Scarica in formato pdf – Riforma ADR-Contributo Confindustria
Premessa
L’interesse di Confindustria nei confronti degli strumenti di giustizia alternativa (cd. ADR) nasce dall’esigenza delle imprese di gestire il contenzioso aziendale in maniera efficiente.
Nello svolgimento dell’attività imprenditoriale, infatti, il conflitto costituisce un evento quasi fisiologico, che l’impresa dovrebbe poter affrontare con ragionevoli aspettative di celerità e prevedibilità. Si pensi, ad esempio, alle controversie con il personale, con i fornitori, con i clienti, con le banche.
Tuttavia, l’eccessiva propensione al giudizio e le inefficienze del sistema giudiziario hanno reso il contenzioso, in Italia, un fenomeno persistente e costoso, che ha imposto alle imprese una riflessione sul loro approccio alla conflittualità e sulle relative tecniche di gestione.
Nonostante gli ultimi dati1 sulla performance dei tribunali civili evidenzino un lieve miglioramento delle tempistiche processuali (pari al 5% in meno all’anno negli ultimi 5 anni) e una buona efficienza nello smaltimento delle pendenze in primo grado, il rendimento complessivo degli uffici giudiziari continua a essere ancora molto lontano dai benchmark internazionali. Infatti, la durata media del giudizio in primo grado si attesta intorno ai 2 anni e 4 mesi (844 giorni), in appello intorno ai 2 anni e 11 mesi (1061 giorni) e in Cassazione intorno ai 3 anni e 4 mesi (1222 giorni), per un totale di circa 9 anni nei tre gradi di giudizio.
In questo contesto, gli strumenti ADR assumono notevole rilevanza, in quanto offrono una modalità veloce ed economica di risoluzione delle controversie. Essi, infatti, consentono di risolvere una lite in tempi brevi e a costi contenuti e, a differenza del giudizio, mirano alla soddisfazione reciproca delle parti, agevolando il mantenimento della relazione esistente.
Si tratta di profili di estremo rilievo per gli operatori economici, che sono naturalmente interessati a ridurre le voci di spesa e a preservare la reputazione e le relazioni commerciali.
Su un piano più generale, poi, gli strumenti ADR hanno una forte valenza deflattiva del contenzioso, che favorisce la diminuzione delle pendenze davanti ai tribunali e, di conseguenza, “lo svolgimento ordinato, efficiente e temporalmente contenuto, delle funzioni giudiziarie”. Il ricorso agli ADR, quindi, rappresenta un’accortezza – di imprese e cittadini – nei confronti del servizio giustizia, volta a favorirne il buon funzionamento.
Negli ultimi anni, l’attenzione del Legislatore nazionale ed europeo nei confronti dei meccanismi di composizione stragiudiziale delle controversie é stata alta. Sul piano interno, infatti, questi meccanismi sono parte rilevante della strategia messa in atto per risolvere i malfunzionamenti del sistema giudiziario civile. Sul fronte UE, invece, si è puntato sugli ADR per migliorare il funzionamento del mercato interno, agevolando la tutela dei diritti dei consumatori e rafforzandone la fiducia.
Ciò si è tradotto in una serie di interventi legislativi volti a incentivare l’utilizzo degli strumenti di giustizia alternativa e a introdurne nuovi. Il riferimento è, in particolare, al D.Lgs n. 5/2003 sull’arbitrato societario, al D.Lgs n. 40/2006 sulla riforma dell’arbitrato, al D.Lgs n. 28/2010 e al DL n. 69/2013 sulla mediazione civile e commerciale, al DL n. 132/2014 sulla negoziazione assistita e sull’arbitrato gestito dagli avvocati, al DL n. 83/2015, sugli incentivi fiscali alla degiurisdizionalizzazione, al D.Lgs n. 130/2015 sulla risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo che, tra l’altro, dà un riconoscimento normativo all’istituto della conciliazione paritetica e, da ultimo al Disegno di legge di riforma del processo civile (AS 2284), che delega il Governo a potenziare l’istituto dell’arbitrato. A tali provvedimenti, poi, occorre aggiungere quelli istitutivi di meccanismi ADR speciali, operativi nelle materie di competenza delle Autorità amministrative indipendenti (ad esempio, l’Arbitro bancario e finanziario, la Camera di conciliazione e arbitrato presso la CONSOB, il Servizio conciliazione clienti energia, la conciliazione delle controversie tra utenti e operatori di comunicazione).
