A lezione di mediazione da Cartesio, Totò e Sun Tzu
Non erano bastate le lodi pubbliche del Parlamento europeo che, con una lettera al Ministro Cancellieri, lo scorso gennaio indicava nella legge italiana sulla mediazione “un esempio da cui tutta l’Europa deve imparare”. A firmare la lettera era stata la “madre” della Direttiva europea sulla mediazione, Arlene McCarthy, ossia il relatore di quel provvedimento comunitario del 2008 da cui tutto è partito. Né sono state sufficienti le nette indicazioni del Fondo Monetario Internazionale, una settimana fa, secondo cui la legge italiana sulla mediazione — compresa quindi la parte che prevede l’obbligo non già di mediare (che da settembre 2013 non esiste più), ma solo di considerare seriamente la mediazione, in taluni casi — è “un passo nella giusta direzione”.
No. Dopo che il TAR ha negato la richiesta di sospensiva delle norme che regolamentano l’attività degli organismi di mediazione, e che anche il Consiglio di Stato, ieri, ha ribadito quel diniego, l’OUA e l’oramai sparuto manipolo di associazioni forensi che continua a opporsi alla mediazione riformata non hanno trovato niente di meglio che diramare comunicati stampa ove si proclamava l’esatto contrario di quello che Palazzo Spada aveva deciso: il Consiglio di Stato ha sospeso il DM 180/2010! Da oggi non si deve più tentare la mediazione!
Ci ha pensato la stampa nazionale (Corsera – La mediazione, il Consiglio di Stato cambia ancora e Il Sole – Sulla conciliazione la mediazione ritorna al Tar, tra gli altri) a chiarire che le cose stanno all’esatto contrario. Per carità, nulla vieta ad alcuno di ergersi a paladino della giustizia e, nel caso di specie, a squadernare tesi in base alle quali la normativa italiana sulla mediazione (nonostante il plauso internazionale e l’approvazione da parte di tutte le categorie del Paese, inclusi tantissimi avvocati che non si riconoscono nelle azioni dell’OUA) sarebbe così pericolosa da meritare una sospensione urgente. Tuttavia, se esiste ancora quella Giustizia che agli stessi pare addirittura “umiliata” (dalla legge sulla mediazione e da pressoché tutti i provvedimenti normativi recenti), un comportamento del genere andrebbe stigmatizzato subito, e severamente. Infatti, quando il contenuto di un’ordinanza viene letto all’esatto contrario siamo nella migliore delle ipotesi alla sciatteria e, forse nemmeno nella peggiore delle ipotesi, alla malafede conclamata. Che sparate del genere provengano addirittura da organismi che pretendono di difendere la giustizia e i cittadini è un’aggravante non da poco, si vorrà ammettere.
A beneficio di chi non ha letto l’ordinanza del Consiglio di Stato, giova precisare che l’errore dell’OUA non è interpretativo, ma di pura e semplice lettura: un’ordinanza che sospenda delle norme – “lo dice il ragionamento stesso”, diceva un comico delle mie parti – non può non parlare espressamente di “sospensione”, né omettere di citare le “norme sospese”. E nulla di questo dice l’ordinanza di ieri, che invece, in italiano chiarissimo, rinvia a una norma del codice del processo amministrativo ove si stabilisce che il Consiglio di Stato può dare impulso alla sollecita fissazione dell’udienza di merito davanti al TAR. “Nei limiti” di questo (ossia la mancata fissazione dell’udienza davanti al TAR), il Consiglio di Stato ha accolto l’appello dell’OUA.
