TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL LAZIO – Roma SEZ. I^ –
R.g. n. 10937/2010
Udienza 8 ottobre 2014
Replica
Per: L’Organismo di mediazione ADR Center srl (P.I. 03535970879), con sede legale in Roma, alla Via Marcantonio Colonna n. 54, in persona del legale rappresentante pro tempore, Dr. Leonardo D’Urso (C.F. DRSLRD68P25C351J), rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Prof. Giuseppe De Palo (C.F. DPLGPP68L18H294X), Rodolfo Cicchetti (C.F. CCCRLF55T08D488Y) e Donatella Mangani (C.F. MNGDTL74C62H501B), in virtù di procura rilasciata a margine dell’atto di intervento, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Mesopotamia 22, presso lo studio di quest’ultima (fax n. 067802268, PEC: donatellamangani@ordineavvocatiroma.org).
– Interveniente ad opponendum –
nel ricorso
Rg. n. 10937/2010
proposto dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana – OUA – in persona del Presidente p.t., e altri, rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. Giorgio Orsoni (CF. RSNGRG46M29L736M), Mariagrazia Romeo (CF. RMOMGR66E67F537K) e Mario Sanino (CF. SNNMRA38E03H501M), ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Viale Parioli 180.
– Ricorrenti –
Contro:
Il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore;
Il Ministero dello Sviluppo economico, in persona del Ministro pro tempore.
– Resistenti –
E con l’intervento di:
Associazione Avvocati per la Mediazione, in persona del Presidente pro tempore;
Associazione degli Avvocati Romani, in persona del Presidente pro tempore;
Associazione Agire e Informare, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Dorodea Ciano e Giampiero Amorelli;
Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, in persona del Presidente pro tempore;
Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti, in persona del Presidente pro tempore;
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze, in persona del Presidente pro tempore;
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno, in persona del Presidente pro tempore;
– Intervenienti –
per l’annullamento, previa sospensione,
del decreto del Ministro di Giustizia adottato di concerto con il Ministro per lo Sviluppo economico n. 180 del 10 ottobre 2010, pubblicato sulla GU n. 258 del 4 novembre 2010, avente ad oggetto “regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’art. 16 del Decreto Legislativo n. 28 del 2010”, e la dichiarazione della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 del Dlgs n. 28 del 4 marzo 2010 in riferimento agli artt. 77 e 24 della Costituzione e per l’effetto sospensione del processo e rinvio alla Corte Costituzionale.
FATTO e DIRITTO
Con memorie datate 18 luglio 2014, l’Organismo ricorrente e le intervenienti associazioni forensi “Associazione degli Avvocati Romani” e “Agire e Informare” hanno tentato di motivare ulteriormente la richiesta a Codesto Tribunale di annullamento del decreto del Ministro di Giustizia adottato di concerto con il Ministro per lo Sviluppo economico n. 180 del 10 ottobre 2010, pubblicato sulla GU n. 258 del 4 novembre 2010, nonché la richiesta di dichiarazione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’attuale art. 5, comma 1 bis, del D.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in riferimento agli artt. 77 e 24 della Costituzione e, per l’effetto, di sospensione del processo e rinvio alla Corte Costituzionale.
Con il presente scritto, la società ADR Center srl intende replicare, punto per punto, a quanto asserito in dette memorie, in quanto ancora completamente infondato, in fatto e in diritto.
A) La radicale riforma della normativa sulla mediazione, entrata in vigore con la conversione del “Decreto del fare”, sarebbe illegittima per gli stessi motivi riguardanti l’originaria versione del decreto legislativo 28 del 2010.
