L’intelligenza artificiale può essere utile nello svolgimento di molti compiti, ma rischia anche di incidere surrettiziamente sui paradigmi di pensiero. Sino, forse, ad appiattirli?
La complessità come lente con cui osservare il mondo. E noi stessi.
Certi tipi di pensiero si sviluppano solo in certi ambienti, così come certe forme di vita si sviluppano solo in presenza di una certa atmosfera. Tendiamo a dimenticare che respiriamo una miscela di gas composta in gran parte di ossigeno e azoto: una miscela indispensabile per vivere.
E i nostri pensieri in che atmosfera vivono?
Ammettiamolo: proprio come non pensiamo all’aria che respiriamo, spesso non pensiamo nemmeno all’ambiente in cui crescono (e soprattutto, sono cresciuti) i nostri pensieri. Potrebbe essere un bel problema: non ha molto senso cercare di cambiare i propri pensieri, se non cambiando anche l’ambiente in cui sono immersi.
La complessità sta diventando il mio paradigma di pensiero da qualche anno a questa parte. Ammetto candidamente che fino al 2019 non sapevo nemmeno che esistesse, o meglio, come fanno in moltissimi, fraintendevo il termine confondendo il termine “complesso” con “complicato”.
Oggi mi vengono le bolle a sentire quest’associazione; mi irrito se qualcuno li usa come sinonimi. Sono due atmosfere completamente diverse.
Le premesse sono importanti
Non posso passare “al sodo” del discorso, se prima non ti fisso bene in mente questa differenza e, per farlo, attingo al libro che sto scrivendo:
Qualche esempio:
Non mi sono, ovviamente, inventato nulla; ho solo studiato, partecipato a corsi e parlato con chi ne sa più di me sul tema:
Il positivismo è il tuo paradigma?
Confessa: quando hai scoperto questa parola, ne sei rimasto positivamente colpito: niente più opinioni o false credenze, solo regole (più o meno) scientifiche, problemi misurabili e risolvibili con una tecnica o una tecnologia.
La scienza, però, a bene vedere non è una panacea, non risolve tutto, non basta per affrontare tutto. Ma questo lo puoi capire solo dopo che hai capito come funziona, e soprattutto, come non funziona la tua scienza applicata.
Sul momento, infatti, è una bella sensazione, per uno studente, imparare termini nuovi e “strani” che le persone ”normali “ non conoscono e non capiscono. Ti senti di essere nell’anticamera di un mondo riservato, al quale hanno accesso solo pochi iniziati. Stai per diventare un professionsita, magari del diritto, o forse dell’economia o dell’ingegneria, ma anche, credo, della medicina.
Tutti gli studenti, e non potrebbe essere diversamente, assorbono i paradigmi di pensiero inconsapevolmente sia perché non hanno gli strumenti intellettuali (cognitivi ed emotivi) per agire diversamente, sia perché nessuno li stimola a farlo.
Ti pare che un qualunque professore possa mettere in discussione l’atmosfera che l’ha fatto diventare, per l’appunto, professore?
E poi, questo sentirsi “scienziati di qualcosa” è inebriante: imparare ad usare la testa è una roba mica da tutti; non usi la pancia, come fanno le persone normali. O almeno lo pensi. E così finisci per iniziare a misurare, usare e vivere il mondo che ti circonda usando il tuo pezzo di scienza.
Se hai la fortuna o la capacità di riuscire a tenere separato il lavoro e la vita personale, eviterai di fare l’avvocato con tua moglie, con i figli e con gli amici; anche se sono certo che pure tu conosci professionisti che pure in spiaggia o davanti a una birra, sfoggiano in maniera del tutto naturale il loro pensiero professionale.
Solo chi ha occhi speciali, però, se ne può rendere conto, perché diversamente, fa lo stesso (senza saperlo).
Il pesce non sa che esiste l’acqua.
Oltre la scienza; oppure a fianco, vicino.
Anche se, forse, non conosci il verbo “nomotizzare”, sono certo che svolgi l’attività che lo presuppone: fare a fettine sottili la realtà e prendersi solo quelle di tua competenza; il tuo spicchio di paradiso scientifico. Esiste anche l’archetipo e il mito del positivismo (pure se non ce lo sai o se non lo vuoi): sapresti rinunciarci, almeno per un momento?
Non puoi fare a meno di respirare l’aria, c’è poco da fare: il bello è che esiste anche l’aria intellettuale, cognitiva, emotiva, solo che non è la stessa per tutti. Anzi ognuno ha la sua…
Ma è anche la tua gabbia: il tuo paradiso scientifico può sembrare un mare, ma, in realtà, è poco più di uno stagno. Ti senti come Ulisse o Cristoforo Colombo quando navighi nel tuo bel mare di problemi tecnici, ma, a cospetto della complessità, sei in una pozza, anche melmosa.
Quando dentro ci precipita l’ennesima diavoleria tecnologica sviluppata da chi si occupa di altri spicchi di scienza, questa ovviamente rimane “impaludata”: la osservi, la vedi e la pensi, come tutto il resto. E’ come se fosse un volume da sistemare nella tua libreria mentale. Ma la libreria, quella è.
