Il 13 giugno nell’aula Europa si e’ tenuto il terzo dei quattro incontri sulla mediazione organizzato dall’associazione Avocats sans frontières. L’argomento trattato: “il ruolo del giudice nella mediazione”. Sul palco si sono succeduti illustri magistrati introdotti dal professor Giuseppe De Palo, Presidente di Adr Center.
Ha preso per primo la parola il Dottor Riccardo Fuzio, magistrato della Procura Generale della Cassazione e componente del Csm, che ha posto l’accento sul problema cronico del contenzioso giudiziario, rilevato anche dalla Corte Europea che, nel chiudere la procedura di infrazione a carico dell’Italia, ha considerato quello della giustizia uno dei sette punti critici da risolvere per il nostro paese. Un corollario del problema, ad avviso del magistrato, è l’alto numero di avvocati esistente in Italia che, come già rilevava Pietro Calamandrei ottanta anni fa, è sproporzionato rispetto al numero dei giudici e, a differenza del resto d’Europa, cresce del dieci per cento annuo. L’errore sta anche nella convinzione radicata nella categoria che il ruolo dell’avvocato sia principalmente quello di promuovere cause. I cittadini ricorrono all’avvocato per farsi prima di tutto consigliare, in secondo luogo per farsi rappresentare e solo in ultima analisi per farsi difendere. L’alto numero di cause civili riduce proporzionalmente la qualità della giurisdizione. Oltre tre riforme del processo non sono state in grado di risolvere il problema; è stato anche introdotto, per un breve periodo, il “quesito di diritto” in Cassazione che aveva una sua utilità anche perché induceva l’avvocato a stabilire il quid iuris individuando, se esisteva, la questione di diritto. Ma anche l’obbligo del quesito, al pari delle altre riforme, ha lasciando sostanzialmente inalterato il problema dell’arretrato. In questo panorama già il Presidente Lupo, nel febbraio del 2012, aveva fatto rilevare l’importanza della mediazione come ausilio alla risoluzione del problema. Ma il ricorso alla mediazione può essere produttivo di risultati solo se la mediazione è di qualità, altrimenti fallisce. La figura del mediatore, spesso priva di professionalità, è, secondo Fuzio, la principale imputata del fallimento della mediazione. Bisogna quindi investire nella qualità della formazione: gli avvocati mediatori professionisti partono in vantaggio perché in possesso già di una base di cultura giuridica sul campo e di conseguenza in grado di valutare la questione portata in mediazione in modo più completo, non solo per il suo aspetto conflittuale. Il magistrato ha brevemente richiamato il percorso decennale da lui compiuto come Pretore della sezione lavoro per chiarire che il bravo giudice studia bene e preventivamente la causa, è in grado di cogliere alla base il vero motivo per il quale le parti si trovano in contrapposizione e può valorizzare e sfruttare questa caratteristica per inviare le liti in mediazione delegata: se infatti il giudice è in grado di operare le giuste valutazioni, intuirà subito quale causa è in grado di essere risolta in mediazione e quale invece, per esempio perché concerne una pura questione di diritto, deve essere affrontata in giudizio. Se non sa far questo, il magistrato si troverà nuovamente davanti le parti mandate inutilmente in mediazione. La mediazione delegata è l’opportunità di operare una scrematura più equa di quelle predisposte dal legislatore con i cosiddetti “filtri” procedurali, e rende il giudice protagonista della valutazione nel mantenere a sé solo le questioni essenziali, di marcato aspetto giuridico, e nell’inviare le altre a rimedi alternativi operando una scelta che troppi in questo paese non sono in grado di compiere contribuendo così a risolvere il problema del contenzioso.