1. La tesi avversaria è sbrigativa e, soprattutto, materialmente errata. La sola e unica censura del Giudice delle leggi nei confronti della originaria versione del decreto legislativo 28 del 2010 ha riguardato l’eccesso di delega. Una censura identica non può logicamente porsi, per ragioni che dovrebbero essere di palmare evidenza, quando si tratta della conversione di un decreto-legge, che per giunta ha modificato in maniera sostanziale la disciplina legislativa precedente. Allo stesso modo, la parte avversaria continua a ignorare in toto, o finge di ignorare, le radicali modifiche regolamentari introdotte con il decreto ministeriale 145 del 2011, successivo all’introduzione del ricorso contro il decreto ministeriale 180 del 2010. Tali modifiche, come del resto quelle alla normativa di rango superiore, sono ampiamente trattate nella memoria depositata da questa difesa il 27 novembre 2013.
B) La Direttiva europea sulla mediazione del 2008 non prescriverebbe l’obbligatorietà della mediazione.
1. Parte avversa vorrebbe contestare la tesi secondo la quale, prescrivendo la norma comunitaria “una mediazione non preclusiva” (art. 5), il legislatore europeo avrebbe richiesto agli Stati membri – implicitamente, ma assai chiaramente – di non limitarsi a introdurre la mediazione volontaria, poiché, evidentemente, una mediazione volontaria preclusiva dell’accesso alla giustizia non è concepibile. La parte ricorrente si limita ad affermare che tale tesi “si commenta da sé”. Sembrerebbe allora di capire che, a parere della difesa avversaria, il legislatore europeo avrebbe elaborato per 9 anni, dal Consiglio europeo di Tampere del 1999 sino al 2008, un normativa mirante a introdurre negli Stati membri la mediazione puramente volontaria (che, incidentalmente, nel 2008 esisteva da molti anni nei Paesi dell’Ue). Parrebbe altresì di intendersi che, secondo controparte, sia possibile che forme di mediazione puramente volontarie possano essere, al contempo, preclusive dell’accesso alla giustizia. Oscillanti tra il paradossale e l’apodittico, queste sì sono affermazioni che non necessitano di commento.
2. Desta poi genuino stupore l’affermazione di parte avversa per la quale non vi sarebbe stata necessità di (ri-)dare attuazione con urgenza – tramite decreto-legge, appunto – a una Direttiva europea di sei anni prima. All’esatto contrario, tanto più risalente è la data della norma comunitaria non attuata nel nostro ordinamento, tanto maggiori sono le responsabilità, anche a livello sanzionatorio, a carico dello Stato italiano.
3. Quanto al riferimento alla Raccomandazione del Consiglio europeo relativa all’uscita dell’Italia dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo, che menzionava espressamente la sentenza della Corte costituzionale italiana dell’ottobre 2012 sulla mediazione, questa difesa non ha mai sostenuto che in quel documento si richiedesse expressis verbis l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione, ma solo che il fallimentare modello della mediazione esclusivamente volontaria – sperimentato prima dell’obbligatorietà vera e propria, e dopo la sua fine – non avrebbe soddisfatto il requisito del necessario intervento dell’Italia, richiesto testualmente nella Raccomandazione, “per promuovere il ricorso a meccanismi extragiudiziali di risoluzione delle controversie”.
4. Del resto, il principio di effettività della normativa sulla mediazione, ossia la previsione di un quadro regolatorio ove il ricorso alla mediazione sia materialmente promosso (e la procedura non resti quindi un’opzione largamente inutilizzata), è da anni un caposaldo della giurisprudenza comunitaria. Con parole incontrovertibili sull’obbligatorietà del tentativo di conciliazione in materia di telecomunicazioni in Italia, la Corte europea di giustizia, nella nota sentenza “Alassini” del marzo 2010, scrive infatti che “non esiste un’alternativa meno vincolante alla predisposizione di una procedura obbligatoria, dato che l’introduzione di una procedura di risoluzione extragiudiziale meramente facoltativa non costituisce uno strumento altrettanto efficace per la realizzazione di detti obiettivi”.
