In un commento dal titolo assai chiaro (C’è da razionalizzare la giustizia, non da razionare la giurisdizione, Corriere del 26 gennaio), Luigi Ferrarella si duole dell’apparente affermarsi di un’idea di giustizia come risorsa che lo stesso Primo Presidente della Corte di Cassazione Ernesto Lupo, nella sua incisiva relazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario ha definito “… limitata, delicata, costosa e preziosa”, da riservarsi “a garanzia di beni fondamentali affidando gli altri beni a valide e diverse forme alternative di tutela”. L’inevitabile tensione tra un processo perfetto e uno che si conclude in tempi ragionevoli è poi emersa nella relazione del Presidente della Corte di Appello di Milano (“La giustizia non è un’azienda”) e nelle parole del collega di Torino (“La giustizia rapida è anche di qualità”) in un intervista del 29 gennaio (sempre Corriere).
Tra le altre manifestazioni di questa nuova idea di giustizia-servizio, contrapposta a quella di giustizia-funzione, secondo Ferrarella vi sarebbe il “dirottamento obbligatorio sulla mediazione civile di sempre più materie devolute a decisori privati di non sempre limpide indipendenza e competenza”.
Nell’attesa che la Consulta si pronunci sulla costituzionalità delle nuove norme sulla mediazione, e in vista del 21 marzo, quando il previo tentativo di conciliazione diverrà condizione per adire il giudice civile anche in materia di RC auto e condominio, giova chiarire alcuni aspetti fondamentali e sviscerare le cifre reali della mediazione.
Per cominciare, il mediatore non è “decisore” di alcunché, ma si limita ad aiutare le parti a raggiungere un accordo che da sole, o con l’aiuto dei loro avvocati, evidentemente non sono riuscite a trovare. Poiché in Italia solo il 44% delle liti civili termina con una sentenza, il tentativo obbligatorio di mediazione prima che il processo inizi (ossia quando le parti e lo Stato iniziano a spendere soldi) ha lo scopo di anticipare l’esito che nel 56% dei casi si verifica comunque, ossia il raggiungimento di un accordo transattivo. Quanto alle materie oggetto di tentativo preliminare, esse non sono affatto aumentate; RC auto e condominio sono state rinviate, rispetto alla previsione originaria, per dare tempo agli organismi di mediazione di attrezzarsi a gestire volumi di lavoro così imponenti. A proposito poi della qualità, è doveroso ricordare che il legislatore è intervenuto, con il DM 145/2011, richiedendo al mediatore designato una specifica competenza professionale, desunta anche dalla tipologia della laurea (oltre alla formazione obbligatoria e continua è previsto un tirocinio obbligatorio ogni due anni, che non ha precedenti in Europa). Ferrarella non lo dice, ma avrebbe ragione da vendere se sostenesse che, essendo letteralmente esplosa l’offerta dei servizi di mediazione, i controlli dovrebbero essere serratissimi.
Lo stesso DM 145 ha poi ridotto significativamente i costi massimi della mediazione obbligatoria, e liberalizzato i minimi. Non si tratta di un “dettaglio”, specie per chi sostiene l’eccessiva onerosità della mediazione, ma nel brevissimo spazio di un commento un’omissione del genere ci può stare. È al contrario del tutto inaccettabile che in uno degli atti d’intervento presentati alla Corte Costituzionale, per dimostrare l’eccessiva onerosità della mediazione obbligatoria, si trascriva la tabella con i costi (più alti) della mediazione volontaria.