Il professor De Palo ha sottolineato alcuni spunti dell’intervento del dottor Fuzio relativi alla necessità di considerare la mediazione uno degli strumenti a disposizione e non un fine, evitandone la mitizzazione; all’opportunità di potenziare il ruolo interventista del giudice con norme ad hoc rimodulando la parte abrogata dell’art. 5.2 del D.L. n.28/10, valorizzando l’invito del giudice alla mediazione e introducendo la novità dell’incontro filtro; compiendo un’opera di potenziamento e insieme di limitazione dell’obbligatorietà. Con l’invio delle parti all’incontro informativo si otterrebbe il triplice risultato di potenziare la figura del magistrato, rafforzare la portata precettiva dell’invito e temperare l’obbligatorietà lasciando le parti libere, una volta informate adeguatamente su cosa è la mediazione, di alzarsi e tornare in giudizio, ma coscienti delle potenzialità che si offre loro con l’ADR. Questo sistema, se da un lato lascerebbe inalterato in partenza il numero delle cause, dall’altro eviterebbe i danni della condizione di procedibilità generalizzata che finisce per mandare automaticamente davanti al mediatore anche questioni oggettivamente non mediabili. E risolverebbe i problemi del contenzioso sicuramente più di quanto non abbiano fatto le varie riforme del processo civile che, intervenendo sulle più varie fasi della causa lasciavano inalterato il “tappo” causato dalla fase finale, quella più complessa perché richiede una motivazione di diritto: la fase della sentenza.
Viene introdotto l’intervento del Dottor Massimo Moriconi, magistrato di merito del Tribunale di Roma, sezione distaccata di Ostia, secondo il quale il D.l. n.28/10 non era da demonizzare come è stato, in quanto contiene molte parti utili che con il tempo avrebbero mostrato la loro efficacia per le finalità volute dal legislatore. Purtroppo la Corte non ha fatto altro che sancire l’avversione, manifestata fin dall’inizio sia dall’avvocatura che dalla magistratura, dovuta alla mancanza di conoscenza profonda di cosa sia la mediazione e soprattutto della differenza che c’è tra mediazione e conciliazione del giudice. Il pregiudizio della magistratura è stato probabilmente causato dal timore di una perdita di potere che si colloca nel più generalizzato conservatorismo che caratterizza il nostro paese. Da un lato va considerato che, senza l’iniziale forzatura costituita dall’obbligatorietà, l’istituto della mediazione, proprio per le italiche caratteristiche, non potrebbe mai prendere piede, ma dall’altro bisogna tenere conto che l’utilizzo dello strumento della mediazione necessita di razionalizzazione e che vanno riviste effettivamente alcune criticità della normativa. Per esempio la scelta delle materie che il D.l. aveva assoggettato a condizione di procedibilità fu operata tenendo conto principalmente dei numeri, e quindi selezionandole senza valutare l’opportunità che quelle in particolare fossero sottoposte a mediazione, ma in base al il più alto numero di cause iscritte a ruolo, in quella materia.
Un ulteriore passo deve essere fatto intervenendo sulle categorie che hanno visto la mediazione con ostilità, introducendo nella valutazione della carriera del magistrato anche il parametro di come, quanto e se egli si sia servito dello strumento della delegata per coadiuvare l’opera sua. Per l’avvocato servono incentivi che diano risalto e valore al suo intervento, come l’esecutività dell’accordo senza necessità di omologa se raggiunto con la presenza in mediazione dei legali. E’ opportuno anche diffondere ed esaltare i dati statistici relativi ai procedimenti dell’anno e mezzo in cui la “media-conciliazione “ è stata operativa: in circa il 95% dei casi le parti si sono presentate al mediatore accompagnate dal proprio legale.
Dopo questa disamina il dottor Moriconi ha illustrato nelle linee generali il sistema che ha utilizzato nel tribunale dove opera per strutturare il ricorso alla mediazione sottolineando che si è tenuto conto anche della possibilità, per il magistrato, di valutare l’efficacia dell’istituto ai fini del ridimensionamento del contenzioso, poiché è evidente che con l’avvio delle parti in mediazione dato dalla condizione di procedibilità il magistrato non ha il polso della situazione, mentre con l’invito in delegata il giudice può valutare la causa e prendere una decisione ponderata.
