Solo nel 1999, sono state concluse trattative di Mergers & Aquisitions, pari all’incredibile valore di 3300 miliardi di Euro – e questa è solo una minima parte del capitale che è passata per le mani dei negoziatori durante lo stesso anno. Titoli di giornali e notizie sensazionali a parte, è tipico dei dirigenti negoziare a tutto campo con clienti e fornitori, con grandi azionisti e creditori, con potenziali joint venturers e partner assicurativi, con membri della stessa società o di altre nazioni.
La negoziazione, infatti, ha un ruolo ovunque due o più controparti dipendano l’una dall’altra per ottenere dei risultati e soddisfare i loro interessi. Non sorprende perciò che Bob Davis, vice chairman di Terra Lycos, abbia dichiarato che tutte le aziende debbono fare della negoziazione deal making una competenza fondamentale.
Fortunatamente, i dirigenti apprendono i principi base della negoziazione dai libri o dall’esperienza di lavoro; alcuni di loro diventano anche abili negoziatori. Tuttavia, obiettivi importanti e situazioni di stress possono indurre tutti a costosi errori. Alcune abitudini sbagliate si possono insinuare nel metodo usato per negoziare e, ancor peggio, la continua pratica può renderle molto radicate.
Quando rifletto sulle centinaia di trattative cui ho partecipato e che ho studiato negli anni, sono colpito, infatti, da quanto spesso anche negoziatori esperti danneggino le relazioni, lasciando che la controversia raggiunga dimensioni spropositate oppure giungendo ad una soluzione non consona alla massimizzazione dei potenziali profitti.
Esiste una gran varietà di motivazioni che spiega questi risultati: tante quante sono gli individui ed i modelli di transazioni commerciali. Alcuni errori però si verificano più di frequente.
In quest’articolo descriverò tali errori, raffrontando le tecniche di negoziazione efficace con le pratiche inadeguate. Prima di tutto, però, è necessario chiarire la natura dei problemi che l’arte della negoziazione deve aiutare a risolvere.
Risolvere il problema giusto
In ogni negoziazione, ciascuna parte deve in ultima analisi scegliere tra due opzioni: accettare un accordo oppure scegliere il “miglior non accordo” – ossia l’alternativa che, in mancanza di accordo, sarebbe più conveniente perseguire.
Tutti i negoziatori cercano di illustrare i propri interessi e persuadere l’altra parte ad acconsentire ad una proposta che li soddisfi meglio di quanto possa fare il loro “miglior non accordo”. Bisogna chiedersi perchè l’altra parte dovrebbe acconsentire: ci sta perchè l’accordo soddisfa anche i suoi interessi meglio di quanto possa fare il suo “miglior non accordo”. La difficoltà nel condurre una trattativa consiste essenzialmente nel capire la controparte ed influenzarne le decisioni in modo tale che quest’ultima scelga nel proprio interesse la soluzione che noi più desideriamo.
Come ha affermato tempo fa Daniele Vare, un diplomatico italiano, la negoziazione è “l’arte di fare prendere agli altri la nostra strada.” Quest’approccio potrebbe sembrare una tecnica di manipolazione. In realtà esso consiste nel saper comprendere gli interessi della controparte e saper adattare la propria decisione in modo che l’altra parte concordi, perchè vede in essa rispecchiate le proprie istanze. I negoziatori anche più esperti commettono sei errori abbastanza comuni che impediscono di risolvere il problema giusto
Primo errore
Trascurare i problemi della controparte
Non è possibile negoziare efficacemente se non si sono preventivamente individuati con chiarezza i propri interessi e la propria opzione di “non accordo”. E sin qui va bene, ma c’è molto di più. Poichè l’altra parte potrebbe acconsentire solo per ragioni proprie, è necessario capire e riconoscere i problemi della controparte considerandoli come un percorso necessario per risolvere i nostri problemi.
L’importante è comprendere il problema dal punto di vista della controparte. Esaminiamo il caso di una società statunitense che aveva creato un dispositivo utile per rilevare le perdite di gas dei serbatoi sotterranei, non solo meno costoso ma anche cento volte più efficace rispetto alle tecnologie esistenti Questo avveniva in un periodo in cui Environmental Protection Agency stava persuadendo il Congresso ad ordinare che questi serbatoi fossero continuamente testati. I dirigenti della ditta pensarono che il loro tempismo fosse perfetto e incoraggiarono la forza di vendita a commercializzare il dispositivo in tempo per soddisfare la domanda del mercato. Con loro sgomento, i dirigenti registrarono che la prima vendita della società finì per essere l’unica.