“Si racconta che, quando gli Indiani d’America ebbero di fronte per la prima volta le navi dei conquistatori europei non riuscirono a vederle. E non le videro perché non le avevano mai immaginate. Qualcuno racconta che scorsero solo uno strano muoversidelle onde. Ci misero molto tempo prima di riuscire a vedere quel che fino ad allora era per loro inimmaginabile, e non seppero difendersi dall’irruzione dell’invisibile nel visibile” (mio adattamento da “Lezioni di meraviglia” di M. Gancitano e A. Colamedici)
Se insomma pensi che il tuo modo di pensare (il tuo mindset, il tuo sistema di credenze) non sia rilevante per valutare l’impatto dell’intelligenza artificiale sul tuo modo di lavorare, sui tuoi clienti e sulla tua vita, debbo deluderti: forse stai facendo come gli indiani d’America. Con il solito vecchio paradigma di pensiero riuscirai a vedere e immaginare, solo certi usi, certi vantaggi e certi timori.
Se sei un po’ luddista o tradizionalista, penserai che sia solo una diavoleria che ruberà lavoro o che ci renderà meno o umani o più stupidi.
Se sei un positivista fino al midollo e confidi totalmente ed esclusivamente nella scienza, sarai gasato dalla possibilità di moltiplicare le tue capacità di calcolo di essere umano.
Chi ha detto che la scienza è tutto e che debba seguirsi sempre e solo un approccio scientifico?
Questa domanda, a qualcuno, potrebbe sembrare quasi una bestemmia, vero?
Eh lo so, ho il potere o il talento di dispiacere, irritare o sorprendere gli altri. Venti anni fa mi è successo con la mediazione che nessuno vedeva e tutti avversavano.
Oggi (specie lunedì scorso al seminario sul tema specifico) mi succede con i mediatori ed avvocati, almeno con quelli con un approccio “scientifico” che si stanno interessando dell’A.I.

Beninteso è assolutamente corretto e necessario che lo si faccia, per capire e per conoscere, ma senza innamorarsene.
L’innamoramento è una esperienza bellissima che va poco d’accordo con la ragione: quindi il nostro scienziato del diritto+mediazione+a.i., rischia di fare la fine del ciabattino con le scarpe rotte. Cerca o peggio, pensa, di essere scienziato, ma si comporta da innamorato.
Sarebbe utile e bello destinare l’amore al prossimo; ma talvolta – specie di questi tempi – finiamo per usarlo anche verso gli oggetti o le tecnologie. Tuttavia la tecnologia non aiuta a pensare, è solo uno strumento.
Sai come si pensa?
Hai mai letto libri specifici sull’argomento? Chi si occupa di pensiero? Uno psicologo? Un filosofo? Chiunque? Nessuno?
Il pensiero complessificante è assai diverso da quello semplificante.
La consapevolezza è tutto
Non dico che ti devi sposare la mia epistemologia della complessità: ma impara almeno a riflettere sulla tua. Anche se non c’hai mai pensato, ti posso assicurare che ce l’hai, solo che gli dai un altro nome o non gliene dai alcuno.
L’invisibile non si vede (come le navi degli indiani), ma non per questo non esiste. Il WYSIATI (What You seee Is All There Is) è una roba tanto comune quanto pericolosa: pensare che “quello che vedi è tutto quello che c’è” è solo l’ennesimo bias cognitivo dal quale non puoi difenderti, se non lo consoci.
Quindi prima o mentre studiamo l’intelligenza artificiale, dovremo rivedere criticamente, l’idea stessa di intelligenza, invece di darla per scontata. O di supporre di sapere di cosa si tratta.
Forse imparerai a convivere con il dubbio.
Per qualcuno è impossibile accettare di tenere il piede in due scarpe; ammettere che ciò che fa bene può anche far male. Due dei vizi peggiori di quest’epoca sono l’assolutizzazione e la semplificazione: il pensiero dicotomico, l’acceso e lo spento, il bianco e il nero.
E’ davvero paradossale: più il mondo diventa complesso e più le persone cercano di semplificarlo!!
Oggi stiamo discutendo di A.I. dopo le Torri gemelle, un paio di crisi finanziarie, un’epidemia e una guerra, ma non vogliamo o non sappiamo ammettere di non capire un tubo di futuro. Perché fa spavento: ma se siamo analfabeti emotivi, non possiamo rendercene conto.
Paradosso nel paradosso: qualcuno aveva già previsto tutto, ma era stato solo considerato un artista sui generis; al massimo un bravo intrattenitore o scrittore, ma di certo non equiparabile ad un professore, ad un docente o ad una fonte di sapere professionale.
Eccola l’aria vecchia, i compartimenti stagni: professori e docenti, manuali tecnici e norme da una parte, fantascienza e arte dall’altra. Tipico di chi non studia la complessità.
L’intelligenza artificiale è stata realizzata perché – al pari dell’uomo bionico o dei replicanti – qualcuno l’ha immaginata a partire da oltre 50 anni fa, ma solo oggi li prendiamo sul serio. Perché siamo tutti San Tommaso.
E costruire una casa mentre il terreno su cui vorresti scavare le fondamenta si muove, è davvero un gran casino, che fa rima con caos, che fa rima con sistemi e che sta assai vicino a complessità…