5. L’Associazione Nazionale Magistrati, qualche giorno fa, ha confermato formalmente il principio di effettività delle norme sulla mediazione, scrivendo con assoluta chiarezza, a commento dei più recenti provvedimenti governativi in materia di ADR, che “Nel settore civile, pur essendo positiva l’introduzione di strumenti tesi a promuovere la composizione stragiudiziale delle liti, questi saranno però poco efficaci se lasciati all’iniziativa volontaria delle parti …” (cfr. http://www.associazionemagistrati.it/doc/1708/dal-governo-riforma-della-giustizia-inefficace-e-frutto-di-compromesso.htm).
7. Ciò che più conta, in ogni caso e come meglio illustrato (nuovamente) in appresso, è che l’attuale modello di mediazione in Italia non può definirsi obbligatorio
C) Lo strumento del decreto-legge non potrebbe essere usato “per introdurre delle modifiche di carattere ordinamentale”.
8. A sostegno di questa affermazione, la difesa avversaria invoca la sentenza della Consulta, numero 320 [rectius, 220] del 2013, sulla riforma degli enti locali. In primo luogo, la citata sentenza dice – semmai – l’esatto contrario, affermando il principio per cui “… sul piano della legittimità costituzionale: ben potrebbe essere adottata la decretazione di urgenza per incidere su singole funzioni degli enti locali, su singoli aspetti della legislazione elettorale o su specifici profili della struttura e composizione degli organi di governo, secondo valutazioni di opportunità politica del Governo sottoposte al vaglio successivo del Parlamento”. In quell’occasione, la Consulta si è limitata a ritenere “che la trasformazione per decreto-legge dell’intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell’intero sistema”
9. L’introduzione di una mera condizione di procedibilità (per un numero ancor più limitato di materie, rispetto a prima, e in via sperimentale) che può essere soddisfatta gratuitamente e nel periodo massimo di 30 giorni da parte di chi non voglia esperire il tentativo di conciliazione, può solo fantasiosamente ritenersi una “trasformazione”, per giunta “radicale”, di un “intero sistema” processuale.
10. In secondo luogo, resta da capire come mai, secondo l’Organismo ricorrente, l’asserito sconvolgimento dell’ordinamento processuale civile, causato dall’introduzione della mediazione tramite decreto-legge, sarebbe manifestamente incostituzionale, mentre l’imminente introduzione, sempre tramite decreto-legge, di una nuova forma di arbitrato ha già trovato il plauso istituzionale dello stesso ricorrente. Come noto, la procedura arbitrale, ben diversamente dalla mediazione come condizione di procedibilità, implica una rinuncia alla giurisdizione statale, ed è quindi ben più incidente della seconda sul sistema della tutela dei diritti.
D) La mediazione resterebbe “pur sempre un ostacolo all’accesso alla giustizia” perché “blocca la possibilità di adire direttamente il giudice”. Al TAR Lazio, pertanto, basterebbe richiamarsi alla propria ordinanza dell’aprile 2011 per motivare un nuovo rinvio alla Corte costituzionale
11) Una copiosa, consolidata e risalente giurisprudenza, sia della Corte costituzionale sia della Corte europea di giustizia, ha chiarito che non esiste un diritto di accesso, immediato e assoluto, alla giurisdizione (tra le altre, si ricordano le sentenze della Consulta n. 82 del 19.02.1992 in materia di lavoro-licenziamenti individuali, n. 276 del 13.07.2000 in materia di lavoro, n. 403 del 21.11.2007 in tema di telecomunicazioni; quanto alla Corte di Lussemburgo, il precedente è la già citata decisione n. C-317/08 del 18.03.2010). Questa giurisprudenza pare meritevole d’essere ricordata a chi parla di “accesso diretto” alla giurisdizione, perché dimostra di ignorare che lo Stato non ha solo il potere, ma anche il dovere, di regolare l’accesso alla giurisdizione, al fine sia di preservarla sia di migliorarne il funzionamento.
12) Nel silenzio totale di controparte in proposito, pare poi necessario enumerare le numerose e radicali novità dell’attuale modello normativo di mediazione in Italia, che in verità parte avversa ammette, tentando però – senza il minimo successo – di sminuirle. Queste novità chiariscono sia perché la nuova normativa non generi alcun ostacolo nell’accesso alla giustizia, sia perché, di conseguenza, un nuovo ricorso alla Corte costituzionale, per giunta con motivazioni non più confacenti, sarebbe assolutamente illogico.
