Devi fare il pane con la farina che hai – proverbio danese
In una fredda giornata d’inverno, Peter Jovanovich, fiero amministratore delegato dell’illustre casa editrice Harcourt Brace Jovanovich (HBJ) e Dick Smith, aggressivo agente commerciale della General Cinema, s’incontrarono nella sala conferenze di un ufficio di Lexington Avenue, a New York. Dopo essersi salutati cordialmente, ma con una certa formalità, ed avere preso posto ai lati opposti di un tavolo, iniziarono a discutere sulla possibile fusione delle aziende da loro rappresentate. A loro fianco, sedevano i rispettivi legali e finanziari, pieni di ottimistiche aspettative per il futuro del merger. Entrambe le parti avevano preparato con cura i discorsi d’apertura.
Dopo mesi di analisi finanziarie, Smith aveva capito che la HBJ costituiva il giusto acquisto per la General, la quale desiderava estendere la propria attività al ramo editoriale. Non era certo sicuro che Jovanovich condividesse le stesse prospettive sulle opportunità che gli si presentavano mediante il merger. Tuttavia, pianificò una presentazione molto dettagliata sulla solidità finanziaria e la reputazione di cui godeva la General. Avrebbe detto che simpatizzava con la sventura finanziaria della HBJ e che desiderava risollevarne le sorti. Al contempo, sarebbe stato cauto a non sollevarne troppo le aspettative.
D’altro canto, la squadra di Jovanovich, che vedeva di buon occhio l’accordo tra le società, lo aveva preparato al ruolo di “ascoltatore” e consigliava una certa cautela: Jovanovich avrebbe dovuto dimostrare interesse, ma non urgenza. Quando Smith iniziò a parlare fu presto interrotto da Jovanovich. I consulenti della HBJ impallidirono. Si chiesero che intenzioni avesse Peter. Jovanovich tirò fuori dal cappotto una scatolina e la pose sul tavolo tra lui e Smith. Dentro c’era un orologio con l’incisione “HBJ”. Lo diede a Smith.
“Quando iniziava un nuovo rapporto d’affari, mio padre regalava sempre un orologio come questo.” Disse Jovanovich. “Sono convinto che la General Cinema è l’acquirente giusto per HBJ.” Era un’ammissione rischiosa, entrambi lo sapevano, ma la tensione nella stanza si attenuò. I due personaggi, insieme ai loro staff, parlarono in modo aperto di come dovesse essere strutturato l’accordo. Le trattative andarono avanti per tutto il giorno.
“Parlare alla montagna”
Passiamo ad uno scenario del tutto diverso. In una valle della Tanzania, molti anni fa, si incontrarono in tarda mattinata due anziani rappresentanti di due distinte discendenze del popolo Arusha. Al di là dei due anziani, comodamente seduti all’ombra, si profilava in lontananza una montagna alta 14.000 piedi, il Monte Meru. Due gruppi di uomini, ai lati opposti della radura, fiancheggiavano gli anziani.
I grandi alberi, che offrivano riparo agli uomini lì convenuti, rappresentavano una sorta di sala conferenze dell’Africa rurale. La foresta che si trovava vicino al villaggio Arusha era il luogo deputato alle discussioni più importanti. In quel caso, gli alberi ospitavano una negoziazione.
I due anziani illustravano in tono formale una controversia sorta tra agricoltori confinanti. Ogni anziano aveva elencato una serie di lamentele, chiedendo un indennizzo per i torti subiti. Entrambi i contadini, supportati dal proprio gruppo, avevano rifiutato a voce alta le richieste dell’altro, argomentando con dovizia di particolari.
I contadini avanzavano entrambi dei diritti su una terra libera posta a metà tra i propri possedimenti, occupata in precedenza da una famiglia del tutto estinta. La disputa tra i contadini aveva portato ad una serie di incidenti: il figlio di un contadino aveva danneggiato la barra di irrigazione dell’altro e questi lo aveva morso per aver oltrepassato il confine. Il padre del ragazzo morso si era recato dagli anziani per chiedere che la lite fosse discussa in un incontro ufficiale.
Il processo in cui erano coinvolti i contadini rifletteva la cultura africana come uno specchio. Per usare l’espressione Arusha che designa la fase iniziale della negoziazione, gli anziani stavano “parlando alla montagna”. La trattativa procedeva bene. Seguì un giorno intero di discussioni. Ognuno aveva portato il pranzo.