Il giudice ha un grande potere decisionale e di indirizzo verso questo strumento, e di conseguenza una grande responsabilità se trascura di utilizzare e valorizzare lo strumento fornitogli. In alcune materie come la responsabilità civile auto, la mediazione preventiva presenta dei problemi che si sono evidenziati nel breve periodo in cui questa materia è stata inserita tra quelle obbligatorie. Il giudice può e deve operare una selezione ab imis delle cause. Per le cause selezionate come idonee ad andare in mediazione, ad Ostia è stata predisposta una prima udienza ad hoc per tutte, in una giornata dove non si prevedono altre cause sicché, per esempio, l’invito del giudice viene fatto quando ad ascoltare ci sono le parti di tutti i procedimenti selezionati, così da velocizzare ed ottimizzare la procedura. Il potere di indirizzo del magistrato si riverbera anche sull’avvocato perché, nelle corti dove ci sono giudici che adottano l’invito in delegata, nel medio periodo i legali si adegueranno iniziando a proporre ai propri assistiti il tentativo di mediazione preventivo, posto che andare in giudizio direttamente comporta un’alta probabilità di essere inviati in mediazione comunque. Il legale inizierà quindi spontaneamente a valutare la natura della causa e stabilire se è adatta ad essere risolta in mediazione.
Il dottor Moriconi prosegue evidenziando come il giudice si possa servire dell’art. 4.3 del D.L. n. 28/10, che regolamenta l’obbligo dell’avvocato all’informativa dei propri assistiti sulla possibilità di aderire alla mediazione volontaria. Ove questo avviso fosse stato omesso, il magistrato può convocare le parti personalmente in udienza sfruttando la situazione per informarle. Anche in questo caso l’udienza ad hoc consente di velocizzare ed ottimizzare il procedimento. Semplici accortezze che potrebbero efficacemente essere adottate da ogni corte italiana e che consentirebbero un buon taglio del numero di procedimenti pendenti. Le corti più sensibili ai sistemi ADR si sono dotate di opportuni osservatori per stabilire un ordine delle cause e predisporre udienze in giorni specifici così da monitorare l’efficacia della mediazione per la riduzione del contenzioso. Il dottor Moriconi ha specificato che non è possibile ottenere i numeri esatti del risparmio di giustizia dato dal ricorso alla mediazione, ma che con i dati reali in suo possesso relativi ai “309 parlanti”[1]seguiti all’invito in mediazione, e i dati presunti relativi alla diminuzione delle iscrizioni, ad Ostia hanno stimato prudenzialmente nel 10% la riduzione delle sentenze ottenuta grazie alla mediazione; come dato iniziale, purtroppo vanificato dalla sentenza della Corte Costituzionale, è davvero incoraggiante.
Il professor De Palo ringraziando il dottor Moriconi, evidenzia la differenza sul territorio, poiché esistono delle Corti virtuose e meno virtuose: se Firenze, Prato e Ostia costituiscono fiori all’occhiello, ci sono anche Tribunali come quello di Lecce dove è generalizzato, tra tutti gli operatori del diritto, il sospetto verso l’istituto. Lecce è una realtà geografica che ha avuto mediazioni di pura facciata, con parti aderenti solo per non incorrere nelle conseguenze comminate dalla legge; eppure il dieci per cento delle procedure di mediazione si sono concluse con un accordo, e questo è molto significativo, se si pensa che pressoché la totalità delle istanze di mediazione era presentata con riserva mentale.
Purtroppo la tendenza internazionale dovuta alla scarsità di risorse va verso la riduzione delle garanzie giuridiche al cittadino, se si pensa che in Inghilterra è stato presentato un progetto normativo teso a realizzare la privatizzazione dell’intero sistema giudiziario civile. Per evitare questa pericolosa china dobbiamo imparare ad affidarci ai sistemi ADR senza considerarli la panacea di tutti i mali ma anche senza demonizzarli. Chi ritiene che la mediazione costituisca un ulteriore ostacolo temporale all’accesso alla giustizia, dovrebbe domandarsi se è più paralizzante attendere un massimo di 120 giorni per accedere al giudizio, o rischiare di scivolare nella realtà delle corti anglosassoni dove, per i costi elevatissimi, solo il 4% delle questioni arriva a sentenza. In Italia siamo tutti preoccupati del costante aumento delle spese giudiziarie, ma siamo ancora ben al di sotto della media dei costi europei!
