Il prossimo primo aprile, salvo proroghe o ripensamenti, il rito tributario avrà un nuovo istituto: quello del preventivo Reclamo, quale condizione di procedibilità per i ricorsi avverso gli atti di valore inferiore ad € 20.000.
L’art. 39, commi da 9 a 11, della manovra correttiva (D.L. 98/2011), tra le disposizioni in materia di riordino della giustizia tributaria, ha introdotto infatti l’istituto del reclamo quello e della mediazione con la previsione di un nuovo articolo – il 17 bis – nel D. Lgs. 546/92, che troverà applicazione per gli atti “notificati” a decorrere dal 1° aprile 2012.
Si tratta di una norma, nell’intento del legislatore, con chiare finalità deflattive, ma che rischia di diventare – come vedremo in seguito – un duplicato dell’istanza di autotutela e che costituisce in ogni caso un nuovo adempimento in più per il difensore tributario, con la grave sanzione dell’inammissibilità del ricorso in caso di inosservanza.
Gli atti soggetti a reclamo.
Il nuovo istituto del reclamo, pur essendo stato inserito a regime nel D. Lgs. 546/92, non si applica a tutti gli atti emessi dagli enti impositori, ma soltanto a quelli emessi dall’Agenzia delle Entrate. Restano esclusi pertanto tutti gli atti impositivi delle altre agenzie fiscali, dell’agente per la riscossione nonché degli enti locali. La norma prevede altresì un limite di valore, da valutarsi ai sensi del comma 5 dell’art. 12 del D. Lgs. 546/92, stabilito in 20.000 euro. In particolare, sono soggetti a reclamo:
1) gli atti in cui l’importo del tributo, al netto di interessi e sanzioni, è inferiore ad € 20.000,00;
2) nel caso di atti contenenti soltanto sanzioni, quelli nei quali la somma delle sanzioni è inferiore ad € 20.000,00.
Sarà obbligatoriamente soggetto a reclamo, pertanto, un avviso di accertamento contenente richieste di € 15,000 a titolo di imposte, € 4.400,00 a titolo di sanzioni ed € 2.600,00 a titolo di interessi, pur essendo la sommatoria degli importi pari ad € 22.000,00 (15.000+4.400+2.600): bisogna infatti tener conto in questo caso soltanto dei tributi (15.000), anche se riferiti ad imposte diverse (es. Ires, Iva, Irap e addizionali).
Il nuovo art. 47-bis del D. Lgs. 546/92 prevede espressamente che sono escluse le controversie relative al recupero degli aiuti di Stato.
La procedura
La principale novità dell’art. 17-bis è costituita dalla circostanza che la presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso ed esclude la possibilità della eventuale conciliazione giudiziale prevista dall’art. 48 del D. Lgs. 546/92.
Il reclamo va presentato in carta libera alla Direzione Provinciale o alla Direzione Regionale che ha emesso l’atto in contestazione. Tali uffici provvederanno ad assegnare le pratiche “a strutture diverse e autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili ”. Si tratta di una disposizione volta ad attenuare le perplessità di coloro che sono scettici sulla possibilità che lo stesso ufficio che ha emesso l’atto in contestazione accolga le motivazioni poste a base del reclamo ed annulli l’atto impugnato. La deludente esperienza di questi anni sul fronte dell’autotutela lascia a dir poco perplessi sulla possibilità che l’Amministrazione Finanziaria possa valutare ed accogliere tali reclami, laddove ne ricorrano le condizioni. Si corre il rischio, piuttosto, che una norma nata con finalità deflattive del contenzioso, finisca soltanto per creare un adempimento in più a carico del contribuente.
E’ da rilevare che, come previsto dal comma 6 dell’art. 17-bis del D. Lgs. 546/92, per il procedimento si applicano le disposizioni di cui agli art. 12 (assistenza tecnica), 18 (contenuto dell’atto), 19 (atti reclamabili), 20 (modalità di proposizione), 21 (termini) e 22 comma 4 (documenti da produrre) del D. Lgs. 546/92.