Il sistema italiano degli strumenti ADR risulta assai variegato e un’opera di razionalizzazione del quadro normativo di riferimento appare senz’altro opportuna, soprattutto nell’ottica di diffonderne l’utilizzo.
Per questo, Confindustria ha accolto con favore l’intenzione del Ministro della Giustizia di istituire una Commissione per la riforma organica dei meccanismi stragiudiziali di risoluzione delle controversie, nonché l’invito di quest’ultima a condividere alcune riflessioni sul tema. Di seguito, alcune considerazioni sulle prospettive di riforma degli strumenti di degiurisdizionalizzazione.
1. La mediazione civile e commerciale
Confindustria ha condiviso sin da subito la scelta del Legislatore di puntare sulla mediazione per deflazionare il contenzioso civile, sostenendo con decisione tutte le iniziative volte a rafforzarne le potenzialità. La mediazione, infatti, è uno strumento trasversale, idoneo a risolvere qualunque lite che abbia ad oggetto diritti disponibili, comprese quelle relative ai rapporti di diritto privato tra Pubblica Amministrazione (PA) e privati. La procedura è informale, rapida ed economica e può concludersi con un accordo dal contenuto più ampio rispetto a quello indicato nella domanda, che peraltro può acquistare efficacia esecutiva.
Uno dei punti più qualificanti l’attuale disciplina dell’istituto è rappresentato dal principio dell’obbligatorietà. Il fatto che la mediazione sia per alcune controversie un passaggio preliminare obbligato rispetto al giudizio costituisce, al momento, l’unico strumento valido per ridurre il flusso dei giudizi in entrata e valorizzare questo importante veicolo stragiudiziale (2). Inoltre, il principio non incide sulla natura volontaria della procedura – le parti rimangono libere di accettare ovvero rifiutare le soluzioni prospettate dalla controparte o, se richiesto, dal mediatore – e non preclude l’azione giudiziaria.
In particolare, l’obbligatorietà è funzionale alla diffusione della mediazione (3), poiché offre una importante opportunità di sperimentazione. Nel lungo periodo, l’obbligatorietà dovrebbe consentire di superare le resistenze culturali nei confronti della mediazione e realizzare una vera e propria cultura ADR (4), perdendo, ma solo allora, la sua stessa ragion d’essere. Le evidenze quantitative dimostrano però che i tempi per questo passaggio non sono ancora maturi. L’ultima rilevazione della Direzione Generale di Statistica del Ministero della Giustizia (5) dimostra che di tutte le domande di mediazione rilevate nel 2015, l’81,6% è costituito da casi di mediazione obbligatoria e solo l’8,3% da quelli di mediazione volontaria. Lo scarso sviluppo di quest’ultima dimostra come sia necessario continuare a stimolare e innestare cultura ADR, investendo sul fattore che a oggi ha contribuito maggiormente alla diffusione della mediazione.
È necessario, quindi, che la riforma della mediazione confermi il principio dell’obbligatorietà, prorogando l’operatività della sperimentazione in corso – che verrà a “scadere” nel 2017, per un congruo numero di anni, affinché lo strumento possa continuare a essere efficacemente utilizzato. La conferma dell’attuale assetto dovrebbe continuare a essere accompagnata da un rigoroso monitoraggio sugli effetti della mediazione e andrebbe articolata anche attraverso degli step intermedi. Questi ultimi potrebbero essere l’occasione per valutare l’estensione del perimetro dell’obbligatorietà, includendovi controversie che oggi ne sono escluse, ma che presentano caratteristiche coerenti con la ratio della stessa.