13) In primo luogo, il nuovo modello di mediazione non può dirsi obbligatorio. La condizione di procedibilità è infatti assolta con la mera partecipazione a un primo incontro (art. 5, comma 2 bis), gratuito (art. 17, comma 5 ter) e non oltre 30 giorni dalla domanda di mediazione (art. 8, comma 1), senza cioè che sia obbligatorio esperire un vero e proprio tentativo di conciliazione. Difatti, “Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento (art 8, comma 1). Pertanto, solo se tutte le parti lo vogliono la mediazione può effettivamente avere luogo. In caso contrario, le parti possono rivolgersi immediatamente al giudice senza alcuna conseguenza negativa, di tipo economico o processuale. Resta poi salva la possibilità di non presentarsi nemmeno a quel primo incontro gratuito, senza incorrere in sanzioni di alcuna sorta, fornendo al giudice del successivo processo un giustificato motivo. In sostanza, tecnicamente non si può più parlare di “giurisdizione condizionata”. Pertanto, il nuovo modello di mediazione non determina alcuna “… influenza da parte di situazioni preliminari e pregiudiziali sull’azionabilità in giudizio di diritti soggettivi e sulla successiva funzione giurisdizionale statuale …”, secondo la formula elaborata da Codesto Tribunale con riferimento a norme assai diverse. Candidamente e lucidamente, la conseguenza logico-giuridica di questo ragionamento era già stata ammessa nella memoria di una delle originarie ricorrenti (UNCC): “se a un procedimento [di mediazione] ci si sottopone volontariamente si possono ritenere legittime una serie di prescrizioni del regolamento di attuazione che non sono tali se a quella mediazione si è costretti a soggiacere”.
14) In secondo luogo, è ora prescritta la presenza necessaria dell’avvocato in tutte le fasi della procedura, a maggiore garanzia delle determinazioni (per altro frutto dell’autonomia privata) che le parti possano prendere per disporre dei propri diritti in sede stragiudiziale.
15) In terzo luogo, la “proposta del mediatore” può avvenire ora solo nell’ambito di una procedura volontaria di mediazione, ossia dopo il primo incontro, destinato a verificare che vi siano le condizioni perché la mediazione vera e propria possa svolgersi.
E) La mediazione – si dice – “stravolge l’accesso alla giurisdizione”; inoltre, anche solo in via sperimentale, non è possibile “sospendere una garanzia costituzionale”
16) Anche queste affermazioni di parte avversa, in ragione di quanto poco più sopra esposto, non necessiterebbero di commento. Esse, tuttavia, meritano di essere isolate come ennesima prova del comportamento processuale di controparte, che non si perita di ricorrere continuamente a espressioni reboanti e spropositate, oltre che giuridicamente errate. Così, l’introduzione in via sperimentale di una lieve condizione di procedibilità, in poche materie, diviene addirittura uno “stravolgimento” del complessivo sistema processual-civilistico, e il prodotto di un’inaccettabile sospensione costituzionale della Carta Fondamentale, poiché lede in modo “non ristorabile e non riparabile” taluni diritti costituzionali.
17) Ribadito che in Italia non è in corso alcun tentativo di sovvertire l’ordine costituzionale per il tramite della mediazione, per amor di logica va poi osservato come qualsiasi sperimentazione in campo giuridico che fosse priva di caratteri (in qualche misura) maggiormente “incisivi” di quelli di una regolazione “normale” sarebbe, semplicemente, un non senso.