Davvero un mistero, poichè il dispositivo di quel nuovo prodotto funzionava bene, il prodotto era meno costoso e le nuove normative in materia di protezione ambientale furono approvate secondo le aspettative. Immaginate i venditori che negoziavano fiduciosi con un cliente per un nuovo ordine: “Questo dispositivo costa meno ed è più efficace di quello della concorrenza.” Pensate per un momento, però, a come i compratori potessero rimuginare sui loro interessi, specialmente dopo avere appurato che i regolamenti EPA permettevano perdite fino a 7.000 litri e che il nuovo dispositivo tecnologico poteva individuarne di tanto piccole quanto una di sole 227 grammi. Il potenziale compratore: “Che tour de force tecnologico! Questo nuovo efficace dispositivo quasi certamente mi creerà inutili, dispendiosi fastidi, oltre che problemi di pubbliche relazioni.” Credo che ne farò a meno, ma la mia concorrenza dovrebbe sicuramente procurarselo.” Secondo la prospettiva della società produttrice, il dispositivo “più veloce, più economico, migliore” avrebbe dovuto fare approdare ad una vendita sicura. Al potenziale compratore, invece, esso apparve come un rompicapo e nessun accordo di acquisto fu raggiunto.
Gli psicologi sociali hanno documentato la difficoltà che la maggior parte delle persone trova nel comprendere la prospettiva altrui. Dal canto loro, i negoziatori esperti concordano nel credere che superare questa tendenza egocentrica sia critico. Dopo una serie di accordi che trasformarono la sua società da una piccola start-up (1993) ad una major-player del valore di mercato di 10,6 miliardi di Euro, Steve Holtzmann della Millenium Pharmaceuticals, affermò: “Noi investiamo molto tempo per considerare come le persone dall’altra parte del tavolo negoziale dovranno riportare ai loro capi il contenuto del nostro accordo. Investiamo molto tempo cercando di comprendere in quale modo lo presenteranno alla loro direzione generale.”
Dal canto suo, Wayne Huizenga – fautore di accordi multimilionari a favore di Waste Management, AutoNation e Blockbuster – ha distillato dalla sua vasta esperienza un consiglio basilare che è spesso ascoltato ma altrettanto spesso dimenticato: “Lungo il corso degli anni in cui ho concluso diverse trattative, poche sono le regole e le lezioni emerse. Una tra le più importanti è provare sempre a mettersi nei panni dell’altra persona. E’ vitale provare a capire in profondità perchè l’altra parte vuole davvero ottenere dall’accordo”.
Tenaci negoziatori talvolta vedono gli interessi dell’altra parte, ma non li considerano: “Questo è il loro problema e il loro punto in questione. Lasciamone a loro la gestione. Noi ci occuperemo dei nostri problemi.” Questo atteggiamento può inficiare la capacità dei negoziatori di influenzare in modo proficuo la maniera in cui la controparte concepisce il proprio problema.
All’inizio della sua carriera di negoziatore presso la Cisco System, Mike Volpi, attuale chief strategy officer, sperimentò molte difficoltà nel portare a termine accordi vantaggiosi, dato che la sua “sicurezza” era spesso scambiata per arroganza. Dopo diverse acquisizioni, un collega ha osservato che “la parte più importante dello sviluppo di Volpi è stato l’aver appreso che il potere negoziale non si genera dicendo agli altri che si è potenti. Egli è passato da una fase in cui conduceva il negoziato secondo la sua prospettiva ad una fase più matura in cui esaminava la materia negoziale con gli occhi della controparte.”
Un collaboratore di Rupert Murdoch ha messo in luce come egli, da compratore, “capisce il venditore – e qualsiasi cosa quest’ultimo stia cercando di fare, egli modella la sua offerta di conseguenza.” Se si vuole cambiare la mente di qualcuno, bisogna prima imparare a capire come la pensa. Successivamente, si può cercare di costruire insieme ciò che Bill Ury chiama “un ponte d’oro”, per unire il gap esistente tra la posizione della controparte ed il nostro ambìto punto di arrivo. Questo metodo è molto più efficace che provare a spingere la posizione della controparte verso la propria. Come un Papa dell’800 osservava a proposito delle straordinarie capacità diplomatiche del Cardinale de Polignac: “Questo giovanotto sembra essere sempre della mia stessa opinione (all’inizio di una negoziazione) e alla fine della conversazione io divento della sua.”. In sintesi, il primo errore è di concentrarsi esclusivamente sul proprio problema. Aiutare a risolvere il problema della controparte significa in realtà risolvere anche il proprio.
