Intervento di Ernesto Lupo sulla mediazioneIntervento di Ernesto Lupo – Primo Presidente della Corte di Cassazione – al convegno Il giusto rapporto tra giurisdizione e mediazione: prima e dopo la Direttiva europea nell’ambito . Corte d’Appello di Milano, 6 Giugno 2012. Progetto “Judges in ADR” implementato da un consorzio internazionale diretto da ADR Center nell’ambito del Programma Specifico Giustizia Civile 2007 – 2013 finanziato dalla Commissione Europea.
Prima di introdurre il tema delle garanzie, degli incentivi e delle sanzioni che caratterizzano il modello italiano di mediazione, vorrei ringraziare la Commissione europea per il sostegno a queste importanti occasioni di informazione e dibattito sulla mediazione, che si svolgono in varie citta dell’Unione. Come sapete, il tema in Italia è poi attualissimo.
L’istituto della mediazione, in Italia, è stato introdotto dal D.lgs. n. 28 del 2010 per dare attuazione alla Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 2008, e per secondare precedenti raccomandazioni in proposito degli organismi comunitari.
È convinzione comune che la mediazione abbia solo e soprattutto una funzione deflattiva del contenzioso civile. In realtà, già nella Direttiva si chiarisce come l’istituto affondi le proprie radici nel movimento del “Access to Justice”, che ha invece un più profondo e nobile fondamento. Esso, infatti, muove dall’idea che alla giustizia statale vada riservato il ruolo di estremo rimedio per la soluzione del conflitto; rimedio a cui il cittadino, anche a causa dei costi del processo, ma non solamente per questo, deve potere avere accesso solo quando ogni altro mezzo meno conflittuale sia stato tentato.
Il più ridotto spazio che si vuole assegnare alla tutela giurisdizionale – è fondamentale chiarire questo punto – non nasce solo da esigenze di contenimento dei costi. È infatti evidente che la soluzione giudiziaria pone termine alla lite, ma non riesce sempre a pacificare gli animi. Per di più, la sentenza offre spesso una soluzione che non soddisfa neppure la parte vincitrice, soprattutto quando il binario obbligato del “thema decidendum” non consente soluzioni articolate e anche creative che aprano la strada al soddisfacimento durevole degli effettivi interessi in gioco.
In questa prospettiva, del resto, va letto il sesto “considerando” della Direttiva europea: “La mediazione – si legge – può fornire una soluzione extragiudiziale conveniente e rapida della controversia … attraverso procedure concepite in base alle esigenze delle parti. Gli accordi risultanti dalla mediazione – si legge inoltre – hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti.”
In Italia il tentativo di conciliazione è previsto dal legislatore come obbligatorio in diverse materie. La scelta è dovuta alla necessità di forzare un cambiamento culturale che altrimenti sarebbe sicuramente mancato. Ma proprio per l’obbligatorietà l’istituto è oggetto di forti critiche da parte di alcune componenti della avvocatura. Queste critiche non debbono essere né ignorate né condurre a cestinare un istituto prima che questo abbia potuto essere sufficientemente sperimentato.
Occorre piuttosto un confronto per perfezionare l’istituto e quindi favorire quel cambiamento di paradigma che esso comporta, e al quale i giuristi — parlo anche dei magistrati, non solo degli avvocati — non sono ancora pronti anche a causa dei limiti che caratterizzano la formazione nelle nostre Facoltà di giurisprudenza.
Personalmente, guardo alla mediazione con grande speranza perché, dal posto che occupo, vedo ogni giorno le enormi difficoltà provocate dall’abnorme domanda di giustizia, che finisce per soffocare l’apparato giudiziario, oggi incapace di assicurare un servizio adeguato alle esigenze di una società civile come la nostra.
Speranza, la mia, che è alimentata proprio dai rilevamenti statistici del Ministero della Giustizia. È infatti vero che la percentuale delle mancate partecipazioni agli inviti a mediare è ancora elevata, ma un tasso di successo superiore al 50%, quando le parti accettano di sedersi al tavolo assieme al mediatore, è un risultato di estrema rilevanza, specie se si considera che alcuni dei protagonisti principali di questa riforma, ossia gli avvocati, la osteggiano apertamente.
L’importanza di questo rilievo balza subito evidente se solo si considera che ogni singola mediazione di successo riduce il carico del contenzioso giudiziario, e che anche una percentuale minima di successo genera un effetto deflattivo importante. Ce lo ricordava Arlene McCarthy, nel suo intervento.
E sempre la parlamentare europea ci riferiva della recente interpretazione secondo la quale la Direttiva sulla mediazione esigerebbe dagli Stati membri non solo l’attuazione formale del dettato normativo comunitario, ma anche quella di meccanismi che realizzino, in concreto, un equilibrio tra le modalità contenziose, e quelle non contenziose, di soluzione dei conflitti. In assenza di tali meccanismi, e soprattutto di risultati tangibili sul fronte della mediazione, la Direttiva andrebbe considerata come non attuata correttamente.
Non c’è che dire, un’interpretazione innovativa della Direttiva, ma che mi pare convincente perché in linea con le sue ragioni e il suo scopo. Del resto — e mi sia permesso citare brevi passaggi della relazione per l’inaugurazione del corrente anno giudiziario — ho espresso il convincimento che “la giurisdizione è una risorsa limitata, delicata, costosa e preziosa”, e criticato “la persistente resistenza culturale alla diversificazione delle tutele, nell’illusione di affidare ogni violazione di diritto, di qualsiasi natura e livello, alla giurisdizione”. Scrivendo queste parole presupponevo un contributo significativo della mediazione, anche in termini numerici, alla gestione della conflittualità civile e commerciale in Italia.
In conclusione su questo aspetto, che sappiamo tutti essere quello centrale, se gli incentivi alla mediazione, tra cui la previsione – in talune ipotesi – dell’obbligatorietà del tentativo, e le relative sanzioni, sono una componente essenziale di un modello di mediazione capace di produrre risultati apprezzabili, il sistema delle garanzie, dei controlli e della vigilanza sugli organismi di mediazione è altrettanto imprescindibile. Vi è allora, in Italia, un’esigenza di garanzia di eccellenza della mediazione. Questa garanzia – che non può essere solo garanzia del livello professionale dei mediatori, ma deve anche investire il livello degli organismi – deve essere assicurata dal Ministero della giustizia. Io sono certo che oggi il tema verrà adeguatamente approfondito.
Ma vi è anche l’esigenza di incentivi che valgano a bilanciare i costi del ricorso alla mediazione. Incentivi certi, e all’altezza dei vantaggi sociali che sarebbero assicurati dalla più ampia diffusione dell’istituto. In realtà, il legislatore sembra avere fatto affidamento più sulle sanzioni che sugli incentivi. Soprattutto sulle sanzioni economiche, quale l’aggravamento dei costi dell’iscrizione a ruolo della causa. Questo è un punto che merita di essere approfondito, anche per allontanare l’erronea visione che, con la mediazione, si sia sostanzialmente voluto fare cassa.
Di tutto questo si accingono a parlare autorevoli relatori, cui non voglio sottrarre altro tempo; tuttavia, qualche considerazione introduttiva di sostanza, dal mio personale di vista, mi sembrava doverosa. Esprimendo a tutti gli organizzatori i miei complimenti per la presente iniziativa vorrei rinnovare il saluto cordiale a tutti, e in particolare ai numerosi partecipanti stranieri, relatori e non, la cui presenza arricchisce grandemente questo incontro. A tutti grazie dell’attenzione e l’augurio di una proficua prosecuzione dei lavori.
Ernesto Lupo