F) Il nuovo modello italiano di mediazione sarebbe contrario all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e alla Direttiva 2013/11/Ue (cd “Direttiva ADR Consumatori”)
18) Nella “ulteriore memoria” per le associazioni forensi “Associazione degli Avvocati Romani” e “Agire e Informare”, intervenienti ad adiuvandum, si tenta invece di congegnare un argomento di diritto comunitario contro la legittimità dell’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 28 del 2010. In particolare, gli intervenienti affermano che il 45º Considerando della cd “Direttiva ADR Consumatori”, richiamando l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, renderebbe il “sistema attuale di mediazione pregiudiziale … caratterizzato com’è dall’obbligatorietà e dall’imponente apparato dissuasivo e sanzionatorio che lo sostiene …”. Per questi motivi, chiedono il rinvio alla Corte europea di giustizia, al fine di valutare la compatibilità tra la normativa interna e quella comunitaria.
19) A diversi anni dall’inizio di questa vertenza, dopo una copiosa produzione di atti processuali, e una florida produzione dottrinale su questi temi, stupisce che ancora si tenti di sostenere che una mera condizione di procedibilità (che, per l’ennesima volta, si soddisfa gratuitamente, e al massimo entro 30 giorni) possa addirittura “sostituire le procedure giudiziali” ovvero “privare [i consumatori o i professionisti] del diritto di rivolgersi agli organi giurisdizionali”, per utilizzare, enfatizzandole, le parole del Considerando della Direttiva ADR Consumatori che gli intervenienti citano per esteso. Come una semplice condizione di procedibilità, che è possibile soddisfare a costo zero, possa “sostituire” il processo o “privare” chicchessia di alcunché resterà un mistero di mezza estate.
20) È poi singolare far osservare che, proprio in base alla Direttiva ADR Consumatori, le procedure di ADR “dovrebbero essere preferibilmente gratuite”. L’uso del condizionale, e soprattutto dell’avverbio, sono la prova dell’incauta citazione da parte degli intervenienti, che per giunta la enfatizzano nella parte a loro più contraria: in Italia la mediazione può procedere solo se le parti lo vogliono, altrimenti essa è gratuita!
21) Questa norma della Direttiva ADR Consumatori, che non richiede la gratuità della procedura preliminare, è perfettamente in linea con il precetto della Corte europea di giustizia nella (più volte) citata sentenza “Alassini”, relativa proprio al meccanismo della condizione di procedibilità in materia di telecomunicazioni in Italia. Per la Corte di Giustizia, infatti, “Neanche i principi di equivalenza e di effettività, nonché il principio della tutela giurisdizionale effettiva, ostano ad una normativa nazionale che impone per siffatte controversie il previo esperimento di una procedura di conciliazione extragiudiziale, a condizione che tale procedura non conduca ad una decisione vincolante per le parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, sospenda la prescrizione dei diritti in questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti …” (al punto 67). Ricordato che la durata massima della procedura preliminare ritenuta legittima dalla giurisprudenza “Alassini” era di 30 giorni, ossia la stessa prevista dal decreto legislativo 28 del 2010 (per chi non voglia mediare), si noti come tutti i requisiti sopra elencati caratterizzino l’attuale versione del decreto legislativo 28 del 2010.
22) Semplicemente fantomatico è poi il riferimento all’esistenza di un “imponente apparato dissuasivo sanzionatorio”, che renderebbe illegittima la normativa in esame. Nessuna sanzione, di alcun tipo, è prevista per la parte che si presenti al primo incontro gratuito con il mediatore, nella città ove dovrebbe svolgersi il processo; in aggiunta, alla parte che dimostri un “giustificato motivo” non potrà essere imposta alcuna sanzione anche qualora non si presenti nemmeno a tale primo incontro gratuito.
G) La presunta contrarietà delle nuove norme sulla mediazione ai principi espressi dalla sentenza della Corte costituzionale numero 98 del 2014.
23) Nella stessa “ulteriore memoria” si invoca poi una recente sentenza della Consulta, relativa alla cd “mediazione tributaria”, per ritenere contrarie al diritto interno le “limitazioni all’accesso immediato alla giustizia” presuntivamente introdotte con il nuovo art. 5, comma 1 bis, del decreto legislativo 28 del 2010.
