Il Giappone – insieme alla Cina e ad altri paesi dell’Asia orientale influenzati dal Confucianesimo – è una cultura ove la conciliazione viene tradizionalmente considerata la procedura preferenziale per la risoluzione delle controversie.
Tale procedura ha tuttavia subito diverse evoluzioni nel corso della storia giapponese. La forma di conciliazione tradizionale detta “Nasai” – risalente al settimo, ottavo secolo – è stata prima sostituita dalla “Kankai”, intorno alla fine dell’ottocento, ed attualmente dalla procedura detta “Chotei”. Quest’ultima ha svolto un ruolo determinante nell’adattamento del sistema conciliativo giapponese ai principi legislativi occidentali, processo senza il quale il Giappone non sarebbe potuto entrare nella lista dei paesi “civilizzati”.
Rimane comunque intatto il divario tra i metodi adottati in occidente e quelli adottati in oriente per risolvere le liti. La cultura occidentale, infatti, per salvaguardare la legge ed i diritti, preferisce di norma utilizzare metodi avversariali fondati sul successo individuale, piuttosto che sull’appagamento collettivo.
La volontà di avvicinare queste due culture e limitarne il contrasto si è presentato soprattutto negli ultimi anni con l’emergere del mercato globale. Difatti, l’arbitrato, una delle procedure di risoluzione delle controversie maggiormente utilizzata nel contesto internazionale, è scarsamente praticato in Giappone. L’arbitrato, in altre parole, non è riuscito a colmare il “gap” culturale tra la cultura conciliativa tipica dell’oriente (paesi asiatici, arabi ed islamici) e la cultura avversariale caratteristica dell’occidente (Europa e Stati Uniti). Per assicurare imparzialità nelle procedure, ed uniformità nell’applicazione del diritto sostanziale, l’arbitrato si è paradossalmente trovato ad essere più vicino al processo civile – considerato inflessibile, lungo e costoso – che alla conciliazione.
D’altro canto, anche l’utilizzo della semplice conciliazione nella risoluzione di controversie commerciali di carattere transnazionale si è rivelato inadeguato. Nonostante la normativa internazionale – come le leggi modello promosse dall’UNCITRAL, l’UNIDROIT e l’EBRD – abbiano cercato di uniformare i criteri e le regole conciliative adottate dai diversi paesi, la pratica della conciliazione, nel contesto internazionale, ha fomentato pregiudizi ed ingiustizie, data la difficoltà di condurre dialoghi con persone e controparti di diverse nazioni, con diversi valori e diversi stili di comunicazione.
Per fare fronte a questi problemi, in Giappone si è di recente diffusa una procedura bi-fasica di conciliazione-arbitrato (meglio nota come “Med-Arb”, abbreviazione del termine “Mediation-Arbitration”), ove qualora fallisca la conciliazione, lo stesso neutrale risolve la controversia in maniera definitiva e vincolante tramite arbitrato. Questo nuovo metodo si sta diffondendo anche al di fuori dell’Asia, soprattutto negli Stati Uniti, a dimostrazione del fatto che il confronto interculturale può stimolare il sorgere e lo sviluppo di nuove forme di risoluzione delle controversie.
(Paola Bernardini, Elena Ciancio)