Tra gli ulteriori profili qualificanti che la nuova disciplina dovrebbe mantenere, si segnalano:
– il cd. incontro di programmazione, durante il quale il mediatore chiarisce alle parti e ai rispettivi avvocati la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione e valuta con essi la possibilità di iniziare il procedimento. L’obiettivo di tale incontro è, innanzitutto, evitare la prosecuzione di un procedimento di mediazione destinato inevitabilmente a fallire. Inoltre, la conclusione negativa dello stesso, nelle ipotesi di mediazione obbligatoria, è idonea all’avveramento della condizione di procedibilità della domanda, in linea con alcune delle osservazioni formulate dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 272/2012;
– le sanzioni per la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione e le conseguenze derivanti dal rifiuto della proposta formulata dal mediatore, in quanto volte a incentivare la partecipazione proficua e in buona fede alla procedura;
– i presidi in tema di riservatezza, che tendono a favorire la comunicazione delle informazioni necessarie al mediatore per facilitare il raggiungimento di un accordo;
– l’esecutività del verbale di conciliazione e la possibilità che lo stesso preveda il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o ritardo nell’adempimento degli obblighi stabiliti;
– le agevolazioni fiscali connesse alla procedura di mediazione.
Quanto invece ai profili che la riforma dovrebbe potenziare vi è, in primo luogo, la mediazione su ordine del giudice. Il DL n. 69/2013 ha attribuito natura obbligatoria al tentativo di mediazione sollecitato dal giudice, rendendolo condizione di procedibilità della domanda. Si tratta di una scelta condivisibile, soprattutto in funzione dello smaltimento delle cause pendenti. L’autorevolezza del giudice, infatti, spinge le parti a considerare con maggiore serietà e disponibilità l’ipotesi di risolvere in via stragiudiziale la loro controversia, aumentando le chance di trovare un accordo (6). Purtroppo, però, le potenzialità della mediazione su ordine del giudice non vengono ancora sfruttate adeguatamente. Sul punto, sarebbe opportuno incentivare maggiormente i magistrati a valutare per quali procedimenti iscritti a ruolo sia opportuno avviare un procedimento di mediazione, ad esempio comprendendo tale attività tra gli indici di valutazione della produttività dei giudici.
Ulteriore profilo da considerare nell’ambito della riforma della mediazione è quello della qualificazione degli Organismi. Sul punto, Confindustria ha sempre sostenuto che la qualità e la serietà degli Organismi costituiscono fattori decisivi per il successo (7) dell’istituto. Risulta infatti essenziale che le parti affidino la gestione delle controversie a Organismi che presentino determinati requisiti organizzativi e professionali, tra cui trasparenza sulla scelta dei soggetti chiamati a gestire la procedura; tutela della riservatezza delle parti; possibilità di svolgere le procedure a distanza, attraverso l’utilizzo della telematica.
In questo senso, risulta decisiva l’attività di vigilanza cui è chiamato il Ministero della Giustizia. A tal fine, andrebbe valutata con attenzione la possibilità di introdurre una forma di contribuzione a carico degli Organismi stessi: si doterebbe così il Ministero dei mezzi necessari per attuare in modo efficace le proprie prerogative e si favorirebbe una selezione dei soli Organismi davvero in grado di assicurare di assicurare un servizio di qualità, adeguato alla gestione dei procedimenti di mediazione.
Un altro aspetto sul quale si auspica un intervento chiarificatore riguarda l’obbligo di assistenza legale nel procedimento di mediazione. Il DL n. 69/2013, nel ripristinare il principio dell’obbligatorietà, ha introdotto l’obbligo di assistenza legale nel procedimento di mediazione, al fine di rafforzare le garanzie delle parti e assicurare loro un sostegno tecnico nella procedura, il cui svolgimento è destinato a produrre effetti in un eventuale successivo giudizio.
Sarebbe opportuno precisare che l’obbligo dell’assistenza legale è escluso nelle ipotesi di mediazione volontaria e di mediazione obbligatoria per contratto o statuto. In questi casi, infatti, lo svolgimento della mediazione è svincolato dal giudizio, pertanto, dovrebbe privilegiarsi il carattere di informalità della procedura di mediazione, lasciando le parti libere di farsi assistere o meno dall’avvocato.
Sotto un altro profilo, sarebbe auspicabile incentivare il ricorso alla mediazione per la risoluzione delle controversie in cui sia parte una Pubblica Amministrazione e aventi a oggetto comportamenti o attività di diritto privato (7). Il DL n. 132/2014, in tema di negoziazione assistita e arbitrato “speciale”, ha già introdotto misure specifiche per le controversie in cui sia parte una PA(la presunzione del consenso della PA al trasferimento della controversia in sede arbitrale; l’obbligo della PA di farsi assistere nella procedura di negoziazione assistita dalla propria Avvocatura, ove presente), sarebbe, pertanto opportuno prevedere simili accorgimenti anche in tema di mediazione.