24) In particolare, si afferma che la normativa in discorso renderebbe la tutela in giudizio eccessivamente difficoltosa, per via delle sanzioni “draconiane” a carico di chi non volesse tentare una mediazione. Sulla reale natura ed estensione di queste sanzioni, e sul sistematico abuso dell’aggettivazione ad opera di parte avversa, vale quanto osservato supra e infra in questa replica.
25) Ma l’argomento di controparte è ancora più sorprendente se si considerano altri tre aspetti. Gli intervenienti sostengono infatti che, a differenza del decreto legislativo 28 del 2010, le norme sulla cd “mediazione tributaria”, ritenute incostituzionali dalla Consulta, non erano assistite da alcuna sanzione. Tutt’al contrario, la sanzione c’era eccome, ed era gravissima, ossia l’inammissibilità dell’azione in giudizio per la parte che avesse saltato il procedimento preliminare. Confondere inammissibilità e improcedibilità è un fatto assai grave, per una difesa tecnica.
26) Si afferma poi – per una volta forse in modo condivisibile – che la mediazione tributaria sarebbe diversa da quella oggetto del presente giudizio, in quanto avente natura “bilaterale” (nella mediazione tributaria, cioè, non vi sarebbe un terzo neutrale). Ma se così è, non si capisce perché principi relativi a un modello di ADR ritenuto così differente si dovrebbero applicare alla (diversa, appunto, in quanto “trilaterale”) mediazione prevista dal decreto legislativo 28 del 2010.
27) La citazione della sentenza 98 del 2014 è infine auto-lesionistica. Il modello di mediazione vigente nella materia tributaria dopo quella decisione, e non più contestato, è infatti basato sul meccanismo della condizione di procedibilità, al pari di quello oggetto del presente giudizio, e di quello che la giurisprudenza costituzionale e comunitaria hanno ripetutamente giudicato legittimo.
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L’opportunità di sanzionare il comportamento processuale di parte avversa
28) Lo scopo del legislatore italiano, introducendo norme volte a rendere effettivo il ricorso alla mediazione, era evidentemente quello di contribuire a migliorare la giustizia civile in generale. I più recenti provvedimenti normativi, in corso di conversione, confermano del resto sia la bontà sia la necessità di percorrere la strada del potenziamento delle forme di risoluzione alternativa delle controversie. Non a caso, l’iniziativa del Governo in materia di “de-giurisdizionalizzazione” è stata voluta fortemente dall’avvocatura, e negoziata pressoché esclusivamente con essa. In questo contesto, l’ostinazione dei ricorrenti contro la sola modalità di mediazione dimostratasi effettiva ed efficace, e che ha fatto dell’Italia un esempio da seguire, pare del tutto incomprensibile.
29) La natura paradossale dell’ostilità dei ricorrenti verso le norme in esame è tanto maggiore se si considera che, ad esempio, la cd “Negoziazione assistita” (approvata dal Consiglio dei Ministri il 29 agosto scorso) si basa esattamente sul modello della condizione di procedibilità.
30) Certo, diversamente dalla mediazione, la “Negoziazione assistita” conferisce all’avvocatura un vero e proprio monopolio; tuttavia, logica e coerenza non possono essere sacrificate sull’altare di un interesse corporativo che cozza frontalmente sia con quello della collettività sia con il diritto comunitario: l’articolo 8, lett. b, della stessa Direttiva ADR Consumatori, che tra qualche mese dovrà essere attuata anche in Italia, stabilisce infatti che “le parti hanno accesso alla procedura senza essere obbligate a ricorrere a un avvocato o consulente legale …”.
31) E in un vero crescendo di contraddittorietà delle tesi di parte avversa, come non ricordare che, nella bozza di decreto-legge, la “Negoziazione assistita” è … assistita da un apparato sanzionatorio in tutto simile a quello della mediazione (per la parte che rifiuta senza giustificato motivo di partecipare alla procedura)?
32) Promuovere efficacemente la mediazione e le altre forme di ADR non sortirà effetti significativi qualora non si ponga rimedio, parallelamente e forse ancor prima, a uno dei fondamentali fattori di crisi della giustizia civile, ossia l’abuso nel processo, e del processo.