Al di là, come si dice spesso con fin troppa indulgenza in casi simili, di questo svarione dell’OUA, credo che la vicenda sia assai indicativa del male fondamentale che affligge la giustizia civile italiana, ossia una domanda di giustizia smodata, rispetto anche a paesi ove lo Stato di diritto non credo venga messo in dubbio nemmeno dall’OUA, come Francia, Germania e Inghilterra. Questo profluvio di cause viene spacciato da noi come manifestazione del “libero accesso alla giustizia”, ignorando che questa presunta libertà del singolo finisce per privare l’intera collettività di ciò che l’art. 24 della Costituzione ragionevolmente tutela: non il “diritto di ingresso” in tribunale, ma quello di “uscita”, con una soluzione. Se ciascuno si ostina a intasare l’accesso al sistema giustizia, specie con domande che si rivelano ripetutamente infondate, a pagare il prezzo di questa protervia è soprattutto la collettività, non il singolo. E i numeri parlano chiaro: coloro che nel nostro paese scelgono di andare in tribunale pagano con il contributo unificato solo il 10% (collettivamente più o meno trecento milioni ogni anno) di quello che lo Stato spende per offrire quel servizio (circa tre miliardi). Il 90% delle spese di giustizia viene cioè messo a carico di tutti gli altri. La media europea, in base al più recente rapporto del Cepej, è del 30% a carico dei litiganti. Insomma, solo per raggiungere la media europea il contributo unificato andrebbe triplicato, e questo lascerebbe comunque a carico di chi non litiga il 70% delle spese di chi lo fa. In Italia, oggi, impedire a chi paga il 90% di un servizio di esigere, da chi ci mette solo il 10%, quanto meno la valutazione di un’alternativa gratuita (in taluni casi, e per non più di 30 giorni, a fronte di un processo che potrebbe richiederne 3 mila!), pare inconcepibile. Se si pensa poi che questa alternativa è prevista solo in via sperimentale, a chi scrive pare di essere alla follia pura (tanto per bilanciare i termini reboanti di chi si oppone alla mediazione).
Il sistema giustizia, ovviamente, ha gli strumenti per “autotutelarsi” da simili abusi. Di norma, chi perde di fronte al giudice dovrebbe pagare tutte le spese processuali di chi vince. Inoltre, chi propone domande infondate – e, soprattutto, si ostina a riproporle quando sono state respinte – dovrebbe essere condannato per lite temeraria. Non a caso, una richiesta del genere è stata già fatta nei confronti dell’OUA per la vicenda della mediazione. A decidere sarà ora il TAR. La speranza è che i giudici facciano la loro parte, quale che sarà la decisione finale. La normativa italiana sulla mediazione, infatti, non può essere allo stesso tempo la migliore d’Europa, da una parte, e tanto anticostituzionale da meritare d’essere sospesa con un provvedimento d’urgenza, dall’altra.
Specie per chi scrive, sarebbe però grave non cogliere da questa vicenda forse un aspetto ancor più emblematico in materia di gestione della conflittualità civile. È inelegante dirlo – lo so – ma ne ho già parlato all’inizio di questa storia, nel 2010. Il perdurare dello scontro tra una parte dell’avvocatura, per quanto ora minoritaria, e tutto il resto della società civile si conferma infatti utilissimo a capire le ragioni della mediazione, e persino di quella “obbligatoria”, anche se questa è ora stata cancellata dal Decreto del fare.
La mediazione è uno strumento aggiuntivo per ridurre il carico giudiziario e soprattutto – cosa di cui si continua a non parlare – migliorare la qualità degli accordi che risolvono le liti. Si pensi ai due possibili esiti del processo in corso tra OUA e Ministero della Giustizia. Prevale il Ministero: restano in vigore le norme vigenti sulla mediazione. Vincono i contrari: per un po’ la mediazione torna a sparire dall’ordinamento. Che la mediazione puramente volontaria non esista lo mostra plasticamente questa sequenza di dati incontestabili, relativi al numero annuale di mediazioni nei periodi di tempo: 1) precedente il D.lgs 28/2010 (mediazioni pressoché inesistenti); 2) successivo a esso, sino alla sentenza della Consulta di fine 2012 (tantissime mediazioni); 3) successivo a quella sentenza, ma antecedente l’entrata in vigore del Decreto del fare (di nuovo quasi inesistenti); 4) successivo al Decreto del fare (tantissime, di nuovo). Il contenuto delle norme, cioè, agisce per le mediazioni come un interruttore: spento e acceso. Da un giorno all’altro.
Per convincersi di questo, si pensi a che accadrebbe alla maggioranza di noi tutti se, di colpo, non vi fosse più l’obbligo di assicurare le autovetture, o di indossare il casco per i motociclisti. E qui di solito parte il mantra della “mancanza di una cultura della mediazione”, che però richiede ben altro spazio. Allora mi fermo qui, sapendo di poter sembrare apodittico e persino cinico, ma prego davvero il lettore scettico di chiudere gli occhi e immaginare, anche solo per un istante, il “day after” della fine dell’obbligo di guidare con le cinture di sicurezza. Che farebbe lui e la maggioranza dei nostri concittadini? E a quel lettore rubo un altro attimo, per chiedergli di richiudere gli occhi, e riaprili subito dopo, quando l’obbligo delle cinture è stato reintrodotto.