E’ intervenuto a questo punto il dottor Marcello Marinari, di Avocats sans frontières, organizzatore dell’evento e cofondatore del progetto del tribunale milanese, che si è rallegrato del tenore costruttivo dell’incontro rilevando che la platea e i relatori presenti dimostravano di aver acquisito l’etica della mediazione e di esserne responsabilizzati, e auspicandone l’estensione a tutti gli operatori del settore. Ognuno di noi si deve adoperare fattivamente per la diffusione di questa etica perché i principi, pur importanti, non bastano più e c’è necessità assoluta di fatti concreti. Va data rilevanza ai nostri peculiari mezzi processuali, senza demonizzare le realtà giudiziarie italiane a favore dell’importazione dei mezzi anglosassoni perché non è affatto scontato che siano applicabili tout court al sistema giudiziario italiano e soprattutto che siano produttivi una volta adottati. Bisogna prendere atto che la tendenza generale nel mondo occidentale è per la riduzione del contenzioso, a prescindere dal sistema adottato che può essere il più vario, privilegiando sistemi di controllo e di filtro, disincentivi, penalizzazioni. Per non dover subire la preclusione all’esercizio del diritto alla giustizia, i più accorti operatori del settore devono diffondere il senso di responsabilità e di etica tra i colleghi. Non abusare del processo e insegnare ai cittadini a non pretenderlo, per non minare la possibilità di ricorrervi quando è necessario. In Inghilterra, anche con la bassissima percentuale di cause che arrivano alla fine del percorso, assistiamo allo sforzo ossessivo di operare un’ulteriore riduzione, e i pessimisti pronosticano la fine dei dibattimenti entro pochi anni. In ogni caso i loro protocolli Pre – trial, il filtro pre – dibattimento e i costi ingenti, sono tutti sistemi disincentivanti che da noi non ci sono o non sono a livelli paragonabili, anche se in Italia stiamo assistendo ad un lento ma costante aumento di tutti i costi legati al mondo giudiziario. In Inghilterra non c’è obbligo di andare in mediazione perché la potenza dissuasiva di tutto ciò è ben più efficace della nostra condizione di procedibilità. Non dobbiamo sostenere indiscriminatamente l’accesso alla giustizia perché si finirà per non garantire più giustizia a chi ne ha vera necessità, vanno perciò adottate soluzioni che non ci facciano arrivare agli estremi rimedi anglosassoni o al collasso del sistema.
Un modo efficace di promuovere la risoluzione alternativa delle controversie parte dalla costruzione di un rapporto fiduciario tra i magistrati e i professionisti della mediazione, così da tranquillizzare i primi nell’affidamento delle parti ai secondi. Per ottenere questo va perseguita la formazione che valorizzi la figura del mediatore rendendola generalmente paritetica a quella del magistrato; per disarmare la ritrosia del mondo giudiziario nei confronti di quello ADR va realizzata la qualità diffusa. Non dovrebbero esistere organismi o mediatori di basso livello proprio perché il giudice non può e non deve operare una scelta selettiva, e quando formula l’invito deve essere certo che le parti andranno in buone mani.
Il professor De Palo ci ricorda inoltre che la stessa Corte Europea, interrogandosi sulle motivazioni del fallimento della mediazione in Italia, lancia l’ipotesi che manchi la consapevolezza dell’entità del problema giustizia e delle enormi potenzialità delle soluzioni attraverso i sistemi alternativi; si dovrebbe definire meglio il contesto normativo in cui opera la mediazione oltre a integrare, come suggerito dal dottor Moriconi, la valutazione del magistrato anche attraverso l’esame del suo metodo di lavoro e del suo ricorso alla mediazione. Si rende necessaria una nuova legge che preveda almeno inizialmente l’obbligatorietà, pur temperata nell’incontro informativo. Del resto l’ Europa va in quella direzione se pensiamo che, per la realizzazione della propugnata relazione bilanciata tra il numero dei processi e quello delle mediazioni, sta varando una riforma della direttiva della Commissione affari giuridici dell’Europarlamento per prevedere un obbligo delle banche, delle assicurazioni e delle grosse società – in una parola della parte “forte” del conflitto – di sedersi al tavolo della mediazione prima di intraprendere una causa.