Il reclamo pertanto, per le liti superiori ad € 2.528,82 (ed inferiori a ventimila):
– sarà sottoscritto da un professionista abilitato alla difesa, al quale sarà conferita apposita procura alle liti;
– conterrà le indicazioni previste per il ricorso dal comma 2 dell’art. 18 del D. Lgs. 546/92, a pena di inammissibilità; anche se non espressamente previsto dal richiamato art. 18, può risultare utile inserire anche il valore della lite, il codice fiscale, il numero di fax e l’indirizzo di posta elettronica certificata, così come previsto dal nuovo comma 3-bis dell’art. 13 del D.P.R. 115/2002 (Testo Unico delle Spese di Giustizia) in materia di contributo unificato per le liti tributarie;
– sarà proposto nei confronti degli atti impugnabili in commissione tributaria (ed elencati nell’art. 19 del D. Lgs. 546/92) di valore non superiore a 20.000 euro;
– sarà proposto con le ordinarie modalità (consegna all’ufficio impositore, spedizione a mezzo posta in plico raccomandato senza busta, ufficiale giudiziario) nel termine di 60 giorni dalla data di notificazione dell’atto reclamabile;
– sarà corredato dai documenti utili alla soluzione della controversia e che, in ogni caso, si intende fornire alla controparte. L’art. 22, comma 4, del D. Lgs. 546/92 – richiamato dal nuovo art. 17-bis – prevede altresì la produzione dell’atto “impugnato”: è da ritenere tuttavia che tale richiamo, previsto il deposito del ricorso in commissione tributaria, sia inconducente nel caso del reclamo, atteso che lo stesso è proposto nei confronti dell’ufficio che ha emesso l’atto. E’ nota sul punto la regola, contenuta nello Statuto dei Diritti del Contribuente (art. 6, comma 4), che non consente all’Amministrazione Finanziaria di richiedere al contribuente documenti di cui sia già in possesso. Sarebbe a dir poco singolare prevedere, nel caso di specie, l’obbligatorietà di allegare l’atto reclamato.
La mancata proposizione del reclamo è punita dalla legge (art. 17-bis, comma 2, secondo periodo del D. Lgs. 546/92) con la sanzione processuale, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, dell’inammissibilità del ricorso. Si tratta di una conseguenza grave, che il difensore tributario deve aver ben presente, atteso che in caso di contestazione da parte del cliente può essere chiamato a risponderne in termini di responsabilità professionale.
L ’eventuale proposta di mediazione.
Il nuovo art. 17-bis del D. Lgs. 546/92 prevede la facoltà della parte contribuente di inserire nel reclamo anche una proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della pretesa. Sono intuibili le conseguenze che tale proposta può avere: nel caso di accoglimento o rideterminazione della pretesa, la sorgerà alcuna lite. Nel caso in cui, invece, l’accordo non dovesse essere raggiunto, le parti avranno anticipato elementi della difesa tributaria e, soprattutto, formalizzando proposta e controproposta avranno “indebolito” le proprie rispettive posizioni. Non vi è dubbio che, in casi del genere, gli elementi forniti nel corso del tentativo di mediazione saranno oggetto di apprezzamento da parte del Giudice e la sentenza ne rimarrà in qualche modo influenzata.
Sarà opportuno, pertanto, formulare proposte di mediazione che – ove possibile – non pregiudichino l’eventuale successivo contenzioso.
Sul punto, l’esperienza degli istituti deflattivi del contenzioso – quali l’accertamento con adesione e, soprattutto, la conciliazione giudiziale – può tornare utile per formulare le corrette eccezioni ed osservazioni al fine di definire la controversia. L’ufficio impositore valuterà la proposta di mediazione contenuta nel reclamo e, qualora non intenda accoglierla, formula a sua volta una propria proposta “avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa ed al principio di economicità dell’azione amministrativa”.
Il Reclamo non accolto “produce gli effetti del ricorso”.
E’ da segnalare la peculiarità del Reclamo. La legge prevede che trascorsi 90 giorni senza che sia stato notificato l’accoglimento e senza che sia conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso. Una formulazione che sancisce una sorta di “trasformazione” dell’atto che – pur continuando ad essere indirizzato all’ufficio impositore ed essere qualificato come Reclamo – abbandona la propria natura e, a dispetto del nomen iuris , assume le vesti del ricorso! Si tratta di una conseguenza non di poco momento, foriera di importanti conseguenze.
Innanzi tutto, decorsi senza esito i 90 giorni, sorge l’obbligo per la parte contribuente di iscrivere a ruolo il ricorso entro il termine perentorio di 30 giorni dalla proposizione del Reclamo. La norma, infatti, prevede che “i termini di cui agli articoli 22 e 23 decorrono dalla predetta data” (art. 17-bis, comma 9). Bisognerà, quindi, dopo 90 giorni ma non oltre 120 giorni, procedere al deposito del (reclamo ormai divenuto) ricorso presso la commissione tributaria provinciale competente, previo pagamento del contributo unificato.
Si avrà quindi un c.d. spatium deliberandi nel quale l’Amministrazione Finanziaria valuterà le ragioni del reclamo, trascorsi i quali si perfeziona il silenzio-rifiuto. Il reclamo a questo punto “produce gli effetti del ricorso”.