Tornando al significato trascendente di questa vicenda, quali sono gli scenari possibili al termine della “battaglia sulla mediazione” (cosa di per sé inquietante), in aggiunta alla perdurante incertezza degli utilizzatori del sistema giustizia, cittadini e imprese per primi? Nel primo, l’OUA alla fine perde la causa e, con essa, altro tempo e terreno rispetto agli organismi che già offrono servizi di mediazione (resta da chiedersi se, almeno, nelle more gli iscritti all’OUA abbiano guadagnato alcunché). Nel secondo, l’OUA vince la causa e, verosimilmente, il legislatore si vedrà costretto a reintrodurre, per la terza volta, norme capaci di far sì che le mediazioni ci siano davvero. Ma qualsiasi giudice ben difficilmente potrà negare la legittimità del modello di “considerazione obbligatoria” della mediazione, che è quello oggi in vigore. Non certo perché le norme attuali hanno il supporto della comunità internazionale, ma perché forme ben più “spinte” di mediazione (obbligatoria vera e propria) già esistono nel nostro ordinamento e hanno da tempo passato il vaglio sia della Consulta sia della Corte di Giustizia europea. Quindi alla fine l’OUA non può che perdere di nuovo. Significa allora che il Governo vince comunque? Non proprio. Come accade spesso in tribunale, alla sconfitta dell’uno non corrisponde una vittoria dell’altro, o quanto meno una vittoria proporzionale. Per il Ministero e l’intero Paese, infatti, l’ostilità di parte dell’avvocatura riduce il potenziale della mediazione. E c’è di più. Se favorevoli e contrari si parlano solo nelle aule giudiziarie, soluzioni qualitativamente superiori – appunto – sono impensabili. Trattando, via Arenula e OUA potrebbero, invece, concordare migliorie d’interesse comune: si pensi all’innalzamento ulteriore della qualità della formazione dei mediatori e a maggiori controlli; ovvero a ulteriori incentivi economici, come lo sconto sul contributo unificato per coloro che decidano di tentare la mediazione oltre il primo incontro, e/o ad altri incentivi per le cause pendenti da più di tot anni, per “aggredire” l’arretrato.
Al pari di tutti i processi, quello tra OUA e Ministero produrrà un risultato secco e, come tale, economicamente inferiore: bianco o nero. Soluzioni creative, capaci di soddisfare interessi superiori anche comuni, sono tecnicamente impossibili in sentenza. Ecco il senso profondo di esigere che i litiganti, in certi casi, considerino seriamente soluzioni non eteronome, grazie all’aiuto di un mediatore: evitare loro di entrare automaticamente nel tunnel del processo, dal quale usciranno, se va bene, con una soluzione sub-ottimale, quando non entrambi di fatto sconfitti. Le sentenze risolvono solo il 44% delle controversie civili in Italia; più della metà delle liti si trascinano per anni prima di chiudersi con un accordo, o per abbandono. Spingere per soluzioni amichevoli anticipate, anche grazie alla mediazione, è allora un obiettivo politico logico e meritevole.
L’OUA sostiene che lo scontro di fronte alla giustizia amministrativa è inevitabile. Il ministro ha ricevuto proposte emendative, non le ha accettate e ha persino rifiutato il dialogo. La motivazione non regge. Negoziare armati (di sciopero e comunicati stampa da tregenda, nel caso dei nostri) è spesso improvvido, specie per il più debole. Non lo dice un mediatore, ma chi da un paio di millenni consiglia i generali di tutto il mondo: Sun Tzu, ne L’arte della guerra. Chi sa negoziare si preoccupa della “yesability” della propria proposta, che questa sia cioè accettabile dalla controparte. Basta che quanto si ottiene in cambio sia preferibile all’ipotesi del non accordo. Analogamente, chiedere cento e finire per ottenere dieci (come, in questo caso, forse un mero secondo rinvio della mediazione) è da sprovveduti, quando alleandosi con chi la pensa allo stesso modo (e a voler migliorare ancora la qualità della mediazione, e incentivarla economicamente, sono tantissimi) si sarebbe potuto ottenere molto di più, e più facilmente: un caso paradigmatico da mediazione, appunto.
Alleanze, negoziati condotti ragionevolmente e persino il possibile intervento di un mediatore non garantirebbero all’OUA di ottenere dal Governo ciò che vuole, ma due cose sono certe: non provare nemmeno a trovare una soluzione bonaria è un errore tale da meritare un’azione di responsabilità civile da parte dei propri iscritti per (sic!) “incapacità gestional/negoziale”. Se invece si negozia, farlo a testa bassa produce una riposta uguale e contraria, o addirittura maggiore. Che accadrà, in questo clima, agli altri tavoli negoziali ove l’avvocatura avanza richieste al Governo e alle Istituzioni?