Il dottor Francesco Antonio Genovese, Presidente del Tribunale di Prato, porta alla platea il balsamo della esperienza virtuosa della propria Corte testimoniando i primi passi importanti compiuti sul territorio toscano nell’applicazione dell’art. n. 5.1 del D.L. 28/10. A Prato, il numero di iscrizioni delle cause a ruoloè crollato di almeno un terzo dopo l’emanazione del D.L. n.28/10 e questo ha comportato la diminuzione della durata media dei processi rimasti: l’ultima rilevazione è del 30 aprile u.s. e indica un periodo di permanenza delle cause sul ruolo pari a due anni e quattro mesi, sensibilmente più basso della durata media regionale. Per dare certezza alla convinzione che ciò sia dovuto all’utilizzo della mediazione, il magistrato ha illustrato i metodi di studio dei dati concreti e la loro elaborazione con sistemi informatici, visionabili sul sito del Tribunale contenente un report sulle performances. Va ammesso però che Prato, come Ostia, è una realtà piccola, con 8/900 avvocati iscritti all’albo e questo rende più agevole l’opera del magistrato per ottenere un cambiamento che diventi anche un mutamento di mentalità. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale anche qui il ricorso alla mediazione si è drasticamente ridotto, anche se sopravvivono ancora circa sei organismi compreso quello, che racchiude tutti gli ordini professionali, ospitato all’interno del palazzo di giustizia. C’è una grande aspettativa sui prossimi provvedimenti che prenderà questo governo su mediazione e arretrato giudiziario. Si crede che debba essere operata una scelta che tenga conto delle cause in cui esiste un rapporto tra le parti litiganti destinato a durare nel tempo, prescindendo spesso dal valore della causa, poiché ci sono questioni degne di essere decise con una pronuncia giudiziaria in quanto sono necessarie a stabilire un principio generale.
L’Italia ha la peculiarità negativa nel panorama europeo delle lungaggini giudiziarie. Molte volte nelle cause che si sono trascinate per troppi anni le parti hanno perso interesse alla decisione o smarrito la motivazione iniziale che ha spinto a intentare o resistere in giudizio. Si deve lavorare su questa parte di arretrato esplorando l’attualità degli interessi in gioco per stabilire l’utilità di ottenere una sentenza.
Il dottor Genovese fa una riflessione sull’invito del giudice paragonando il precetto dell’articolo 5 c.2 del D.l. n.28/10 al “referral” anglosassone, per concludere che il giudice italiano non sarà efficace quanto il suo collega inglese, non avendo a disposizione l’adeguato contrappeso di sanzioni da comminare ai disobbedienti. Certo nelle piccole città il magistrato sarà ascoltato lo stesso, ma nelle realtà geografiche medie e grandi la carenza precettiva sancisce l’inefficacia dello strumento. Anche per il professor de Palo de iure condendo sarebbe auspicabile che venisse integrata la normativa inserendo il potere del giudice di ordinare, oltre che invitare, alla mediazione. Occorre anche una rinnovata disciplina dei doveri delle parti in giudizio, con particolare riferimento ai soggetti “forti”, prevedendo un dovere di comparizione e un potenziamento delle sanzioni.
E’ stata poi la volta della dottoressa Luisa De Renzis, magistrato romano appartenente all’Associazione Nazionale Magistrati, che ha illustrato la posizione dell’Associazione nei confronti della mediazione delegata, evidenziandone i punti critici. Il ruolo del giudice va senz’altro valorizzato; il ruolo del mediatore avrebbe dovuto essere studiato in modo da rendere questa figura realmente professionale, in grado di far emergere gli interessi sottostanti al conflitto quindi con una preparazione di base ben più importante di quella prevista dalla normativa e con un’esperienza nelle materie oggetto di mediazione. L’ANM sta valutando i suggerimenti da dare al governo per una mediazione che sia di qualità, con costi minori di quelli stabiliti inizialmente e che preveda la premialità in caso di conciliazione. Infine la cultura della mediazione va potenziata, perché non è pensabile di considerare l’istituto solo come mezzo di deflazione del contenzioso o di smaltimento dell’arretrato giudiziario. Riformata in questi termini, la mediazione può essere adottata in tutti i gradi di giudizio e avere utili riscontri.
