La negoziazione è un procedimento in base al quale le parti in lite cercano di trovare un accordo mutuamente accettabile su una questione di comune interesse, senza l’intervento di un terzo neutrale. E’ cioè uno strumento di interazione e comunicazione tra due soggetti che vogliono veder soddisfatte le proprie pretese quando hanno interessi contrapposti ma condivisibili.
E’ un “fatto di vita”, un “fact of life” come l’hanno definita Roger Fisher e William Ury. Tutti, infatti, negoziamo qualche cosa ogni giorno, anche se spesso non ci rendiamo conto di farlo. Gli amici negoziano per decidere come trascorrere la serata, i bambini a quale gioco giocare, gli acquirenti il prezzo di un determinato prodotto e così via.
Esistono diversi approcci alla negoziazione, la cui conoscenza appare fondamentale per i legali che vogliono raggiungere un accordo favorevole ai propri clienti. Tre sono i principali stili di negoziazione: competitivo, cooperativo e integrativo.
Questi tre stili non devono essere, però, confusi con le caratteristiche personali del negoziatore, sebbene sussista una correlazione tra i due. Per esempio, un negoziatore competitivo può essere molto gentile e al contempo distruggere la fiducia della controparte, inducendolo a rendere concessioni unilaterali. Infatti, la gentilezza di un negoziatore può far parte di un piano manipolativo. Quindi, a seconda della situazione, delle opportunità e della natura dei rapporti che si instaurano tra i contendenti, un negoziatore con caratteristiche personali cooperative potrà adottare una strategia competitiva e viceversa.
L’approccio competitivo
Le parti che adottano un approccio competitivo alla negoziazione vogliono ottenere l’accordo a loro vantaggioso e a detrimento della controparte. Per far ciò tentano di intimidire l’avversario, di fargli perdere fiducia nella propria forza negoziale, costringendolo ad accogliere le richieste prospettategli e convincendolo a raggiungere un compromesso più svantaggioso rispetto alle aspettative. Coloro che adottano tale tecnica, tendono ad aprire le trattative presentando richieste esagerate, in modo da poter ricavare il massimo vantaggio dalla negoziazione e da non fare o fare poche, e molte volte apparenti, concessioni, le quali si configurano come necessarie per evitare un impasse nella trattativa.
Per contro, esiste il rischio che ogni concessione determini sia una perdita d’immagine che di posizione, cioè che la controparte percepisca l’avversario come un debole, come una persona dalla quale sia possibile ottenere facilmente tutto ciò che si desidera. Chi si avvale di tale approccio, tende a divulgare limitate informazioni riguardanti fatti, preferenze e limiti entro i quali si è disposti ad accettare un accordo; reali aspettative ed esigenze, la propria forza e il potere negoziale e, conseguentemente, lo scarso potere contrattuale della controparte. In questo modo si instaura un clima di tensione e di pressione, incrementati dall’aspettativa che anche la controparte si comporti nella stessa maniera.
Chi utilizza tale strategia crede che la negoziazione sia una tecnica ideata per dividere le risorse esistenti e che, in quanto limitate, il beneficio di una parte vada a discapito dell’altra. Di conseguenza un accordo viene considerato soddisfacente quando è vantaggioso, a prescindere dal fatto che sia equo. Credono quindi nell’efficacia di tale tecnica coloro che non sono interessati ad instaurare un rapporto di fiducia con la controparte, che permetta l’instaurazione di una stabile relazione d’affari.
L’approccio cooperativo
Chi si avvale di questa tecnica vuole raggiungere un accordo soddisfacente ed equo per sé e per la controparte. Si tenta così di costruire con l’altro contendente una relazione interpersonale basata sulla fiducia. Per far ciò si apre la negoziazione facendo delle concessioni e presentando richieste moderate, che possano venir facilmente accettate dalla controparte. In tal modo, si vuole dimostrare all’altra parte di voler raggiungere l’accordo e di impegnarsi affinché esso possa essere raggiunto.
Questo metodo di negoziazione funziona, però, in maniera ottimale quando viene adottato da entrambi i contendenti. Quando, invece, una delle parti adotta un approccio competitivo e tenta di sfruttare la situazione a proprio vantaggio, a colui che adotta un approccio cooperativo non resta che smettere di fare nuove concessioni, fin quando la controparte non ammorbidisca la propria posizione e non inizi a fare delle concessioni.
L’approccio integrativo
Sia i sostenitori dell’approccio competitivo che di quello cooperativo tentano di ottenere il maggior numero possibile di concessioni dalla controparte. Ogni concessione incrementa la soddisfazione del conceduto e diminuisce quella del concedente, dal momento che i contendenti tentano di dividere una predeterminata quantità di beni e risorse. Per contro, con l’approccio integrativo, le parti cercano di trovare una soluzione ai loro conflitti che soddisfi gli interessi di entrambe, poiché i contendenti cercano di massimizzare i benefici e di espandere beni e risorse.
Come nell’approccio cooperativo, i contendenti tentano di raggiungere un accordo amichevole alla controversia. Presupposto, affinché tale tecnica porti ad una soluzione soddisfacente per entrambe le parti, è che gli interessi delle parti non siano in netto contrasto, ma che vi siano delle sovrapposizioni, sulle quali, utilizzando un approccio creativo, sia possibile costruire un accordo.
La strategia di negoziazione analizzata da Roger Fisher e da William Ury in “Getting to Yes: Negotiating Agreement Without Giving In” si basa su tale approccio, anche se se ne differenzia sotto importanti aspetti. L’approccio di tali autori alla negoziazione si delinea come un approccio di “Principled negotiation”.