L’avvocato, per quanto ancora pressoché esclusivamente formato ad essere (ahinoi!) “uomo di guerra”, non deve comunque dimenticare la lezione di Cartesio: cogito ergo sum, e non impugno ergo sum. La legge deve ovviamente impedire che il battagliare sia economicamente preferibile al cogitare (non solo per gli avvocati, ma anche per le parti). Infine, i giudici debbono utilizzare gli strumenti che impediscono l’abuso del processo: smettano di compensare le spese processuali quando qualcuno sbaglia di grosso e, ancor più, continua a sbagliare. Che si tratti dei contrari o dei favorevoli alla mediazione. Basta che qualcuno paghi … e non sia sempre il buon Totò.
Giuseppe De Palo
P.S.: Sig. Presidente dell’OUA, almeno sull’incidente di ieri, che ne direbbe di provare a mediare (il primo incontro è gratuito, ed entrambe le parti sarebbero assistite dagli avvocati, come prevede la legge)? Ecco un a base di trattativa: l’OUA si scusa per i comunicati a dir poco fuorvianti, e il mondo della mediazione si astiene dal fare causa all’Organismo Unitario dell’Avvocatura per il procurato allarme. Io rappresento solo un operatore dell’ADR, quindi parlo a titolo individuale, ma a Lei fa riferimento una parte comunque importante dell’avvocatura. Su di Lei, pertanto, ricade la responsabilità principale, tra cui quella di fare il primo passo. Nei confronti dell’intero Paese, non solo di chi si occupa di mediazione. Ovviamente, mediare può poi rivelarsi persino non necessario. Ma parlarsi, finalmente, lo è.
8 commenti
Devo fare i miei complimenti al prof. De Palo, per la lucidità e pacatezza delle sue riflessioni. Come cittadino e operatore di giustizia, spero che in Italia si smetta di guardare al proprio orticello e si cominci a ragionare insieme del benessere comune.
Ancora un plauso al prof De Palo, per tutto quello che rappresenta per il “Mondo ADR”.
Buon giorno,
prof. De Palo, a il mio sostegno personale e di rappresentante di un organismo e le consento anche di parlare a nome mio e dell’ente che mi pregio di rappresentare.
Felice giornata.
mi complimento per l’articolo. il prof De Palo si dimostra oltre che un buon negoziatore anche un buon filosofo, perche’ come la filosofia insegna affrontare con ironia ed arguzia i problemi e’ la soluzione migliore. Di fronte a posizioni cosi’rigide ed esacerbate non resta che invitare le parti ad un incontro di “mediazione” dove ognuno dovrebbe affrontare i problemi in un’ottica nuova rivolta al futuro e non ancorata al passato
Mi associo all’apprezzamento per la pacatezza delle riflessioni del Prof. De Palo, negoziatore da cui tutti dovremmo imparare. A tal proposito vorrei riportare un mio commento di ieri su altro blog.
“Al Prof. Avv. De Palo, che ho avuto modo di apprezzare nei tanti convegni da lui organizzati, tutti di altissimo livello, vorrei esprimere la mia profonda condivisione in ordine a quanto ci ha rappresentato. Da molto tempo protesto contro l’indecorosa ed illegittima prassi della “compensazione delle spese” o delle “condanne irrisorie “.
Giustissimo il monito ai Giudici: smettano di compensare le spese processuali quando qualcuno sbaglia (strumentalizza il processo, aggiungo io) e, ancor più, continua a sbagliare! Come non acclamare la verità che l’art. 24 della Costituzione ragionevolmente tutela non il “diritto di ingresso” in tribunale, ma quello di “uscita”, con una soluzione.
Imponiamoci nelle aule di giustizia affinché le norme di diritto abbiano una concreta applicazione. Sensibilizziamo i Giudici (che peraltro avrebbero tutto da beneficiare!) sull’utilità della mediazione e sull’importanza dell’art.116 cpc. Personalmente ritengo che responsabilità siano ascrivibili anche a quei giudici che non hanno applicato e continuano a non applicare l’art. 8 del D.Lgs.n.28/2010 (ex comma 5, ora 4 bis), magari dimenticando persino che esista! Anche i Giudici devono fare la loro parte.
Le conseguenze della mancata partecipazione alla mediazione (ora, primo incontro, aggiungo “funesto”) a mio sommesso avviso andrebbero emendate per conferire loro una maggiore efficacia. Ancora oggi, nonostante la gratuità del primo incontro, verifico la non partecipazione della parte invitata. Come possiamo pensare e sperare che le cose cambino?