Inoltre, al fine di favorire l’utilizzo della mediazione da parte della PA, si potrebbe agire sui profili di responsabilità dei funzionari che per conto dell’amministrazione gestiscono la procedura. Il rischio di una condanna per danno erariale, infatti, costituisce un forte disincentivo per il funzionario pubblico all’attivazione del procedimento di mediazione e ne scoraggia il ricorso. Sarebbe, quindi, opportuno prevedere meccanismi che consentano di esonerare da forme di responsabilità amministrativa il dipendente pubblico coinvolto nella risoluzione stragiudiziale della controversia (es. parere liberatorio dell’Avvocatura dello Stato, ove presente, ovvero di un avvocato).
Infine, sempre con l’obiettivo di incentivarne l’utilizzo e il buon esito, occorre promuovere lo svolgimento in modalità telematica della procedura di mediazione. La trattazione a distanza, infatti, rende più agevole il procedimento e consente di superare gli ostacoli derivanti dall’impossibilità di prendervi parte fisicamente, salvaguardando il principio della partecipazione personale delle parti. L’attuale disciplina rimette alla discrezionalità dell’Organismo di mediazione la possibilità di attivare o meno mediazioni in via telematica. Tale discrezionalità, unita alla previsione del criterio territoriale per la presentazione della domanda di mediazione, rischia di determinare una disparità di trattamento che, in questo campo, andrebbe evitato. Pertanto, andrebbe riconosciuto alle parti il diritto di richiedere all’Organismo adito, ovvero presso il quale sono state convenute, l’attivazione di una procedura telematica.
2. La negoziazione assistita
Confindustria ha apprezzato la volontà del Legislatore del 2014 di continuare a promuovere il ricorso agli strumenti ADR, mediante l’introduzione della nuova procedura di negoziazione assistita (DL n. 132/2014). L’istituto, infatti, nel fare leva sul rapporto cliente-avvocato, si presenta come un metodo rapido ed efficace di risoluzione delle controversie.
Quanto all’efficacia del nuovo strumento, Confindustria riporta la positiva esperienza maturata dalle imprese del settore energetico, che ne hanno apprezzato l’economicità e la versatilità (è idonea a risolvere le controversie con i clienti finali sia “consumatori” che “non consumatori”), nonché la sua adattabilità a forme di comunicazione a distanza, con il conseguente vantaggio in termini di oneri e snellezza del processo. Pertanto, andrebbe valutata l’opportunità dell’inserimento della negoziazione assistita tra le procedure ADR alternative al Servizio clienti energia, sia con riferimento alle controversie con i clienti finali “consumatori”, sia con quelli “non consumatori”.
I primi riscontri forniti dal Ministro della Giustizia (8) non appaiono risolutivi per valutare l’efficacia concreta del nuovo meccanismo, per cui sarà importante analizzare i risultati della rilevazione statistica avviata dal Consiglio Nazionale Forense (CNF), la Direzione Generale di Statistica del Ministero della Giustizia e il Ministero dell’Interno. Quanto al merito, Confindustria ha condiviso la scelta di estendere anche alla negoziazione assistita il principio dell’obbligatorietà. Come anticipato con riferimento alla mediazione, l’obbligatorietà consente di dare un’adeguata diffusione allo strumento e non incide sulla natura volontaria della procedura e sulla possibilità di agire in giudizio.
Sul punto, è poi apprezzabile la scelta di non sovrapporre, nelle ipotesi di obbligatorietà, la negoziazione assistita alla mediazione civile e commerciale. Una soluzione diversa, infatti, avrebbe alterato il sistema e compromesso la sperimentazione della mediazione obbligatoria. Tuttavia, al fine di ridurre le incertezze in merito all’utilizzo dei due istituti e agevolarne il ricorso, sarebbe opportuno chiarirne il rapporto, ad esempio, mediante un’elencazione più puntuale delle materie per le quali il ricorso all’uno ovvero all’altro sia “obbligatorio”. Al fine di incentivare maggiormente l’utilizzo della negoziazione assistita, sarebbe poi auspicabile un aumento del credito di imposta, mediante un allineamento con quello previsto per la mediazione.