Tale approccio si basa su quattro punti cardine:
1. Non confondere le questioni con le parti in lite: nell’accingersi al tavolo della negoziazione bisogna tener sempre presente che le persone non sono computers, ma soggetti che hanno emozioni e percezioni proprie, e appunto per tale ragione possono avere delle difficoltà nel comunicare. Spesse volte le emozioni e le percezioni si mescolano con quella che è la reale questione in disputa. Conseguentemente, per addivenire ad una soluzione soddisfacente della questione, risulta opportuno scindere la questione dall’interlocutore, le relazioni interpersonali, che si vengono a creare tra i disputanti, da quelli che sono i meriti del problema. Diversamente, le parti che si avvarranno dell’approccio cooperativo, tenteranno di conquistare la fiducia della controparte per poter raggiungere un equo accordo, mentre quelli, che si avvarranno dell’approccio competitivo, tenteranno di cambiare la posizione della controparte per conformarla alla loro volontà.
2. Focalizzare l’attenzione su quelli che sono i reali interessi dei disputanti e non sulle loro posizioni. Le posizioni si configurano come una rigida e predisposta soluzione in uno spazio di infinite possibili soluzioni. Le posizioni celano una molteplicità di interessi. Gli interessi stimolano le persone, si configurano come i burattinai che si celano dietro alle posizioni. Per individuare gli interessi è necessario verificare che cosa motiva, stimola il soggetto, che cosa questi tenta di soddisfare ed ottenere. Nella negoziazione vi sono molteplici, condivisi, compatibili e contrastanti interessi. Identificare quali sono gli interessi compatibili e divisi, è di aiuto per individuare una base sulla quale costruire la negoziazione.
3. Inventare opzioni per addivenire ad una soluzione mutuamente accettabile. Prima di tentare di raggiungere un accordo, le parti dovrebbero sviluppare nuove opzioni, analizzare creativamente le possibili soluzioni, per poi decidere quale di queste meglio soddisfa il loro interesse. Nello sviluppare le opzioni devono prendere in considerazione quelle che permettono di addivenire ad una soluzione mutuamente accettabile.
4. Insistere nell’utilizzo di criteri oggettivi, che si configurano come standard indipendenti dalla volontà dei disputanti. Le parti in lite si dovrebbero impegnare a individuare una soluzione basata sui principi, sul problema e non sui disputanti e sulla coercizione. Dovrebbero cioè essere aperti alla ragione e rigettare un approccio incentrato sulle minacce.
La condizione più favorevole per raggiungere un accordo è che la forza negoziale delle parti si equivalga. Nel caso in cui il potere contrattuale della controparte sia maggiore, la parte che si trova in condizione di svantaggio dovrebbe sviluppare alternative all’accordo negoziale fuori dal tavolo della negoziazione, quelle che Fisher e Ury definiscono come “best alternative to a negotiated agreement” (BATNA). Migliori difatti saranno le loro alternative, più facile sarà andarsene e non accettare accordi iniqui. Per esempio, se una parte negoziasse per un aumento di stipendio, il suo potere negoziale aumenterebbe ove avesse a disposizione un’altra offerta di lavoro.
Oltre, però, a tentare di aumentare la propria forza negoziale, fuori dal tavolo della negoziazione i contendenti dovrebbero tentare di sviluppare autorità di carattere positivo, negativo e normativo. Secondo Donald Trump, una parte acquista autorità positiva quando possiede qualche cosa che la controparte vuole, o di cui ha bisogno o, meglio ancora, di cui non può fare a meno. Una parte possiede autorità negativa, invece, quando può minacciare la controparte di perdite consistenti. La paura di perdite ha un impatto maggiore in ognuno di noi, di quanto non ne abbia la prospettiva di un equivalente guadagno. Infine, una parte sviluppa autorità normativa quando utilizza ed interpreta, a suo favore, disposizioni normative per guadagnare un vantaggio nella negoziazione o per proteggere una posizione. Tale autorità è il risultato del desiderio di apparire equi e ragionevoli. Servendosi di queste tre forme di autorità il negoziatore può far credere di possedere l’autorità di cui la controparte è priva e di trarre maggiori benefici da un impasse, piuttosto che dall’accettare le proposte della controparte.
Le teorie sulla negoziazione non hanno, tuttavia, ancora posto in luce quale approccio applicare ad una precisa situazione. I sostenitori-promotori di ciascuna di esse ritengono che il loro insegnamento sia il migliore. Roger Fisher e William Ury, per esempio, descrivono quello del “principled negotiation” come una strategia efficiente in ogni situazione, sia che coinvolga due o più parti o una o più questioni, sia che i contendenti abbiano o meno esperienza nella negoziazione.
Recentemente, alcuni studiosi hanno sostenuto che la scelta della strategia più appropriata dipende da una pluralità di variabili. Menkel-Meadow, per esempio, ha affermato l’inaccettabilità dell’assunto di applicabilità universale delle strategie di negoziazione, avvallato dalla letteratura tradizionale. Infatti, le strategie di negoziazione non sono reciprocamente esclusive, anzi spesso si ricorre a più di una nel corso di una medesima negoziazione. Con il variare dell’autorità e del potere negoziale, difatti, le parti adotteranno diverse strategie a seconda delle convinzioni del negoziatore e della specifica situazione.
Viviana Clementel