La discussione sull’abnorme domanda di giustizia in Italia sta portando a elaborare soluzioni concrete lungo due direttrici principali. La prima, ovviamente, è quella di rendere più efficiente il processo civile. Ad esempio, Piero Trimarchi di recente non ha esitato a invocare un limite alle “eccessive possibilità di proseguire la lite sino alla Cassazione” per le cause futili, ritenendo “il rischio di una decisione errata […] tollerabile come parte degli inconvenienti derivanti dalla convivenza civile”.
La seconda direttrice della discussione è l’opportunità o meno di convogliare parte rilevante di questa domanda di giustizia fuori dal processo. Il dibattito è attualissimo perché, con l’entrata a regime dell’impianto normativo disegnato dal decreto legislativo 28 2010, diverse centinaia di migliaia di cause civili all’anno sono destinate a prendere la via degli organismi di mediazione. Il tema della mediazione delle liti civili, di cui mi occupo oramai da diverso tempo, è oggetto di forti critiche da parte di alcune componenti dell’avvocatura e merita quindi particolare attenzione. Partiamo dai dati appena sentiti.
Secondo il Ministero della giustizia, il numero delle mediazioni avviate e accettate in Italia sale costantemente, anche quando il tentativo non è obbligatorio. La durata media di una procedura si aggira sui 50 giorni. L’accordo si trova in un caso su due.
Sono dati di straordinaria rilevanza: la lite che si estingue in 50 giorni comporta un risparmio di tempo, rispetto ai quasi 3.000 giorni che occorrono per una sentenza di Cassazione, enormemente maggiore dell’aggravio (di soli 50 giorni, appunto) che si ha quando la conciliazione fallisce e occorre imbarcarsi in anni di battaglie legali. Secondo uno studio pubblicato sul sito del Parlamento europeo, se tutte le cause civili in Italia passassero prima per la mediazione sarebbe sufficiente un tasso di successo del 4% perché si generino risparmi di tempo. Quando una lite su due si risolve mediando, non 4 su cento, il risparmio per la collettività è quindi astronomico.
Ma i contrari alla mediazione insistono: le migliaia di cause chiuse dai mediatori da marzo 2011 a oggi sono un nonnulla – si osserva – rispetto ai circa 5 milioni di processi civili pendenti. L’osservazione è infondata. Le mediazioni di successo vanno raffrontate con il numero di cause che, in questi primi mesi, sono state interessate dal tentativo obbligatorio, che sono “solo” alcune centinaia di migliaia. I fautori della mediazione allora rilanciano: visto il tasso di successo della mediazione quando le parti accettano di sedersi al tavolo, l’opportunità politica di costringere le parti a tentare la via della mediazione è incontestabile.
La contrapposizione tra un processo statale (lungo e inefficiente) e una mediazione privatistica (rapida e poco costosa) è tuttavia fuorviante. Tra processo e mediazione, infatti, deve esistere “un’equilibrata relazione”, come abbiamo sentito. Per arrivare all’equilibrio occorre una rivoluzione culturale, da non confondere con l’aspirazione illusoria – a mio modo di vedere – a nuova “cultura della mediazione”, intesa come movimento “dal basso” per cui i litiganti dovrebbero, spontaneamente e di colpo, prediligere modalità non contenziose di gestione della litigiosità. La rivoluzione consiste nel mettere al centro la lite e i suoi protagonisti (cittadini e aziende), invece del processo e i suoi professionisti (giudici e avvocati).
Questa rivoluzione, che trova nella mediazione professionale il substrato più forte e naturale, fu teorizzata a Minneapolis nel 1976 da Frank Sander, durante la famosa “Pound Conference”, con giuristi, politici e scienziati sociali a confronto sulle possibili soluzioni alla crisi della giustizia in America. La proposta più brillante, riferibile al professore ora emerito a Harvard, fu ribattezzata della multi-door courthouse: nei tribunali non si dovrebbe trovare più solo la porta (door) dell’aula di udienza dove siede il giudice, ma anche quella che conduce all’ufficio dell’arbitro, del mediatore, del perito e così via, in base alla natura e alle specificità della singola controversia. Questo dal punto di vista dello Stato che organizza e offre il servizio giustizia.