Se l’Agenzia delle Entrate respinge il reclamo con provvedimento espresso, i termini per l’iscrizione a ruolo del ricorso decorrono dalla data di ricevimento del diniego. In caso di accoglimento parziale del reclamo, i predetti termini decorrono dalla notificazione dell’atto di accoglimento parziale.
La norma prevede infine che nelle controversie reclamabili la parte soccombente è condannata a rimborsare, oltre alle spese di lite, una somma pari al 50% delle spese di giudizio a titolo di rimborso del procedimento di reclamo/mediazione. Tali spese possono essere compensate soltanto se ricorrono giusti motivi, esplicitamente indicati in motivazione, che hanno indotto la parte soccombente a disattendere la proposta di mediazione.
Considerazioni conclusive.
L’istituto del reclamo e della mediazione per le liti di valore inferiore a 20 mila euro, così come disciplinato, sembra avere più difetti che pregi per una serie di ragioni.
Appare evidente, innanzi tutto, che il riferimento alla mediazione – frutto probabilmente del clamore destato dalla prima applicazione di quella prevista per le controversie civili – è a dir poco fuorviante. Si tratta, a ben vedere, di una conciliazione stragiudiziale in ambito tributario, cioè di un mezzo di composizione della controversia “autogestito”, che richiama alla mente la conciliazione fuori udienza prevista dall’art. 48, comma 5, del D. Lgs. n. 546/1992, di cui costituisce una mera anticipazione in via amministrativa.
Peraltro, atteso che il ricorso tributario è inammissibile se non presentato nella forma del reclamo, e che lo stesso si “trasforma” automaticamente in ricorso ove non si raggiunga l’accordo di mediazione, appare di tutta evidenza che l’approccio della parte contribuente a tale istituto sarà quello di:
1)predisporre a tutti gli effetti un ricorso – definendolo “Reclamo” – con uno spirito di contestazione piuttosto che di mediazione della controversia; è bene ricordare, infatti, che trascorsi 90 giorni senza la conclusione del procedimento o la risposta dell’ufficio, il reclamo “produce gli effetti del ricorso”.
2)gestire il procedimento ed il connesso contraddittorio alla stregua di un accertamento con adesione o una conciliazione giudiziale.
Appare evidente che l’istituto ha ben poco della vera e propria “Mediazione”, che prevede l’intervento di un soggetto terzo rispetto alle parti che ascolta le ragioni di entrambe e valuta se ci sono i presupposti per formulare una propria proposta di definizione della controversia. Inoltre, in considerazione del fatto che la norma si inserisce in un provvedimento volto a migliore l’efficienza della giustizia tributaria e aumentarne la celerità, non si comprende la ragione per la quale reclamo e mediazione riguardino soltanto gli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate e di valore inferiore a 20 mila euro. E’ vero che il provvedimento si inserisce nel medesimo articolo che disciplina la definizione delle liti fiscali pendenti, ma inserire frettolosamente una norma a regime (reclamo e mediazione) per poter giustificare un istituto straordinario e limitato nel tempo qual è la definizione delle liti fiscali, appare a una forzatura.
L’entrata in vigore del Reclamo è prevista per il 1° aprile 2012, e cioè un giorno dopo lo spirare dei termini per la presentazione della dichiarazione relativa alla definizione delle liti fiscali pendenti. Appare chiaro che i due provvedimenti sono strettamente connessi. Il legislatore ha inteso ridurre il carico delle liti di minor valore gestite dall’Agenzia delle Entrate e nel contempo ha inserito un nuovo paletto procedurale – la proposizione del reclamo – con l’intento di deflazionare il contenzioso. La norma, però, non appare sufficientemente meditata ed è auspicabile un intervento del legislatore, che la disciplini diversamente ovvero – tenuto conto che replica istituti già presenti nel mondo tributario, quali l’autotutela e l’accertamento con adesione – la elimini del tutto. Non ne sentiremmo davvero la mancanza.
2 commenti
concordo pienamente con Lei. Sicuramente lo strumento introdotto dal legislatore non ha i requisiti della imparzialità. Non si capisce come il controllore possa avere carattere di terzietà rispetto al controllato.
Nel caso Lei ipotizzi di sollevare questioni di illegittimità costituzionale ovvero di promuorere , in ogni forma, azioni anche popolari per la modifica della legge, Le sarei grato di communicarmelo. Mi impegnerò comunque, per la divulgazione di quanto inopinatamente il legislatore ha statuito.
Cordiali saluti e buon lavoro. Avv. luigi salvatore Iasevoli
una cosa non ho compreso sulla media conciliazione : anche per chi ha ricevuo accertamenti prima di tale data,ovvero dal 1 aprile 2012?