La conciliazione del 1998 tra la Mitsubishi e l’EEOC (Equal Employment Opportunity Commission), l’organismo che negli USA si occupa delle pari opportunità nel mondo del lavoro, è un esempio famoso di soluzione mutuamente soddisfacente di una controversia di lavoro ottenuta grazie al ricorso ad una procedura di ADR.
Notoriamente le procedure di ADR, ossia i metodi di risoluzione alternativa delle liti, si distinguono dal processo civile e dall’arbitrato per il fatto di ricercare non tanto i torti e le ragioni dell’una o dell’altra parte, bensì soluzioni che soddisfino gli interessi non antagonisti di entrambe.
Questa visione, per quanto corretta, è però limitativa. A diversi anni da quella vicenda, infatti, la conciliazione della lite tra la casa automobilistica giapponese e l’EEOC dimostra come le procedure di ADR sono in grado di soddisfare, oltre a quelli delle parti coinvolte, anche interessi collettivi generando soluzioni qualitativamente superiori a quelle ottenibili nelle aule di giustizia ed in sede arbitrale.
Partiamo dalla vicenda del 1998. Per chi non ricordasse i dettagli del caso Mitsubishi, la celebre società nipponica si trovava all’epoca implicata in un grave scandalo per via delle accuse di molestie sessuali sul lavoro avanzate da circa 700 dipendenti nello stabilimento di Normal (Illinois).
L’EEOC, costituitasi parte lesa per difendere i diritti delle vittime degli abusi, aveva dato grande risalto al caso nell’opinione pubblica. Questo per via dei ripetuti insuccessi incassati nel tentativo di far adottare dal management di Mitsubishi sanzioni e provvedimenti adeguati all’interno dello stabilimento. Lo scandalo avrebbe potuto condurre alla chiusura della fabbrica di Normal, oppure ad uno scontro in tribunale con costi elevatissimi per entrambe le parti.
Grazie all’intervento del conciliatore Abner J. Mikva, ex-giudice e fervente promotore del fenomeno ADR negli Stati Uniti, la vicenda si chiuse però in tempi rapidi e soprattutto con soddisfazione degli interessi fondamentali di entrambe le parti: per Mitsubishi, salvaguardare l’immagine della società , prima ancora di evitare risarcimenti e spese legali spropositati; per l’EEOC, il risarcimento delle vittime e garanzie che le condizioni di lavoro alla Mitsubishi sarebbero migliorate stabilmente in futuro. Oltre al pagamento di una somma di circa 34 milioni di dollari, infatti, come parte dell’accordo Mitsubishi s’impegnò ad assumere personale esperto in materia di prevenzione e formazione dei lavoratori contro tutti i generi di discriminazioni sul lavoro.
Il risarcimento concordato tra le parti può apparire una cifra molto elevata e quindi una sconfitta grave per la casa giapponese. In realtà , la cifra risulta essere contenuta se paragonata al dispendio che sarebbe stato necessario per sostenere i costi di un simile processo negli Stati Uniti, e soprattutto alle possibili sanzioni conseguenti, tra cui i temutissimi “danni punitivi”. Per non parlare dell’ulteriore danno all’immagine della società automobilistica che il trascinarsi del processo avrebbe provocato, specie vista la straordinaria attenzione dei media all’evento. Un ulteriore “costo”nascosto, infine, sarebbe stato rappresentato dal tempo che la direzione aziendale, ai più alti livelli, avrebbe impiegato ad occuparsi del caso (ed a proteggere l’immagine propria e della società), invece che alla gestione e allo sviluppo dell’attività aziendale.
La valenza per cosi dire “collettiva”della conciliazione EEOC contro Mitsubishi è però emersa in tutta la sua estensione solo di recente. Come parte dell’accordo conciliativo, infatti, la Mitsubishi si era impegnata ad adottare una politica di “zero tolerance”nei confronti di ogni discriminazione sul lavoro, affidandone l’attuazione ad un “Opportunity Programs Department”(OPD), responsabile anche di valutare le lamentele dei dipendenti in questo campo.
Altro elemento assai originale del “pacchetto”transattivo EEOC/Mitsubishi – e riprova che le procedure di ADR possono integrarsi con, e non necessariamente sostituirsi al lavoro dei magistrati – fu la nomina di tre valutatori indipendenti da parte del giudice chiamato ad approvare l’accordo conciliativo, per monitorare l’ambiente di lavoro alla Mitsubishi nei successivi tre anni.
Dal rapporto finale dei valutatori è ora emerso che l’OPD ha ricevuto nel periodo di osservazione 140 istanze di violazione della policy, di cui 52 ritenute fondate. Di queste 52 vicende, 8 sono terminate con il licenziamento del responsabile della violazione, 14 con la sospensione senza paga e 30 con sanzioni minori.
Ma il dato forse più importante è che la policy anti-discriminazioni della Mitsubishi risulta oggi essere, nelle parole degli estensori del rapporto, “molto più forte di quanto richiesto dalle leggi statali e federali in materia di tutela contro le discriminazioni sul lavoro.”Da luogo degli orrori, la fabbrica Mitsubishi è quindi divenuta un modello da seguire in materia di contrasto ad ogni forma di discriminazione.
Vale la pena di sottolineare come una simile metamorfosi ben difficilmente sarebbe potuta accadere a seguito di un tradizionale processo giurisdizionale o arbitrale. Come ai sostenitori dell’ADR piace ripetere, difatti, i metodi tradizionali di risoluzione delle liti hanno carattere eminentemente punitivo e, come tali, se anche risolvono il problema della lite, non sono in grado di incidere sulle cause scatenanti.
Già pubblicato in Soluzioni nel marzo 2002