Secondo errore
Lasciare che l’interesse economico sovrasti gli altri interessi
I negoziatori che prestano attenzione esclusivamente al fattore prezzo, trasformano potenziali accordi di cooperazione in accordi competitivi. Questi negoziatori – che si possono definire “Re Mida al contrario”- usano delle tattiche aggressive di contrattazione che spesso lasciano sul tavolo potenziali guadagni. Sebbene il fattore prezzo sia importante, l’esperienza insegna che, in molti accordi, esso è raramente l’unico fattore determinante.
Come ha dichiarato Felix Rohatyn, che fu managing partner della banca di investimenti Lazard Frères, “la maggior parte degli accordi è per il 50% emozione e per l’altro 50% finanza.”
Esiste una grande quantità di studi che conferma l’idea di Rohatyn. Considerate il seguente esempio di negoziato che è spesso studiato nei laboratori universitari e che ha a che fare con la spartizione di denaro contante. Ad una parte è affidata una somma di 100 Euro da dividere a proprio piacimento con la controparte; quest’ultima può acconsentire o rifiutare l’accordo. Se acconsente, i 100 Euro si dividono secondo la proposta della prima parte; altrimenti, nessuna ottiene qualcosa. Una pura logica di mercato suggerirebbe di proporre una soluzione in cui 99 Euro vanno distribuiti alla prima e 1 Euro alla seconda. Sebbene sia una posizione estrema, essa è tuttavia una soluzione in cui la controparte ottiene qualcosa piuttosto che niente. I negoziatori che tengono in considerazione il solo fattore prezzo confidano che l’altra parte acconsentirà alla spartizione; dopotutto a loro sono offerti dei soldi gratis – è come trovare un dollaro per strada e metterlo in tasca. Chi non lo raccoglierebbe?
In realtà , però, molte controparti rifiutano le proposte che non lasciano loro partecipare ad almeno il 35% o 40% della posta in gioco – perfino quando sono implicati interessi economici molto consistenti e l’ammontare della perdita è ragguardevole. Un rifiuto di questo tipo appare irrazionale sulla base della pura logica di mercato e virtualmente incomprensibile al tipico “Re Mida al contrario.”
Le ricerche dimostrano che quando una spartizione sembra troppo ineguale alle parti coinvolte, queste la rifiutano perchè ingiusta, si sentono offese dalla partecipazione a questo tipo di processo negoziale e sono tentate di dare una lezione alla controparte “avida.”
Un importante messaggio emerge dai risultati di questa ricerca: le persone tengono a molto più che al solo livello assoluto del loro profitto economico; tra gli interessi da difendere vi sono il diritto ad essere trattate giustamente, una buona immagine, reputazione e così via. Gli esperti negoziatori, riconoscendo che gli interessi economici non sono tutto, focalizzano l’attenzione su quattro importanti elementi che vanno al di là del solo fattore prezzo.
Il rapporto interpersonale: i negoziatori meno esperti spesso sottovalutano l’importanza di sviluppare rapporti di lavoro buoni con le altre parti, mettendone a rischio la durata utilizzando tattiche eccessivamente brutali o per semplice negligenza. Questo è vero sopratutto in accordi transnazionali. In buona parte dell’America Latina, dell’Europa meridionale e del sud-est asiatico, per esempio, la qualità dei rapporti – piuttosto che i contenuti delle transazioni – possono rappresentare l’interesse primario da considerare, nel contesto di accordi di lunga durata. Gli efficientissimi nord – americani, nord-europei e australiani rimangono spesso spiazzati dalla forza di quest’interesse, insistendo in modo prematuro che i negoziatori arrivino subito alla sostanza.
Il contratto sociale: similmente, i negoziatori tendono a focalizzarsi sul contratto economico – divisioni eque, condivisione dei costi, potere aziendale e così via – a spese del contratto sociale, o lo “spirito di un accordo”. Spingendosi ben oltre la ricerca di un buon rapporto di lavoro, il contratto sociale concerne le aspettative delle persone su natura, ampiezza, durata delle transazioni, procedure e modo in cui gli eventi imprevisti saranno gestiti. Negoziare un contratto sociale positivo è un metodo efficace per rafforzare un patto economico, specialmente nelle nuove attività di transazione e nelle alleanze strategiche, in cui la buona volontà e la reciproca fiducia sono estremamente importanti. Consultare rapidamente gli accordi contrattualmente definiti, quando si verificano conflitti – come inevitabilmente accade – può essere segno di un contratto sociale negoziato in modo incorretto.