… nulla aggiungo sull’attività di volontariato che i Mediatori prestano nello svolgimento del loro incarico!
In ultimo plaudo al Prof. Avv. De Palo che anche in questa occasione ci ha dato una ineccepibile lezione di negoziazione, e di stile, nonostante lo scivolone solenne dell’OUA, attraverso l’invito ad aprire un tavolo d’incontro, per addivenire in tempi ragionevoli a soluzioni costruttive e concordate tra le parti in conflitto.
Apprendiamo da chi ha qualcosa di serio ed intelligente da dirci e da proporci e riflettiamo con umiltà.”
Naturalmente l’appello alla ragione dell’ottimo prof. De Palo non poteva non essere subito accolto dall’OUA, che con lungimiranza e onestà intellettuale ha difatti deciso di ricorrere nuovamente al Consiglio di Stato, rendendo noto che lunedì prossimo presenterà una richiesta di nota chiarificatrice che sancisca, definitivamente, la sospensione di quel male assoluto che loro chiamano “mediazione obbligatoria”.
Che dire? Una legge ben fatta può senz’altro far decollare la mediazione in Italia, per il buon senso è tutta un’altra storia.
E noi rimaniamo qui assaliti dagli interrogativi: ma saper leggere (e comprendere) un’ordinanza non dovrebbe essere pane quotidiano di tutti gli operatori del diritto? Utilizzare gli strumenti negoziali non dovrebbe essere per loro congeniale?
Se il nostro Paese è la culla del diritto, quello ormai, a forza di cullarlo, si è addormentato, e chissà se riusciremo più a svegliarlo.
condivido pienamente l’intervento. Anzi penso che per poter cambiare le cose è necessario anche cambiare l’approccio culturale, per cui occorrono interventi che coinvolgano la platea degli studenti e dei giovani (esempio progetti per le scuole medie e istituti superiori finalizzati alla conoscenza delle ADR e della gestione del conflitto, come è già stato fatto per altre materie di interesse sociale, della salute ecc., solo così si cambia la mentalità). Poiché credo molto nel cambiamento economico e sociale cui può portare la diffusione della mediazione, metto a disposizione le mie esperienze sia come docente in mediazione, sia come mediatore.
caro de palo, ha perfettamente ragione ma non tiene conto dell’importanza che per i vecchi arnesi dell’avvocatura – i tromboni – riveste la logica, quasi erotica, dell’impugnare.
forse è meglio, malgrado tutto, abbandonare il dialogo tra sordi, ovvero con quanti si rifiutano di ascoltare e di ragionare, anche nel
beninteso interesse di una categoria ampiamente scaduta, e chiedere al governo di seguire più decisamente la linea delle sanzioni positive,
come da lei accennato dicendo “…si pensi all’innalzamento ulteriore della qualità della formazione dei mediatori e a maggiori controlli; ovvero a ulteriori incentivi economici, come lo sconto sul contributo unificato per coloro che decidano di tentare la mediazione oltre il primo incontro, e/o ad altri incentivi per le cause pendenti da più di tot anni, per “aggredire” l’arretrato”, per far capire ai litigiosi italiani, indipendentemente da quanto possano dire loro i vecchi avvocati, che cosa più conviene a loro stessi.
più convenienze nella mediazione e più costi nel processo, anche per quanto riguarda l’arretrato, sul quale meriterebbe studiare una specifica proposta da parte del mondo adr
Condivido pienamente quanto scritto dal Prof. De Palo e da quanti hanno commentato positivamente, prima di me, il suo articolo. L’Organismo Unitario dell’Avvocatura dimostra, ogni giorno di più, di non essere poi tanto unitario, dal momento che tantissimi avvocati come me non si sentono affatto rappresentati nelle iniziative che, con estrema protervia, continua a sostenere! Forse che noi avvocati non abbiamo qualche altro serio problema da affrontare e risolvere di questi tempi? Hanno comunicato all’O.U.A. che la maggioranza dei mediatori siamo avvocati e che siamo giornalmente impegnati in incontri “informativi” gratis et amore Dei? Qualcuno si è posto il problema se ciò sia giusto o no? Forse che ci siamo rivolti a qualcuno per tutelare il sacrosanto diritto alla retribuzione, giusta e proporzionata, della nostra attività e del nostro tempo, oppure siamo rimasti in silenzio, ci siamo rimboccati le maniche ed abbiamo continuato a fare bene il nostro lavoro?