Il professor De Palo fa notare che anche il Ministro della Giustizia Cancellieri ha posto l’accento sulla necessità di puntare sulla competenza e sulla deontologia della figura del mediatore e di porre attenzione alle situazioni di incompatibilità.
er ultimo ha preso la parola il Dottor Alfonso Amatucci, Consigliere della Corte di Cassazione, che ha aperto il dibattito con i presenti, annunciando che il momento per la mediazione è favorevole, e che il sistema è ineluttabilmente avviato verso il collasso della giustizia civile ed è inevitabile che si strutturerà un sistema compositivo alternativo al giudizio. Sarebbe opportuno intervenire tempestivamente in modo da organizzare al meglio questo binario. Tutti, non solo le parti in causa, hanno convenienza a che la giustizia sia più veloce e più breve, dato che il dissesto giudiziario ha un peso economico che nel nostro paese si calcola in punti di PIL .
Dobbiamo promuovere la mediazione partendo dalla convinzione che tutti i settori ne ricaveranno un utilità. E’ il modo più efficace di sensibilizzare la società. Per rendersi conto della portata del problema, basti pensare che in Cassazione, il giudizio di legittimità ha numeri tali da poter dedicare un solo giorno a ciascuna causa, e questo per giudizi che durano da più di vent’anni, una percentuale alta della vita media di una persona. La convenienza delle parti alle definizioni rapide del loro problema è quindi evidente. Per i magistrati la convenienza è nella diminuzione del carico di lavoro che renderà qualitativamente superiore il “prodotto finale”, la sentenza. Ad avviso del dottor Amatucci bisogna potenziare la convenienza per gli avvocati. La strada è già intrapresa con la previsione di commisurare gli onorari dei legali in mediazione a quelli del giudizio, con la tempistica più favorevole data dai tempi della mediazione. Per velocizzare la definizione delle liti si può prevedere che il Giudice deleghi al mediatore la questione di fatto, trattenendo per sé la quaestio iuris – e questo anche per evitare problemi sulla qualifica del mediatore – chiedendo una proposta di definizione al mediatore con costi punitivi nel caso che il Giudice, richiesto dalle parti, decida secondo la proposta del mediatore. La platea a questo punto ha animato il dibattito chiedendo ai magistrati presenti perché non utilizzassero i mezzi dissuasivi dell’abuso di giustizia forniti dalla legge, quali l’art. 96, l’art. 91 e l’art. 116 cpc, con interventi tra gli altri dell’avvocato Barbantini e dell’avvocato Zanello. I giudici hanno raccolto la provocazione rivendicando di utilizzare quegli strumenti, ricordando che la legge oggi impone la motivazione quando si stabilisce la compensazione delle spese e illustrando le difficoltà di applicare questi rimedi con esempi pratici. Lo scadere del tempo ha trovato tutti rammaricati di non poter proseguire il costruttivo scambio di opinioni.
Il prossimo appuntamento è per il 27 giugno e si dibatterà sulla valenza e sul significato di qualità della mediazione. Argomento reso ancora più importante e attuale dal varo, avvenuto ieri sera, del “decreto del fare” da parte del Consiglio dei Ministri che ha previsto il ripristino dell’impianto dato dal DL n.28/10 con alcune modifiche, tra cui lo stralcio dell’RC auto dalle materie per cui è prevista la condizione di procedibilità, la riduzione dei tempi e la diminuzione dei costi della mediazione e la “promozione” della figura dell’avvocato, che sarà mediatore di diritto.
Avv. Maria Cristina Biolchini
[1] Abbandono della causa
1 commento
Il convegno del 13 giugno u.s. ha rappresentato un indiscutibile momento di arricchimento professionale reso possibile oltre che dall’elevato livello contenutistico degli interventi anche dall’autorevolezza dei relatori intervenuti nonchè dall’interessantissimo dibattito che si è avviato e spontaneamente dispiegato al termine delle relazioni in programma. Ho apprezzato la riflessione sollecitata dall’avv.A.Zanello con riferimento alla mancata applicazione dell’art.91 cpc costantemente rilevata nella prassi giudiziaria e dall’avv.T.Rosania che, nell’avallare quanto rappresentato dal collega, ha sottolineato come una corretta e puntuale applicazione della norma citata, unitamente al 3°comma dell’art.96 c.p.c. e all’art.116 c.p.c., costituirebbe un deterrente al conclamato abuso dello strumento giudiziario.