Il percorso della negoziazione
Negli esempi precedenti ci troviamo di fronte a due gruppi con culture e problemi distinti. In entrambe le circostanze, però, le parti sono state coinvolte in un processo individuale e contemporaneamente di gruppo. Possiamo definire tale processo “negoziazione”, e cioè un’attività umana immediatamente riconoscibile che aiuta le persone a raggiungere i propri obiettivi e a risolvere i problemi. In entrambi i casi sopra descritti, come vedremo in seguito, il processo si è concluso con un accordo vantaggioso. Il soggetto di questo libro è proprio come e perché la negoziazione possa arrivare a tali risultati.
Le persone negoziano generalmente in modi simili, virtualmente in tutte le culture del mondo, e lo hanno fatto da sempre. Un anziano Arusha seduto nella sala conferenze di New York non avrebbe forse capito le parole che Jovanovich e Smith si sono detti, ma avrebbe riconosciuto lo scopo e il valore del regalo di Jovanovich. La negoziazione degli Arusha riguardava una controversia piuttosto che un accordo da definire. Ma, come vedremo, si è conclusa ugualmente con uno scambio di doni. I regali fanno parte del linguaggio universale delle relazioni umane. Le negoziazioni si basano fondamentalmente sulle norme di reciprocità sottintese in tali rapporti.
Le negoziazioni procedono attraverso una forma prudente di comunicazione cooperativa. Esse comunemente seguono un percorso che si può ripartire in 4 fasi: la preparazione, lo scambio d’informazioni, la negoziazione esplicita e l’impegno finale. Nei complessi accordi d’affari delle metropoli, consulenti legali e finanziari si incontrano e pronunciano discorsi preparati in anticipo. All’inizio discutono i problemi, poi di solito chiedono condizioni più vantaggiose di quelle che si aspettano di ottenere. In Tanzania, gli Arusha programmano l’ordine del giorno, ascoltano le richieste e “parlano alla montagna” facendo offerte e controfferte esagerate. Anche costoro definiscono i fondamenti del futuro accordo e cercano di capire quali segnali provengano dalla controparte. In base a tale processo gli individui trattano con la controparte e arrivano ad un accordo finale. In breve, la negoziazione è una specie di danza universale in 4 fasi. E funziona meglio quando entrambe le parti sono abili.
Siamo tutti negoziatori
Noi tutti negoziamo diverse volte al giorno. Negoziamo come bambini per ricevere le attenzioni, i trattamenti particolari, gli aumenti alla paga settimanale. Negoziamo come adulti per una serie di desideri molto più complessi che però, ad un occhio attento, spesso si riducono alle stesse cose prima menzionate. La negoziazione è una forma di comunicazione umana fondamentale e caratteristica, ma spesso non ne siamo consapevoli. Una definizione unica che ci aiuta a identificare la negoziazione potrebbe essere questa: “un processo di comunicazione interattivo che può avere luogo quando vogliamo qualcosa da qualcun altro o un altro individuo vuole qualcosa da noi”. Negoziamo al tavolo della nostra cucina tanto quanto al tavolo delle trattative. Ma le nostre relazioni e il nostro ruolo professionale a volte ci fanno pensare che, invece della negoziazione, la cooperazione completa e il sacrificio siano le risposte giuste a molte richieste. Quando una tempesta invernale mette fuori uso l’elettricità nel quartiere e un vicino di casa ci chiede aiuto non trattiamo con lui ma rispondiamo immediatamente. Se il nostro lavoro ci spinge a fornire un’assistenza di tipo standard ai clienti e un cliente ha bisogno di qualche cosa, noi prestiamo aiuto.
Anche questi esempi banali di situazioni in cui la negoziazione non sembra coinvolta rientrano, in realtà, nelle relazioni caratterizzate da norme di reciprocità. Se il vostro vicino di casa tenesse delle feste rumorose, che durano fino a notte fonda nonostante le vostre proteste, fareste passare in secondo piano la sua richiesta di aiuto. E i clienti cui forniamo assistenza, in realtà, ci consentono di aumentare il giro d’affari. C’è un guadagno reciproco. Le situazioni che attivano cooperazione e sacrificio allo stato puro, senza che ci sia un vantaggio reciproco, sono piuttosto rare. Per il resto siamo coinvolti sempre in negoziazioni, nell’accezione più ampia del termine.
Non tutte le negoziazioni sono uguali. Negoziare con i membri della famiglia e con gli amici su cose come orari, pasti, obblighi e mansioni è per noi la risoluzione di un problema piuttosto che una trattativa. La ragione è che noi di solito negoziamo con le persone alle quali vogliamo bene in modo diverso dal consueto.
