I profondi mutamenti legislativi e culturali in corso nel sistema della giustizia civile in Italia sull’onda dell’impulso europeo non sempre emergono in tutta la loro evidenza se non in talune pronunce giurisprudenziali di merito nelle quali è possibile cogliere la radicale trasformazione che, tra luci ed ombre, avanza senza sosta.
Accade così che gli interpreti, presi dal risolvere le pur complesse e delicate questioni sorte nell’applicazione delle norme relative alla mediazione obbligatoria, abbiano accolto la prima sentenza della Suprema Corte di Cassazione in materia limitandosi a celebrare la soluzione ivi contenuta della vexata quaestio che riguardava la improcedibilità nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Ci si riferisce alla nota sentenza n. 24629 del 7 ottobre 2015 (depositata il 3 dicembre 2015) della Cassazione (III Sezione civile, Pres. Est. Vivaldi) che in motivazione, a sostegno della decisione assunta, contiene anche una importante affermazione di principio, in quanto individua la principale ratio della scelta normativa fissando un cardine giurisprudenziale dal quale non si potrà prescindere per le future letture ermeneutiche dell’intero impianto legislativo.
I supremi giudici infatti hanno precisato che la norma di cui all’art. 5 del D.lgs. 28/2010 «è stata costruita in funzione deflattiva» (si ricorderà che anche la relazione ministeriale allo schema del decreto legislativo poneva quale primo obiettivo proprio quello deflativo, senza obliterare poi le esigenze di pacificazione sociale che tale strumento reca con sé) e, per tale ragione, deve essere interpretata «alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale» (lettura costituzionalmente orientata in relazione al principio di cui all’art. 111, comma 2, Cost.).
Un obiter dictum le cui conseguenze appaiono di straordinario rilievo poiché la Cassazione specifica che «in questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira per così dire a rendere il processo la extrema ratio: cioè l’ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse».
Una prospettiva dunque tesa ad un riequilibrio fisiologico della giurisdizione in chiave di sussidiarietà. Non un declino, ma una nuova centralità del processo civile che valorizza gli spazi destinati alla composizione pacifica attraverso la mediazione e gli altri procedimenti di ADR.
D’altronde, l’obiettivo posto dal legislatore europeo non può dare adìto a dubbi: occorre facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie, promuovendo la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e «garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario» (art. 1, § 1, Direttiva 2008/52/CE).
Un sistema giustizia equilibrato nel quale la mediazione e gli altri strumenti di ADR si pongono in rapporto di complementarità con la giurisdizione e non quali alternative proprie alla stessa. Un sistema giustizia integrato e sostenibile nel quale le condizioni di procedibilità servono ad attuare il necessario filtro preventivo finalizzato a radicare nuove prassi per la composizione pacifica delle controversie.
Complessità e poliedricità di un rinnovato modo di intendere il sistema giustizia nel quale l’efficienza e l’efficacia della giurisdizione ne costituiscono un prius e non posterius per l’effettività della tutela. Una giurisdizione minima dunque che postula la ridefinizione del perimetro della sua operatività collocandosi quale argine estremo ed ineludibile, ma che non ne mortifica (e non deve mortificarne) la centralità assiologica.
La recente stagione di riforme della giustizia civile ha allargato ancor più l’orizzonte dei sistemi di ADR ed il cantiere legislativo è destinato a restare ancora aperto. Nel percorso culturale avviato con l’introduzione della mediazione, il processo civile diviene «l’ultima possibilità» e, quindi, una extrema ratio, che senza mai obliterare la tutela dei diritti ed il suo rilievo costituzionale consente l’affermazione di sistemi compositivi coesistenziali.
4 commenti
a parte la “funzione deflattiva” … che nun se po’ senti’ 🙂 è interessante il richiamo al principio di sussidiarietà
Se non verrà stabilito il conflitto di interesse tra avvocato e mediatore, difficilmente le mediazioni avranno esito positivo…..
@Fino Angela
Mi spiace contraddirti , ma il conflitto di interesse risiede in un altro campo. E’ necessario costruire due categorie di avvocati , quelli specializzati in ADR e quelli in contenzioso. Lasciando solo ai primi l’assistenza in mediazione. Questo garantirebbe una maggiore collaborazione e un miglior risultato.
Ed inoltre, a mio giudizio, anche nella mediazione obbligatoria non deve essere obbligatoria la presenza dell’avvocato, ma solo una facolta’ della parte di essere assistita.
Altrimenti lo strumento deflattivo diventa uno strumento di incremento delle spese legali tutte quelle volte (sempre ? spesso ?) che la mediazione obbligatoria fallisca ovvero, che si sappia che fallira’ gia’ a priori.
Purtroppo la nuova mediazione ha scardinato l’obiettivo della prima ed in cio’ ha fallito costruendo l’obbligo di un pre-processino…..pletorico
Ed ancora una volta il nostro paese e’ evoluto solo sulla carta ma nei fatti mira a conservare i privilegi. Diverso sarebbe stato avere sempre le parti a confronto diretto, davanti ad un mediatore “robusto” e preparato.