerare la conciliazione stragiudiziale come una normalissima tecnica di risoluzione delle liti ed inizino a servirsene con la stessa facilità con cui si avvalgono della giustizia ordinaria, è necessario che il pubblico riesca a percepire che tipo di giustizia possa ottenere ricorrendo a tali procedure. Tale percezione si può formare attraverso l’instaurazione di un precedente e l’emanazione di una normativa chiara e semplice, la quale non deve essere troppo dettagliata. Se così fosse, infatti, si andrebbe a minare la flessibilità del procedimento, che è una delle sue maggiori peculiarità.
Viviana Clementel