La procedura: spesso i negoziatori dimenticano che il processo negoziale può essere tanto importante quanto il suo contenuto. Esemplificativo è un episodio tratto dalla vita del giovane Tip O’Neill, che più tardi divenne Speaker of the House. Questi, incontrando per strada un’anziana elettrice del distretto di North Cambridge, in Massachusetts, rimase sorpreso nell’apprendere che ella non stesse pianificando di votarlo. Perciò le chiese: “Non conoscete me e la mia famiglia da sempre?” “Sì.” “Non ho falciato il vostro prato d’estate e spalato i vicoli d’inverno? “Sì.” “Non siete d’accordo sui miei programmi politici e le mie posizioni?” “Sì.” “Ed allora perchè non voterete per me?” “Perchè non me l’ha chiesto.”.
La lezione che O’Neill imparò da questa conversazione è che “la procedura conta”. I migliori risultati sono spesso raggiunti quando tutte le parti percepiscono la procedura come coinvolgente, rispettosa, schietta e onesta.
Gli interessi dei singoli, oltre che del gruppo: negoziatori poco esperti a volte sono come ipnotizzati dagli aspetti economici di un accordo e dimenticano gli interessi dei singoli partecipanti al tavolo negoziale. Quando i consigli d’amministrazione dei giganti farmaceutici Glaxo e SmithKline Beecham annunciarono pubblicamente la loro fusione nel 1998, gli investitori ne furono entusiasti facendo incrementare di 20 miliardi di Euro la capitalizzazione di mercato della potenziale nuova società . Tuttavia, nonostante un primo accordo su chi avrebbe occupato le posizioni di alta direzione nella società di nuova fusione fosse stato raggiunto, riemersero disaccordi interni su chi doveva ricoprire incarichi di controllo amministrativo e di gestione operativa. Di conseguenza l’accordo annunciato fallì e svanirono i 20 miliardi d’incremento sulla capitalizzazione di mercato. (La preponderante logica strategica delle due società fece successivamente trovare un nuovo accordo di fusione, ma con due anni di ritardo!)
Quest’episodio conferma la validità di due regole correlate. La prima: benchè i generali benefici economici siano necessari, essi risultano spesso insufficienti. La seconda: bisogna tenere in considerazione tutti i partecipanti al tavolo negoziale senza perdere di vista i loro interessi o la loro capacità di influenzare un accordo. Ciò che è razionale per il contesto generale, potrebbe non esserlo per una parte.
Può essere estremamente difficile rimediare al tocco del “Re Mida al contrario.” Se si considera una negoziazione potenzialmente cooperativa come un accordo puramente economico essa probabilmente lo diventerà . Immaginatevi un uomo d’affari che si prefigura un’approccio negoziale di tipo competitivo. Se dà avvio alla trattativa, prendendo le dovute precauzioni, l’altra parte è probabile che faccia lo stesso. “Aha!” dice l’uomo d’affari. “Lo sapevo che questo sarebbe stato un difficile accordo centrato sul fattore prezzo.” I suoi sospetti sono confermati.
Un negoziatore spesso è in grado di determinare se il fattore prezzo sarà dominante oppure tenuto nella giusta prospettiva rispetto agli altri elementi della trattativa. Considerate i negoziati tra due società che desiderano creare una joint venture. A parte altre considerazioni, ciascuna si sforza di assegnare un valore alla propria partecipazione per determinare le quote di proprietà . Un negoziatore può condurre questo processo su due binari diversi. Un approccio focalizzato solo sul prezzo conduce subito a discutere gli aspetti finanziari e finisce per ostacolare il raggiungimento di un accordo. In alternativa, le due parti potrebbero prima sviluppare una visione comune della joint venture (configurandone gli obiettivi finali), cercare di capire le rispettive preoccupazioni (incluso il prezzo) e confezionare mutue concessioni per fare fronte a tutte le esigenze suddette. In quest’ultimo approccio, il prezzo diventa parte di un più grande pacchetto, invece che l’obiettivo principale.
Alcune trattative sono veramente accordi di tipo economico, basati sul puro prezzo, ma spesso c’è molto di più su cui contrattare. I negoziatori saggi mettono le istanze vitali di prezzo in prospettiva e non ne fanno una camicia di forza dei più importanti interessi in palio. Prendono in considerazione gli aspetti soggettivi e quelli oggettivi; la procedura e le relazioni; il contratto sociale, o lo spirito di un accordo, così come la sua lettera; gli interessi dei singoli e quelli del gruppo.
Articolo tradotto ed adattato da J. K. Sebenius, “Six-habits of merely effective negotiators”.