Al di fuori dell’involucro protettivo delle nostre relazioni più strette, affrontiamo un mondo complesso di negoziazioni con banche, negozi, hotel, aeroporti, compagnie di carte di credito, sanità e altri servizi che accompagnano la nostra vita quotidiana. Nei paesi industrializzati molte di queste negoziazioni relative al consumo sono mediate dal mercato; si pagano i prezzi contrassegnati sulle etichette. Come stanno imparando in fretta i consumatori americani, tuttavia, abbiamo uno spazio piuttosto ampio di contrattazione con ospedali, magazzini e altri fornitori di servizi. Il modello “assistenza clienti” spesso vuol dire che c’è un prezzo contrassegnato sull’etichetta per quanti vogliono pagarlo e un altro, inferiore, per chi vuole contrattare.
In altre parti del mondo c’è un rituale esplicito per mercanteggiare nelle vendite al dettaglio. Nei mercati all’aperto indiani o egiziani i commercianti fanno assegnamento sulla negoziazione per realizzare anche la vendita più semplice. In queste società la negoziazione non è solo un evento relativo agli affari, ma anche una forma importante di espressione personale e di intrattenimento.
Infine, sul lavoro dipendiamo abbiamo bisogno di tutta la nostra abilità negoziale per far eseguire gli ordini ai colleghi, ai superiori, ai fornitori e, al livello superiore, all’amministratore delegato e alla direzione generale. Infatti, le trattative di grandi compagnie e di istituzioni pubbliche per risolvere problemi interni sono tra le situazioni negoziali più comuni e problematiche che molte persone affrontano giornalmente.
A causa di tutto ciò, come ho sottolineato nell’introduzione, molte persone razionali sono infastidite e imbarazzate dalla negoziazione. L’affrontano con ansia. I conflitti interpersonali, la possibilità di perdere ingenti somme di denaro, il rischio di essere truffati e anche il pensiero di avere concesso troppo alla controparte mettono a disagio.
Conoscere il processo negoziale e le sue strategie fa diminuire l’ansia e consente di ottnere risultati negoziali migliori. E il punto di partenza è lo stesso per tutti i negoziatori: lo stile negoziale.
Qual è il vostro stile?
Il vostro stile negoziale personale è una variabile molto importante nella negoziazione. Se non sapete come vi comporterete in condizioni diverse, non sarete in grado di pianificare strategie e risposte efficaci.
Steve Ross, ultracompetitivo fondatore della Warner Comunications e successivamente amministratore delegato della Time Warner, mentre era in viaggio su un aereo aziendale della Warner, stava giocando a canasta con sua moglie ed un’altra coppia. Aveva perso l’ultima partita proprio nel momento in cui l’aereo stava per atterrare; per questo ordinò al pilota di girare intorno all’aeroporto finché non ne avesse vinta una. Ciò era tipico della maniera in cui Ross giocava le sue partite negli affari, e le persone che negoziavano con lui ne tenevano conto.
Al contrario, Larry King, il popolare conduttore del programma di interviste della CNN, Larry King in diretta, ha la reputazione di essere uno degli uomini più buoni della tv. Nel 1987, l’agente di King cerco di far fare a Larry delle offerte competitive da alcune reti televisive. L’idea era quella di chiedere a Ted Turner, capo della CNN, un aumento del cache di King.
Arrivarono offerte a 7 cifre da parte di varie emittenti; Turner, però, non si fece avanti. L’agente allora riferì a Turner che King se ne sarebbe andato se non gli avesse fatto un’offerta competitiva.
Turner conosceva King da anni e sapeva che era una persona fedele e cooperativa, non un negoziatore aggressivo. Nonostante l’agente fosse seduto proprio lì davanti, Turner chiamò al telefono direttamente King. Dopo aver parlato dei vecchi tempi e aver detto a King quanto lo apprezzasse, Turner fece la sua offerta, chiedendo a King semplicemente di rimanere.
“Ok- rispose King- resterò”. L’agente non credeva alle proprie orecchie. Ma King era soddisfatto del denaro che guadagnava. Gli piaceva Turner e il fatto che a Turner lui piacesse. Ted dette a Larry un aumento piuttosto scarso.
La lezione è questa: se siete fondamentalmente persone accomodanti e buone, non cercate di diventare come Steve Ross al tavolo negoziale. Non funzionerà. E se siete fondamentalmente competitivi, non cercate di convincere la gente che siete dei santi. Siate voi stessi ed impegnatevi ad utilizzare lo stile che avete in maniera più efficace.
Tratto dal libro “Strateghi della Negoziazione” di Richard Shell – Ed. italiana a cura di Giuseppe De Palo e Leonardo D’Urso