È oramai opinione concorde, che la principale causa dell’insostenibile durata dei processi civili in Italia deriva dall’ingolfamento dei tribunali da contenziosi pretestuosi che rallentano quelli reali. Il sistematico abuso del servizio giustizia civile ha prodotto un carico di lavoro insostenibile per i giudici, generando scarsità di risorse di mezzi e di personale, che a sua volta ha allungato la durata dei processi avendo come effetto ultimo una barriera all’accesso a una sentenza tempestiva, costi per cittadini e imprese valutati in un punto di Pil, restrizione dell’accesso al credito, ulteriore divario tra Sud e Nord e mancata attrattività degli investimenti esteri. A completare il quadro, vi è una connessione spesso poco considerata. Negli ultimi vent’anni l’aumentare spropositato del ricorso pretestuoso alla giustizia civile ha drenato giudici e risorse alla giustizia penale indebolendo la lotta giudiziaria alle mafie e alla criminalità, rallentando i processi degli imputati in attesa di giudizio e facilitando la prescrizione delle pene. Circa due terzi del budget dei tribunali è infatti dedicato alla giustizia civile, dovrebbe essere il contrario. Negli Stati Uniti, ad esempio, l’utilizzo di giudici, aule e cancellieri per celebrare i processi penali ha sempre la priorità rispetto ai processi civili.
Come siamo arrivati a questo punto dato che nessun sociologo al mondo ha mai dimostrato che gli Italiani sono più litigiosi di altri popoli? Un falso mito utilizzato superficialmente per giustificare la corsa al tribunale. Come si possono disincentivare i contenziosi pretestuosi per “proteggere” quelli reali e al contempo rendere più efficiente la giustizia penale? L’analisi economica applicata alla giustizia ci può dare una risposta. Con le lenti di un economista, la situazione disastrosa è l’ovvia conseguenza dell’assenza di una chiara strategia di politica economica della giustizia. Con alcune eccezioni che hanno reso possibile la recente inversione del trend crescente delle sopravvenienze (introduzione del contributo unificato nelle OSA, tentativo di mediazione obbligatoria, divieto di liquidazione delle parcelle in misura maggiore all’importo del contenzioso, etc…), non c’è dubbio che negli ultimi trent’anni l’approccio squisitamente giuridico è prevalso grandemente su una visione economica. Alcuni semplici esempi lo dimostrano chiaramente.
In Inghilterra le spese per gli uffici giudiziari sono recuperate per il 35 per cento dalle parti che ricorrono al servizio, in Germania la percentuale è di due terzi. In Austria addirittura del 110 per cento. Lo Stato italiano invece incassa solo l’8,7 per cento (dati CEPEJ) dei circa 4,3 miliardi di budget dedicato alla giustizia civile (dati del Ministero della Giustizia). Ogni causa civile costa allo Stato circa 517 euro, tra stipendi dei giudici, staff e strutture, a fronte di una entrata media di solo 47 euro. Occorre in primo luogo considerare la giustizia civile come un servizio (al pari della sanità o dei trasporti) di cui lo Stato deve chiedere agli utenti il prezzo effettivo per la sua erogazione almeno per coprire il 50% dei costi. Il buco di bilancio della giustizia civile tra 3,5 e 4 miliardi è invece quasi interamente a carico della collettività e stimola un effetto noto come moral hazard: le persone sono incentivate a comportamenti rischiosi quando vi è un’alta probabilità che i costi associati a un eventuale esito negativo ricadano sulla collettività. C’è di più. Lo Stato tramite il giudice si preoccupa più di liquidare – quando ahimè non compensa le spese – il giusto onorario del legale della parte vittoriosa e non di recuperare le reali spese processuali sostenute. Un esempio estremo di questa dicotomia è riscontrabile nella causa CIR-Fininvest in cui i giudici hanno liquidato compensi agli avvocati di CIR per oltre 8 milioni di euro a carico di Fininvest e, a fronte di decine di udienze di tre magistrati, spese processuali di solo € 3.258,75.
