Le qualità personali del conciliatore sono un elemento rilevante ed utile per la chiusura bonaria della controversia, così come comprovato da diverse ricerche di settore.
È opportuno allora approfondire questo argomento sia per il suo valore, quale ingrediente necessario in fase di conciliazione, sia per la scarsa attenzione che fino ad oggi è stata riservata a questo tema.
L’importante ruolo che va riconosciuto alla personalità del conciliatore non intacca minimamente la convinzione circa l’indispensabilità della formazione, unanimemente ritenuta strumento essenziale di ottimizzazione della professionalità .
Creare il clima di conciliazione
Quando si è in pace con se stessi e con il mondo circostante, si è maggiormente predisposti ad un atteggiamento positivo, il quale può influire in maniera decisiva sugli esiti della conciliazione. È indubbio, quindi, che trovarsi in un simile stato psicologico, durante lo svolgimento di un processo di conciliazione, rende l’operato del conciliatore molto più efficace.
D’altro canto, però, viene da chiedersi come può il conciliatore mantenere la serenità necessaria quando in fase di conciliazione le parti sono profondamente in disaccordo.
Sebbene la professionalità del conciliatore imponga che egli sia in possesso dell’abilità di mantenere il giusto distacco dalle dinamiche emozionali presenti nel conflitto, molto dipende dalle qualità personali del conciliatore e qui di seguito vi dimostreremo perchè.
Le tre fasi di sviluppo
Preliminarmente occorre riflettere sulla formazione del conciliatore che consiste di tre fasi.
La prima è rappresentata dalla tecnica: il conciliatore apprende le tecniche dell’ascolto attivo, del reframing, della concentrazione sugli interessi basilari, della capacità di dare la priorità ai problemi e della necessità di aiutare le parti in causa ad elaborare delle alternative, di dimostrare empatia ed imparzialità , di diagnosticare gli ostacoli alla risoluzione del problema e di chiusura del caso.
Segue un periodo di tirocinio comprensivo della co-conciliazione, ovvero l’osservazione di altri conciliatori, la redazione del rapporto successivo all’operazione e la supervisione.
La seconda fase è caratterizzata dalla comprensione del come e del perchè la conciliazione funziona, cercando di capirne il procedimento da un punto di vista intellettivo.
La terza fase è caratterizzata dall’acquisizione della consapevolezza delle proprie qualità personali – sia migliori che peggiori – che possono influenzare il processo di conciliazione sia in senso positivo che in senso negativo.
Questa fase coincide con la responsabilizzazione del conciliatore ed è proprio su questo aspetto che vogliamo focalizzare la nostra attenzione.
Le qualità personali del conciliatore
Esiste una qualità che la maggior parte dei buoni conciliatori possiede, una qualità che può sottintendere pazienza, saggezza o arguzia. Nel cercare di identificare questa qualità , è necessario concentrarsi sull’ascendente che il conciliatore esercita sulle parti.
Effetto Placebo. Il successo di una conciliazione non è sempre il risultato della personalità del conciliatore o delle capacità personali con cui egli conduce il procedimento.
Infatti, alcune liti sono risolvibili anche in assenza del conciliatore semplicemente perchè le parti si sono sedute attorno ad un tavolo, letteralmente o figurativamente, ed hanno discusso della questione.
Il semplice persuadere gli avvocati ad aprire simultaneamente i dossier di un caso e mettere tutti i soggetti coinvolti nella condizione di concentrarsi sulla disputa, può determinare il successo della conciliazione.
In questi casi, l’opera del conciliatore rappresenta lo strumento necessario per la genesi dell’occasione di incontro.
Gli interventi del conciliatore. Gli interventi del conciliatore, basati sulla valutazione degli impedimenti che ostacolano la risoluzione pacifica della controversia, coinvolgono emotivamente le parti allo scopo di agevolarne il rilascio delle emozioni e di stimolare la concentrazione sugli interessi in causa. Così si favorisce la formulazione di proposte idonee per la composizione della lite.
L’effetto Hawthorne. L’effetto Hawthorne descrive il cambiamento di atteggiamento delle persone quando si accorgono di essere osservate.
In tema di conciliazione, alcuni hanno parlato dell’effetto Hawthorne negativo che può verificarsi quando le parti sembrano negoziare meno efficacemente a causa della presenza di una terza parte.
Non sempre ciò è vero.
Difatti, alcune questioni personali non possono essere discusse produttivamente senza la presenza di una terza parte, come può accadere negli stress emotivi provocati da un improvviso licenziamento o da infedeltà coniugale.
La presenza del conciliatore
Quanto finora detto ci conduce direttamente al cuore della nostra analisi e, più precisamente, all’approfondimento dell’esame dell’influenza delle qualità personali del conciliatore sugli esiti della controversia.
Le qualità personali sono parte integrante dell’azione del conciliatore, in quanto interagiscono con lo stato d’animo delle parti. Capirne il valore significa guardare al fenomeno del controtransfert, il quale indica, come accade nella psicoanalisi, le emozioni che il terapista riesce a suscitare nel cliente in sede di analisi.
Come lo psicoterapeuta, così il conciliatore deve essere consapevole delle emozioni provocate nelle parti e della natura della controversia, in modo tale da utilizzare in maniera idonea questi stati d’animo per il componimento della lite.
Il conciliatore deve gestire i propri obiettivi, consapevole dell’evoluzione delle relazioni fra i partecipanti alla conciliazione.
Fabio Luciani