La Riforma Cartabia ha introdotto nuove norme che rafforzano il valore degli accordi raggiunti dai coniugi davanti al mediatore familiare
Separazione e mediazione familiare
Quella del mediatore familiare è una figura che ha ricevuto una notevole considerazione nell’ambito della recente riforma del processo civile avvenuta con legge n. 206 del 2021, anche nota come Riforma Cartabia.
Con tale intervento legislativo, infatti, si è dato particolare risalto all’istituto della mediazione familiare, nel tentativo non solo di deflazionare il carico di lavoro giudiziario con riferimento alle cause di separazione e divorzio, ma soprattutto di tutelare gli interessi dei soggetti coinvolti in questo genere di controversie, in particolare i figli minori di età.
Cosa fa il mediatore familiare
Come noto, la mediazione familiare è un procedimento, il cui esperimento non è obbligatorio, attraverso il quale i coniugi che intendono porre fine agli effetti civili del matrimonio possono raggiungere un accordo – o una serie di accordi – riguardo ai vari aspetti conseguenti alla separazione, come l’affidamento dei figli, il mantenimento o l’assegnazione della casa familiare.
La grande differenza tra questa soluzione e il classico giudizio ordinario di separazione sta nell’intervento del mediatore familiare, che è una figura professionale appositamente formata e qualificata, in grado di condurre le parti a un dialogo fruttuoso, in un clima meno conflittuale e decisamente più collaborativo rispetto a quello che si viene a creare nelle aule di un Tribunale.
L’aspetto più rilevante da tenere presente è che il mediatore familiare non è chiamato a decidere alcunché, come invece accade al giudice, ma ha soltanto il compito di favorire il dialogo e il raggiungimento di un accordo tra i coniugi. Sono solo questi ultimi, quindi, a decidere in concreto il contenuto dell’accordo, cui aderiscono volontariamente e che sono sempre liberi di modificare di comune accordo.
L’invito del giudice a rivolgersi al mediatore familiare
Ebbene, proprio in virtù della particolarità della sua figura, il mediatore familiare si è affermato come un soggetto cui fare proficuamente ricorso nel contesto di crisi familiari, e per questo il legislatore della Riforma gli ha riservato particolare importanza.
Già prima della Riforma Cartabia, un recente intervento normativo aveva introdotto all’interno del codice civile l’articolo 337-octies che, nel contesto delle norme volte a garantire l’esercizio della responsabilità genitoriale a seguito della separazione, dispone che il giudice può, ravvisandone l’opportunità e ricevuto il consenso dei coniugi, rimandare questi ultimi davanti a un mediatore familiare per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli.
Adesso, con il testo modificato dalla suddetta Riforma, il nuovo articolo 337-ter specifica che il giudice, nell’adottare i provvedimenti relativi alla prole, prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori, “in particolare qualora raggiunti all’esito di un percorso di mediazione familiare”.
Riforma Cartabia, più valore al ruolo del mediatore
Come si vede, il nuovo inciso appena esaminato conferisce espressamente un valore importantissimo ai risultati del percorso che i coniugi in via di separazione compiono davanti al mediatore familiare.
E l’importanza accresciuta – verrebbe da dire: “certificata” dal legislatore – di tale figura è rimarcata dalla novella che la Riforma Cartabia apporta anche al codice di procedura civile.
Tale intervento normativo, infatti, mira, in generale, ad introdurre nel nostro panorama processuale civilistico il nuovo tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e, a proposito della mediazione familiare, dispone che il giudice può, in ogni momento, informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore familiare.
Le parti possono scegliere liberamente il professionista tra le persone iscritte in un apposito elenco tenuto in Tribunale (sulla scorta di quanto previsto dalla legge n. 4/2013), per ricevere informazioni e valutare se intraprendere tale percorso.
Va evidenziato, al riguardo, che il mediatore familiare è un professionista – avvocato, psicologo, esperto in sociologia etc. – che ha ottenuto una specifica formazione mirata alla gestione delle mediazioni familiari e quindi con specifiche competenze in merito alla capacità di ascolto, di favorire un dialogo e di formulare proposte di accordo alle parti, anche con riferimento alle decisioni che riguardano i figli (affido condiviso, diritto di visita del genitore non collocatario etc.).
In chiusura, va ricordato che alle parti è fatto divieto di intraprendere un percorso di mediazione familiare quando sia stata pronunciata una sentenza di condanna per violenza familiare o di genere.