Per evitare questi effetti economici distortivi, occorrerebbe semplicemente introdurre la certezza assoluta, all’inizio del processo, che chi perde, e non la collettività, paga il conto: le spese effettivamente sostenute dallo Stato, calcolate in base alle ore impiegate dal giudice, più una quota fissa per la struttura, oltre al rimborso al vincitore delle spese processuali e legali eventualmente anticipate. Si tratterebbe di un “ticket” automatico in uscita, mentre il contributo unificato dovrebbe rappresentare solo un acconto all’entrata. Le maggiori entrate consentirebbero di aumentare il tetto di reddito per l’accesso al gratuito patrocinio, di investire sull’informatizzazione dei tribunali e sullo smaltimento dell’arretrato. Al giudice sarebbe solo richiesta una puntuale motivazione delle eccezioni alla regola della soccombenza, separando nettamente la sua autonomia nella redazione della sentenza da quella meramente amministrativa-gestionale della quantificazione delle spese a favore dell’Erario. In caso di mancato pagamento, come già avviene con successo nel penale, il recupero deve essere affidato a Equitalia Giustizia che iscrive a ruolo il credito.
Un altro esempio. Con un tasso legale fissato ex ante dal Ministero dell’Economia negli ultimi tre anni dell’uno, uno e mezzo e due e mezzo per cento, uno degli investimenti finanziari più certi e redditizi è ancora oggi quello di non pagare i creditori e resistere in giudizio lucrando sulla differenza sui tassi di interesse del debito. Oggi il trascorrere del tempo gioca a favore del debitore, occorre invertirne la convenienza. Il ministro Vittorio Grilli dovrebbe immediatamente agganciare in maniera automatica, e non predeterminata, il tasso di interesse legale di due o tre punti al di sopra dell’andamento dei mercati e dell’inflazione. Con un tasso legale del 5,5 o il 6 per cento, si renderebbe sconveniente economicamente al debitore resistere temerariamente in giudizio e si favorirebbero le transazioni delle cause in corso.
Al fine di dividere il rischio e i costi del contenzioso, come in Germania o in Trentino Alto Adige, occorre stimolare la diffusione in tutt’Italia dei contratti assicurativi di tutela legale anche tramite la loro obbligatorietà per alcune categorie o contratti ad alto rischio di contenzioso. In questo modo, se si vince o se si perde, i costi degli avvocati, delle perizie e delle spese processuali saranno coperti da una polizza assicurativa, il cui premio aumenterà se il soggetto ne approfitta.
Infine, per ridurre l’enorme arretrato invece invece di ipotizzare nuove sezioni stralcio a carico dello Stato si dovrebbero incentivare le parti in lite e i loro consulenti al ricorso a procedure extragiudiziali (mediazione o arbitrato) utilizzando per un determinato periodo di tempo dei robusti incentivi fiscali sugli accordi, sui lodi e sugli onorari dei legali. Ad esempio, esentando dall’imposta di registro i verbali di accordo e i lodi arbitrali fino al valore di 500.000 i contenziosi pendenti da oltre due anni presso i tribunali. Come dimostrato, allo Stato costerebbe meno rispetto al proseguimento dei processi in corso.
E’ opportuno quindi un processo di liberalizzazione nella giustizia civile attraverso una positiva sinergia tra pubblico e privato come accaduto in mercati simili (sanità, istruzione, trasporti, etc…) riducendo il monopolio dello Stato in questo settore.
Alla luce della realtà quotidiana dei nostri tribunali molti costituzionalisti interpretano il diritto di accesso alla giustizia come il diritto alla soluzione della lite in tempi ragionevoli e non più demagogicamente come mero accesso in cancelleria per il deposito della citazione (magari sotto casa). Come abbiamo cercato di dimostrare, il problema si annida nella domanda di giustizia e non dell’offerta. Solo riducendo il contenzioso pretestuoso e riservando la giurisdizione alle liti reali si garantisce l’osservanza del vero spirito dell’articolo 24 della Costituzione.
2 commenti
Anche ora in realtà il tasso di interessi legale per i ritardi sulle transazioni commerciali è pari a circa il 10%, ma la difficoltà è nel recupero dei crediti in fase esecutiva, perché le aziende lavorano su fidi e sempre più spesso non hanno alcun patrimonio. Ciò, unito alla possibilità di non pagare debiti e a un uso artificioso dell’autonomia patrimoniale rende sempre favorevole l’esito del giudizio al debitore italiano non particolarmente corretto.
Uno dei reali problemi della giustizia civile è l’inefficienza del processo esecutivo. Trascrivo una lettera aperta diretta a Monti.
Caro Presidente,
Le chiedo scusa di questo sfogo, ma mi permetta di esprimere la mia opinione sull’operato di questo governo che, se da una parte i sacrifici chiesti agli italiani si giustifica con la situazione
presentarmi, sono Arcangelo D’Aurora, Presidente dell’AUGE – Associazione ufficiali giudiziari in Europa – nonché Capo delegazione dell’Union Internationale des Huissiers de Justice e membro del comitato scientifico del progetto EJE –Exécution judiciare en Europe – co-finanziato dall’Unione Europea che ha come scopo l’armonizzazione delle procedure esecutive e della figura dell’Ufficiale Giudiziario.