Altrettanta chiarezza va fatta sui risultati della mediazione. Oltre 10 mila istanze al mese sono un record in Europa. Un tasso di successo del 52% quando le parti s’incontrano di fronte al mediatore è poi straordinario, specie se si considera che un altissimo numero di procedure è – fisiologicamente – gestito dagli organismi istituiti dall’avvocatura, una cui parte contesta anche platealmente, dal primo momento, il nuovo istituto. In merito ai tempi, a chi lamenta che la mediazione, quando fallisce, prolunga la durata del contenzioso va ricordato che la durata media in Italia di una mediazione è di 53 giorni; assai meno dei 120 massimi previsti per legge, che di per sé sono comunque nulla rispetto alla durata media di una causa civile. A proposito di tempi e costi, merita sicuramente ricordare che <<la giurisprudenza consolidata [della Corte Costituzionale] ritiene che l’art. 24 della Costituzione, laddove tutela il diritto d’azione, non comporta l’assoluta immediatezza del suo esperimento, ben potendo la legge imporre oneri finalizzati a salvaguardare interessi generali (Sent. 276/2000). L’interesse generale, evidentemente, in questo caso è il buon funzionamento, e quindi l’esistenza stessa, della giustizia civile.
Ma questi dati celano molto altro. Nelle materie ove da marzo 2011 è previsto il tentativo obbligatorio di conciliazione si è avuto un calo di nuove cause, rispetto all’anno precedente, che le prime stime calcolano del 30%! Un altro record, probabilmente mondiale. In altre parole, il contributo della mediazione al decongestionamento dei tribunali e – per dirla questa volta nello stesso senso di Ferrarella – a creare i “necessari filtri alla domanda patologica di giustizia”, non si misura solo con le mediazioni andate a buon fine, ma anche con le cause (verosimilmente frivole) mai iniziate, e con gli accordi tra privati, o tra i loro avvocati, che portano alla chiusura bonaria di una lite prima ancora di esperire la mediazione.
In sostanza, guardare al potenziamento della mediazione come una deriva aziendalistica è riduttivo e soprattutto inutile. Lo stesso potrebbe dirsi circa l’aumento del contributo dovuto allo Stato per fruire del servizio giustizia, che rappresenta un fenomeno pan-europeo (da ultima, la civilissima Olanda). Se non si riducono i flussi di nuove cause, non solo la situazione non si normalizzerà mai, ma i molti milioni di cause pendenti continueranno a gravare come un macigno sull’intero sistema Italia. Va poi detto senza ipocrisia che non vi saranno mai risorse pubbliche sufficienti a garantire una sentenza, di qualità e in tempi ragionevoli, per ogni causa avviata, non solo in tempi di crisi e a popolazione crescente. La giustizia è infatti un “bene superiore”: più ricca, in tutti i sensi, è una società, più alta è la domanda di giustizia (aumentando il numero dei giudici, cioè, aumenterebbero anche le nuove cause). Quandanche vi fossero sufficienti risorse pubbliche per una società “tribunale-centrica”, ove ogni lite civile si risolve con sentenza, si perderebbe una straordinaria ricchezza, ossia la possibilità dei litiganti, laddove aiutati da un mediatore competente, di autodeterminare la (migliore) soluzione della vertenza, raggiungendo così accordi di qualità superiore. A questo proposito, mi piace ricordare la motivazione principale del programma di mediazione delle liti civili e commerciali dei tribunali sloveni, che cita la riduzione dei costi e dei tempi della giustizia, e del carico di lavoro dei giudici, dopo “il livello di soddisfazione delle parti con la procedura di soluzione della lite”.
Ancora Ferrarella ci ricorda, correttamente, che il “Consiglio d’Europa individua l’efficacia [della giustizia] come capacità di emettere decisioni che non solo arrivino entro un termine ragionevole, ma siano anche di qualità”. Occorre aggiungere però che l’Unione europea ha chiesto altresì di introdurre la mediazione nel 2008. E se il Parlamento di Strasburgo è intervenuto di recente a sostegno della mediazione, citando la positiva esperienza italiana di mediazione obbligatoria, la Commissione di Bruxelles continua a finanziare la formazione degli avvocati e dei magistrati dell’Unione perché favoriscano la mediazione.
In conclusione, tra giurisdizione e mediazione esiste un rapporto virtuoso. Va quindi cercato un equilibrio al momento inesistente, vista la stragrande maggioranza delle cause rispetto alle mediazioni.