Dal punto di vista del cittadino fruitore di quel servizio, opporsi aprioristicamente alla richiesta dello Stato di comportamenti più virtuosi in materia di accesso alla giustizia — tra cui appunto il maggior utilizzo della mediazione – secondo me è come invocare il diritto a non fare la raccolta differenziata dei rifiuti, finendo per intasare l’unico grande contenitore, ossia il processo civile, in cui finisce tutta la domanda di giustizia. Occorrono invece più contenitori, ossia molteplici sistemi di risoluzione delle controversie, e norme coraggiose per incentivare, a seconda dei casi, l’uso degli uni o degli altri, e in particolare del più appropriato a seconda delle circostanze. Di sicuro, creare e promuovere questi sistemi alternativi o contenitori è meglio che attendere, lamentosamente, l’ennesimo rapporto internazionale che “scoperchia” l’ultimo record negativo della giustizia civile italiana.
Sono molto dispiaciuto di non poter partecipare di persona a questa fase dei lavori perché, anche in ragione di quello che è stato il mio mestiere per lunghissimi anni, ho particolarmente a cuore il tema dei controlli, in questo caso sull’attività dei mediatori e degli organismi di mediazione. E sui controlli — e lo dico nel modo più diretto possibile — mi aspetto dal Governo un’azione la più immediata, capillare e approfondita possibile. Ne va della stessa sopravvivenza dell’istituto coraggiosamente introdotto, e serve anche per mostrare alla nostra Corte Costituzionale che il sistema creato ha pieno, pienissimo diritto di cittadinanza anche in ragione della qualità che concretamente assicura.
Mi è infatti giunta notizia certa che alcuni organismi di mediazione, tra le altre gravi irregolarità: retrodatano il ricevimento delle istanze di mediazione (per accaparrarsi istanze presentate dalla parte più diligente a un altro organismo), richiedono indennità non dovute (ad esempio per il rilascio del verbale positivo di mediazione) e addirittura formalizzano convenzioni basate sulla “retrocessione” di parte delle indennità di mediazione versate dalla parte istante. Questi comportamenti vanno stroncati sul nascere.
Per contro, mi è anche giunta notizia di proposte “indecenti” da parte di grandi compagnie che proporrebbero agli organismi di mediazioni di sottoscrivere condizioni operative talmente onerose da pregiudicare sicuramente, oltre alla neutralità, la professionalità del servizio reso. Su questo aspetto, auspico che il Governo intervenga con delle linee guida che, senza togliere libertà al mercato, prevengano degenerazioni che non sono, tra l’altro, nell’effettivo interesse di alcuno.
Sono ovviamente consapevole che mettere in campo un sistema serio di controlli, produrre linee guida e così di seguito richiede risorse, e tutti sappiamo che questi sono tempi particolarmente difficili. Questo, tuttavia, non significa affatto che si debba restare con le mani in mano. In proposito, ho il piacere di informarvi che il ministro Paola Severino, qualche settimana fa, ha risposto favorevolmente a una mia sollecitazione in favore dei controlli. Per contrastare i fenomeni surriferiti, mi ero infatti permesso di suggerire al Ministro l’introduzione di un contributo annuo a carico di tutti gli operatori della mediazione. In aggiunta ai controlli, i fondi raccolti consentirebbero di finanziare anche l’informatizzazione del Registro, che potrebbe così fornire agli utenti dei servizi di mediazione informazioni determinanti in tempo reale, quali quelle relative allo stato dei singoli mediatori e organismi al momento dell’omologa del verbale di conciliazione. Un simile contributo per gli iscritti a un registro ministeriale esiste da tempo, ad esempio, per i revisori contabili.
Ho appresso con comprensibile soddisfazione – dicevo – che questa proposta è ora all’attenzione dei tecnici del ministero; spero pertanto che presto saranno approvate misure concrete per attuarla. Ovviamente, spero altresì che la discussione di oggi fornisca altre e magari migliori idee, e poi soluzioni, per raggiungere l’obiettivo comune.
Piero Luigi Vigna
4 commenti
Sta succedendo di tutto e il Ministero dorme. A me e a molti latri colleghi avvocati un organismo ha offerto di retrocedermi il 50% delle indenntà incassate dai miei clienti.
Confermo quanto scritto da Salvatore. Occorre inviare la Guardia di Finanza.