Caro Presidente,
Mi rivolgo a Lei per sottoporre alla sua attenzione una questione molto delicata inerente la professione dell’Ufficiale Giudiziario, il processo esecutivo civile italiano e con essa tutta la problematica relativa al mancato recupero dei crediti che compromette il valore del giudicato, la certezza dei traffici giuridici e con essa il buon nome dell’Italia nei confronti degli investitori interni ed esteri.
Ciò che noi dell’AUGE proponiamo è semplicemente una riforma, più volte sollecitata dall’Unione Europea all’Italia, riforma tra l’altro già adottata, con notevoli risultati oltre che da 21 su 27 Paesi membri dell’U.E. anche da molti Stati africani e nella maggior parte dei restanti Paesi del mondo.
Tale riforma, auspicata per l’Ufficiale Giudiziario italiano, ricalca le linee direttrici emanate il 10 dicembre 2009 all’unanimità da tutti i Paesi aderenti alla CEPEJ – Commissione europea per l’efficacia della giustizia, nell’ambito dell’attuazione della Raccomandazione del Comitato dei Ministri degli Stati Membri del Consiglio d’Europa del 9 settembre 2003 in materia di esecuzione delle decisioni giudiziarie e di organizzazione dell’ufficiale giudiziario nei vari Paesi europei.
Le suddette linee guida riguardano l’Ufficiale Giudiziario (Huissier de Justice) in tutti i suoi aspetti: dalla formazione iniziale e continua, all’accesso alla professione; dall’organizzazione della professione, allo status; dalle funzioni in esclusiva e accessorie ai poteri; dall’accesso alle informazioni alla remunerazione e ai costi; dai diritti e doveri all’etica, alla disciplina, alla responsabilità e al controllo.
Tali aspetti sono stati inseriti anche nella Costituzione Europea che riserva un ruolo essenziale all’Ufficiale Giudiziario al fine di rendere efficace l’azione esecutiva in un Stato di diritto.
Appare pertanto paradossale, Illustrissimo Presidente, che un Paese come il nostro, tra i più industrializzati al mondo, non abbia ancora affrontato, con la dovuta attenzione, una riforma radicale del processo esecutivo civile, anello indispensabile per rendere concrete le decisioni dei giudici e con esso l’effettivo recupero dei crediti.
Per la verità non sono mancati i tentativi di riforma, ma le uniche riforme attuate nel settore sono stati sporadici interventi legislativi che poco o nulla hanno modificato, anzi per certi versi possiamo affermare che, in alcuni casi, determinati provvedimenti hanno contribuito ad alimentare il business che ruota intorno alla malagiustizia. Il motivo di tale fallimento è dovuto principalmente al fatto che ogni provvedimento legislativo non ha mai preso in seria considerazione il protagonista dell’esecuzione ovvero l’Ufficiale giudiziario e la sua figura professionale che, come Lei ben saprà, serve ben poco cambiare lo scenario normativo se poi i protagonisti rimangono gli stessi con i problemi di sempre se non, diremo noi, aggravati nel corso degli anni.
Presidente, “Mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata” verrebbe da dire, perché intanto intorno alla mala pianta dell’inefficienza dell’azione esecutiva, prolifica il malaffare di gente senza scrupoli che prende vie di recupero illegali, si diffonde il morbo del contagio della insolvenza lungo la catena degli operatori economici e quelli “virtuosi” … ne pagano le conseguenze.
Basta scorrere le classifiche internazionali che misurano l’efficienza della giustizia nel mondo per accorgersi che di anno in anno siamo collocati sempre più in fondo alla scala, preceduti sempre più spesso da Stati africani, o cosiddetti del terzo mondo.
Presidente, mi chiedo, come sia possibile tutto ciò?
Occorre tuttavia precisare che sia durante il Governo Prodi che durante il Governo Berlusconi, sono stati assegnati alle Commissioni Giustizia di Camera e Senato numerosi progetti di legge che riformavano in maniera concreta l’ordinamento dell’ufficiale giudiziario, disegni di legge che tutt’oggi sono ancora in attesa di essere discussi nel merito.
