A norma dell’articolo 5 del Decreto Legislativo 28/2010, che entrerà a regime nella primavera dell’anno prossimo, l’esperimento di un previo tentativo di conciliazione sarà condizione di procedibilità della domanda volta a far valere in giudizio un’azione relativa ad una serie di controversie, tra cui quelle in materia di condominio. L’obbligatorietà del tentativo di conciliazione, va detto per completezza di esposizione, è esclusa dal terzo comma del medesimo articolo in tutta una serie di ipotesi. Senza entrare in un’analisi dettagliata delle esenzioni, merita sottolineare che l’obbligatorietà non preclude la concessione – e, quindi, a monte, la domanda – dei provvedimenti urgenti e cautelari né la trascrizione della domanda giudiziale, utile per il noto effetto “prenotativo” che esplica.
Alcuni, a fronte dell’introduzione nell’ordinamento di un evidente caso di giurisdizione condizionata, hanno paventato l’illegittimità costituzionale della disposizione, vuoi per contrasto con l’articolo 76 della Costituzione (sostenendo che il legislatore delegato abbia ecceduto i limiti della delega parlamentare di cui all’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69), vuoi per contrasto con l’articolo 3, (sostenendo che l’elencazione delle materie per le quali il meccanismo ADR è stato reso obbligatorio violi il principio di ragionevolezza). Entrambe le censure hanno validi argomenti a sostegno, ma, fino all’esito di eventuali giudizi di fronte alla Corte Costituzionale, le liti in materia di condominio sono da considerarsi assoggettate al regime previsto dalla norma in esame e, pertanto, può essere utile ragionare su come, a livello pratico, debba muoversi il condominio che intenda iniziare una causa dopo il 20 marzo 2011.
L’ipotesi più interessante da analizzare è quella del condominio formato da almeno cinque condomini, in cui sia obbligatoria la nomina dell’amministratore o, comunque, l’ipotesi in cui un amministratore sia stato effettivamente nominato. L’amministratore è organo esecutivo del condominio ed è, normalmente, qualificato come mandatario dei condomini stessi; trattasi, in particolare, di mandato con rappresentanza, nei limiti delle competenze attribuite all’amministratore per legge ed eventualmente anche per regolamento condominiale (si noti, per inciso, che il regolamento condominiale può solo ampliare e mai restringere le attribuzioni già conferite ex lege all’amministratore). Ai sensi del combinato disposto degli articoli 1130 e 1131 del codice civile, all’amministratore è conferito il potere-dovere di compiere tutta una serie di atti (eseguire le delibere dell’assemblea, far rispettare il regolamento di condominio, disciplinare l’uso delle cose comuni in modo che tutti possano goderne, riscuotere le somme necessarie alla manutenzione delle parti comuni e per l’esercizio dei servizi comuni e pagare le relative spese, compiere atti conservativi dei diritti inerenti le parti comuni). A livello processuale, ciò si riflette nella legittimazione attiva e passiva dell’amministratore a rappresentare il condominio in processo nelle cause relative ai suoi poteri-doveri. In parole povere, questo significa che l’amministratore, per le materie di propria competenza, può agire in giudizio sia nei confronti dei condomini sia nei confronti dei terzi senza previa autorizzazione dell’assemblea e, corrispettivamente, può liberamente essere convenuto in rappresentanza del condominio (o, per alcuni, dei condomini).