33) La presente vicenda giudiziaria è emblematica di questi due tipi di abuso. Le parti avverse, difatti, continuano con pervicacia a proporre argomentazioni inattuali, ignorando cioè, o (si spera) fingendo d’ignorare, che nel frattempo la normativa di rango legislativo e regolamentare è mutata radicalmente. Ancora, come si è visto nella fase cautelare, non esitano a proporre istanze impossibili, utilizzando norme previste per fattispecie completamente differenti (è il caso del riscorso ex art 112, comma 5, c.p.a., avviato non già per ottenere dal giudice dell’ottemperanza chiarimenti in ordine alle modalità di esecuzione del giudicato, ma addirittura per presentare, nella parole del Consiglio di Stato, “una diversa domanda, tendente ad ottenere una nuova pronuncia cautelare in luogo di quella già emessa con ordinanza di questa Sezione n. 607/2014”). In aggiunta, chiedono di avviare presso organi giurisdizionali sovranazionali costose quanto inutili procedure (visto che la giurisprudenza di tali organi sul punto è assolutamente chiara). Inoltre, invocano precedenti giurisprudenziali che non solo hanno poco a che spartire con i fatti di causa, ma addirittura contraddicono le loro stesse tesi. Infine, infarciscono gli atti giudiziari di valutazioni, espressioni e aggettivi a dir poco fuori luogo, cui occorre comunque dare formale risposta. Inutilmente e irresponsabilmente, si svilisce e si spreca così la giurisdizione che invece, per dirla con l’ex Primo Presidente della Corte di Cassazione, Dott. Ernesto Lupo, “è una risorsa limitata, delicata, costosa e preziosa e va riservata a garanzia di beni fondamentali affidando gli altri beni a valide e diverse forme alternative di tutela”.
34) Il sistema processuale, anche amministrativo, ha al proprio interno il meccanismo per tutelarsi, e per tutelare le altre parti che li subiscono, da simili abusi, che incrementano immotivatamente la durata e il costo (individuale e collettivo) del contenzioso. È quindi auspicabile che, specie in un procedimento che riguarda proprio uno strumento per migliorare la giustizia civile, detto meccanismo non rimanga lettera morta.
P.Q.M.
Si chiede a Codesto Ecc.mo Tribunale di:
– dichiarare manifestamente infondata la sollevata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1-bis, del Dlgs 28/2010 in riferimento agli artt. 77 e 24 della Costituzione;
– dichiarare inammissibili e improcedibili il ricorso giurisdizionale e i motivi aggiunti e, comunque, rigettarli nel merito, siccome infondati.
Con ogni conseguenza di legge anche in ordine alle spese e onorari di giudizio, e alla condanna alla sanzione pecuniaria di cui all’art. 26, comma 2, del codice del processo amministrativo.
Roma, 15 settembre 2014 Avv. Prof. Giuseppe De Palo
1 commento
Preg.mo dott. G.De Palo,
desidero ringraziarla per l’ottimo lavoro svolto a difesa dei diritti del cittadino e per l’affermazione di una giustizia di prossimità adeguata alle esigenze delle società civili del terzo millennio.
Quando i cittadini saranno messi in condizione di conoscere la mediazione ( fatta da mediatori preparati e convinti e non finti mediatori”di fatto”) e ne sperimenteranno i grandi vantaggi, allora non ci sarà più bisogno di “obbligatorietà”in quanto saranno gli utenti stessi a farne ricorso come primo approccio al conflitto.Purtroppo le norme attuali tutelano il Professionista prima o più dell’utente. Forse, per la prima volta, con le nuove norme sulle “Professioni non regolamentate”, si guarda all’interesse dell’utente prima di quello dei Professionisti. Ancora grazie e auguri di tanti successi professionali, peraltro ampiamente meritati. Con stima grande. Vincenzo Orefice, presidente dell’Ass.”Tribunale di Pace”