In concreto nulla è stato fatto, se non quello di illudere i cittadini prospettando che la soluzione ai mali della giustizia poteva essere conseguita riducendo la notifica “a mani”, effettuata dall’Ufficiale Giudiziario, e incoraggiando la notifica “a mezzo del servizio postale” pur sapendo che tale forma di notifica riduce nettamente il diritto alla difesa per il cittadino: per farle un esempio concreto, in Francia determinati atti giudiziari che danno avvio al processo, o che lo concludono come la citazione, la sentenza o il precetto, vengono notificati dall’ufficiale giudiziario libero professionista il quale non si limita a consegnare una copia dell’atto, bensì informa il destinatario circa il contenuto dell’atto, la data dell’udienza, il giudice davanti al quale comparire, la necessità di provvedere quanto prima al pagamento e via di seguito, accertandosi che il destinatario abbia compreso effettivamente gli elementi essenziali dell’atto attraverso la verbalizzazione di tutte queste attività sull’atto stesso.
E’ chiaro quindi come ci sia una profonda differenza, Presidente, tra consegnare un atto in busta chiusa e portare a conoscenza il contenuto di un atto, con tutte le relative informazioni che solo l’Ufficiale Giudiziario è in grado di fornire al cittadino.
Questa è un’anomalia tutta italiana!
Tuttavia, il vero problema del mancato recupero dei crediti e della inefficiente esecuzione delle sentenze dei giudici non è da ricercarsi nella notificazione degli atti giudiziari, bensì nella eccessiva lentezza del nostro processo esecutivo inefficace e farraginoso. Ed è palesemente noto in tutto il mondo che l’Italia sia un Paese che non sa garantire il credito.
Lo scopo di quei Paesi che hanno realizzato riforme idonee a garantire in tempi rapidi il recupero dei crediti affidandolo ad un professionista di “qualità” è stato quello di evitare ciò che si sta verificando invece Italia, ossia, l’effetto domino delle insolvenze che porta inevitabilmente alla crisi delle piccole e medie imprese con perdite di posti lavoro che si ripercuotono sulle famiglie.
Caro Presidente,
Le scrivo per chiederLe un colloquio al fine di consentire all’Associazione che rappresento di esporre quanti benefici potrebbe apportare alla Giustizia del nostro Paese la riforma relativa all’Ufficiale Giudiziario che intendiamo suggerire. Si tratta di una riforma a costo zero, che consentirebbe di creare nuovi posti di lavoro, un risparmio di oltre 600 milioni di euro l’anno per le Casse dello Stato – cfr. relazione al DL 379S a firma del Presidente della Commissione Giustizia del Senato Sen. Filippo Berselli – nonché dare un impulso positivo al sistema economico nazionale. Per fare ciò, come accennato, basterebbe dare corpo e sostanza alle direttive comunitarie tendenti alla liberalizzazione dei servizi e a far sì che figure omologhe, come gli ufficiali giudiziari, nei diversi Stati comunitari possano meglio interagire, pur nel rispetto di ordinamenti giuridici ancora differenziati.
Presidente, a livello internazionale si discute di codice mondiale del processo esecutivo e di figure omologhe dell’Ufficiale Giudiziario, mentre in Italia ci si preoccupa dei tempi della giustizia civile senza tener conto che “l’effettività della legge” si riscontra non solo nei tempi di emissione di un titolo esecutivo – il decreto ingiuntivo emesso dopo pochi mesi dalla richiesta ne è la prova – ma nella capacità dello Stato di dare risposte positive al cittadino che chiede di essere tutelato.
L’ufficiale giudiziario è un elemento essenziale dello Stato di diritto. La figura professionale dell’ufficiale giudiziario armonizzata nei vari stati contribuirà alla protezione degli scambi economici e del diritto, ad una migliore efficacia della giustizia, ad una decongestione dei tribunali, e ad una accelerazione dei procedimenti giudiziari grazie anche al contributo delle tecnologie della comunicazione.
Per tutti i motivi suesposti mi auguro, Caro Presidente, che questo mio accorato appello trovi la Sua approvazione e il Suo appoggio al fine di prospettare anche per il nostro Paese una riforma seria e concreta per l’Ufficiale Giudiziario che tuteli i creditori, le imprese e i cittadini e rinnovi la fiducia, indispensabile in uno Stato democratico, che tutti dobbiamo necessariamente nutrire nei confronti della Giustizia e di chi l’amministra.
Attendo fiducioso una Sua risposta e Le invio i miei più cordiali saluti.
Rinnovandole la stima più profonda.
Arcangelo D’Aurora
Presidente AUGE