Si tratta di capire se tale potere possa considerarsi, alla luce della nuova normativa, automaticamente esteso anche al tentativo obbligatorio di conciliazione oppure no. Alcuni commentatori hanno sostenuto che l’estensione debba essere esclusa e che debba, invece, farsi riferimento alla prassi seguita in tutti i casi in cui i regolamenti di condominio prevedono clausole compromissorie per le devoluzione ad arbitri delle controversie condominiali. Normalmente, in tali casi, i regolamenti prevedono che l’amministratore debba sottoporre alla votazione dell’assemblea la valutazione circa l’opportunità di iniziare un arbitrato, nonché la decisione di nomina del/degli arbitro/i. La posizione, pur ricca di suggestioni, non riesce però a convincere del tutto, non essendo l’esperimento obbligatorio del tentativo di conciliazione in alcun modo paragonabile alla libera scelta di tentare l’arbitrato. Avendo, infatti, la normativa in commento introdotto un caso di accesso condizionato alla giurisdizione ordinaria e dato che, come si è detto, la giurisdizione ordinaria rientra, di massima, nell’ambito delle competenze attribuite per legge all’amministratore, è logico ritenere che tali competenze debbano estendersi sino a ricomprendere anche l’avvio del procedimento di mediazione, almeno nella misura in cui esso sia qualificato come requisito giuridicamente necessario per l’accesso al processo. Accogliendo questa impostazione pare, quindi, abbastanza pacifico non solo che l’amministratore di condominio sia organo competente a firmare l’informativa relativa alla possibilità di avvalersi della mediazione che ogni avvocato deve sin da oggi obbligatoriamente fornire in forma scritta, ma anche che egli possa tranquillamente rappresentare, in qualità di parte, il condominio (o i condomini) nel procedimento conciliativo senza bisogno di previe autorizzazioni assembleari. Ciò che pare dubbio, piuttosto, è che egli possa proporre soluzioni nell’ambito del procedimento e sottoscrivere, senza aver consultato l’assemblea, il verbale di mediazione, almeno in tutti quei casi in cui sia necessario decidere se accettare o meno una proposta di accordo.
Sono prospettabili, sul punto, due diverse interpretazioni. Da un lato, valorizzando la natura di potere-dovere delle attribuzioni di cui all’articolo 1130 del codice civile (nonché delle eventuali ulteriori attribuzioni previste dal regolamento condominiale) e la natura di mandatario con rappresentanza dell’amministratore, si potrebbe sostenere che egli è sovrano nel decidere nelle materie attribuite alla sua competenza, con conseguente legittimazione a trattare ed a firmare, con efficacia vincolante per i condomini, il verbale di cui sopra. Dall’altro, si potrebbe, viceversa, valorizzare la portata transattiva dell’accordo contenuto nel verbale qualificandolo come atto di straordinaria amministrazione che necessita, quindi, del previo consenso assembleare. Da un punto di vista sistematico, la prima opzione pare preferibile, a meno di non voler svuotare, di fatto, la portata delle attribuzioni di competenza dell’amministratore. In via tuzioristica, però, almeno in sede di prime applicazioni della nuova normativa, è consigliabile che l’amministratore, per essere certo di andare esente da responsabilità, operi in modo da far inserire dall’assemblea un’integrazione espressa delle proprie attribuzioni nel corpo del regolamento di condominio atta a ricomprendere la facoltà di trattare e concludere accordi in sede di tentativi obbligatori di mediazione, o, in alternativa, solleciti l’assemblea a deliberare, caso per caso, su come comportarsi in sede conciliativa.
Nelle ipotesi di condominio senza amministratore, invece, sono applicabili ai singoli condomini le norme comuni in materia di legittimazione processuale attiva e passiva, con tutto quello che ne consegue anche in punto di litisconsorzio.
Gentile Avv. Veronica Alvisi, sono l’amministratore di un condominio ed ha seguito di una ristrutturazione edilizia, nel contratto di appalto ho inserito l’arbitrato, siamo arrivati all’arbitrato, Le domando oltre ai poteri dell’amministratore 1130 e 1131 posso rappresentare il condominio in giudizio senza una delibera assembleare specifica che estende il mandato di rappresentanza? Io ritengo come leggo in alcune sentenze di cassazione che l’amministratore con la sua carica possa ricoprire anche questo, Lei come pensa? attendo gentilmente urgenti risposte
grazie