Siamo lieti di apprendere che il Dott. Piero Luigi Vigna ha recentemente proposto al Ministro della Giustizia Paola Severino di attivare nuove e più incisive misure di controllo nei confronti degli organismi di mediazione registrati presso il Ministero della Giustizia.
Gli organismi di mediazione operano sempre in modo corretto e in linea con il loro codice etico? Ci sono organismi che sfruttando la loro posizione influenzano l’andamento delle mediazioni sulla base delle indicazioni di una parte o dell’altra? E’ sempre rispettato il principio di imparzialità? Le sedi operative dell’organismo sono idonee? E sopratutto, capita qualche volta che uno studio legale ospiti una sede operativa di un organismo? Gli avvocati informano sempre correttamente il cliente in merito all’opportunità della mediazione o si limitano semplicemente a liquidarla come un adempimento burocratico chiedendo al cliente delega per presentarsi lui avvocato alla mediazione in rappresentanza della parte? Le convocazioni alle controparti avvengono correttamente?
Molte di queste domande possono essere chiarite agevolmente attraverso un sistema di controlli incrociati.
Per esempio, per verificare se un organismo effettivamente ha sede presso uno studio legale basta controllare sul registro degli organismi e all’ordine degli avvocati dove ha sede l’organismo.
In altri casi, basta verificare se un organismo ha pagato consulenze ad avvocati e a che titolo. Considerato che molti organismi sono composti da legali, molte di queste consulenze sono quantomeno sospette.
Altri controlli invece richiedono più tempo e sicuramente più danaro. Certamente dovrebbero essere competenza più della Guardia di Finanza o dell’Ordine degli Avvocati competente più che del Ministero Giustizia che di soldi per attivare nuovi controlli non è che ne abbia molti.
In quest’ambito, la richiesta di Vigna rivolta al Ministro in un contributo da parte di tutti gli organismi per finanziare nuovi e più accurati controlli è sicuramente lodevole.
Crediamo però che questo contributo dovrebbe essere parametrato al peso effettivo dell’organismo: più l’organismo fattura e più paga. In sostanza il contributo dovrebbe essere una percentuale del fatturato annuo.
Sommessamente ci permettiamo di fare questa specifica perchè pretendere lo stesso contributo da tutti gli organismi senza distinzione significherebbe disapplicare l’art. 3 della cost. che appunto prevede che lo Stato “dovrebbe” adoperarsi per rimuovere gli ostacoli che stanno alla base delle diseguaglianze.
Inoltre ci permettiamo di sottolineare che il miglior controllo sul territorio lo possono fare gli stessi organismi (quasi mille ad oggi sul territorio nazionale) che naturalmente a fronte di una concorrenza leale dovranno loro stessi attivarsi per verificare che l’operato degli altri organismi sia coerente e in linea con la normativa in materia, segnalando le eventuali presunte irregolarità ad un apposito sportello presso il Ministero il quale dovrà poi conseguentemente agire.
Vale sempre il motto Kennediano: “Non chiedere ciò che lo Stato può fare per te ma chiedi piuttosto cosa Tu puoi fare per lo Stato”
E in tempi di crisi economica è quantomai valido
Grazie quindi al Dott. Vigna per l’autorevole proposta e confidiamo che il Ministro accolga anche questa nostra considerazione.
http://www.mediazionefacile.it
Comunque è da tener conto realtà come quella della Camera di Conciliazione degli Avvocati di Roma che si vanta di aver reso, di fatto, facoltativa la mediazione obbligatoria. Con una correzione del regolamento hanno previsto che (art.13 h) che qualora una parte dichiari alla prima sessione che non vi sono i presupposti per la conciliazione, il mediatore deve redigere immediatamente verbale dichiarando concluso il procedimento.
Tale tipo di impostazione, fa si che la mediazione venga percepita dagli utenti del diritto come una mera formalità (nè più né meno come il tentivo di conciliazione endoprocessuale). Considerato quanti depositano domanda di conciliazione, attraverso i loro avvocati, presso la Camera di Conciliazione dell’Ordine avvocati di Roma, ben si comprende il danno che di fatto si reca all’operatività dell’istituto ed a quanti vorrebbero operare al meglio perché la procedura si affermi nel nostro paese.