Infine, sempre in ordine alle possibili prospettive di riforma, si sottolinea l’esigenza di confermare l’esclusione della materia del lavoro dall’ambito di applicazione della negoziazione assistita. Infatti, per questa tipologia di cause, caratterizzate dalla delicatezza delle posizioni giuridiche delle parti, che spesso giustifica anche il coinvolgimento delle rispettive rappresentanze sindacali e datoriali, l’ordinamento già prevede diversi strumenti di composizione bonaria, che hanno dato e continuano a dare buona prova di sé e di cui appare necessario preservare tipicità e funzionamento.
3. L’arbitrato
L’arbitrato è una categoria di ADR assai eterogenea. L’istituto, infatti, ha assunto diverse forme (si pensi, ad esempio, all’arbitrato ad hoc e a quello amministrato, all’arbitrato rituale e a quello irrituale, all’arbitrato di diritto e a quello di equità, all’arbitrato nazionale e quello internazionale) ed è oggetto di una pluralità di discipline normative e prassi, che rendono difficile la riconduzione a un modello unitario.
In ogni caso, le peculiarità – ricorrenti – dell’arbitrato si individuano nella libertà delle parti di farvi ricorso e nell’assimilabilità del lodo arbitrale alla sentenza emessa dal giudice. Inoltre, la procedura si caratterizza per la riservatezza delle questioni emerse e la facoltà delle parti di regolarne lo svolgimento e di scegliere i soggetti che la gestiranno.
Si tratta dei profili maggiormente apprezzati dell’arbitrato e su cui è opportuno puntare nell’ambito di una riforma organica dello strumento.
Tra le ulteriori tipicità dell’arbitrato, si annoverano la celerità e l’economicità.
Tuttavia, l’esperienza maturata dalle imprese nei confronti dello strumento si discosta da questi indici.
Molto spesso, infatti, il procedimento arbitrale si presenta complesso e lungo9 e i tempi indicati dalla legge o dalle parti non sono sufficienti a limitarne la durata. Inoltre, ed è questo il profilo più problematico, l’arbitrato risulta molto oneroso: gli arbitri sono retribuiti dalle parti e il relativo onorario – a cui si aggiungono le spese procedurali – è determinato sulla base di apposite tariffe correlate al valore della controversia10.
Ciò fa dell’arbitrato uno strumento “di nicchia”, riservato a un numero limitato di controversie, selezionate in funzione del loro valore e del loro grado di complessità.
Quanto ai costi e, in particolare, ai compensi degli arbitri, un metodo per contenerli è senz’altro rimetterli alla libera determinazione tra le parti: eventuali indicazioni tariffarie dovrebbero avere carattere non vincolante e andrebbero garantite trasparenza e prevedibilità delle condizioni di offerta, imponendo l’obbligo di un preventivo scritto.
_________
1 Osservatorio per il monitoraggio degli effetti sull’economia delle riforme della giustizia: “Misurare la performance dei tribunali nel settore civile”, 26 marzo 2015.
2 Il citato Rapporto “Misurare la performance dei tribunali nel settore civile” ha registrato, dal 2009 al 31 dicembre 2013, una diminuzione del 15% (quasi 8.000 pratiche) dei procedimenti civili, attribuendola principalmente alla minore litigiosità dovuta alla mediazione.
3 L’ottavo Rapporto ISDACI sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia (3 febbraio 2016) rileva che il 99,7% delle domande ADR nel 2014 sia costituito dalle domande di mediazione (67,26%) e dalle domande di conciliazione presso i Corecom (32,46%), sottolineando come tale percentuale sia principalmente ascrivibile all’obbligatorietà che, infatti, è prevista per entrambi gli istituti.
4 Sul punto, si segnala uno Studio del Parlamento europeo (’Rebooting’ the mediation Directive: assessing the limited impact of its implementation and proposing measures to increase the number of mediations in the EU”, gennaio 2014) sull’attuazione della Direttiva in materia di mediazione, che ha dimostrato come solo l’obbligatorietà possa produrre un numero significativo di mediazioni e come essa possa avere effetti positivi anche su quelle volontarie. In Italia, tale Studio ha registrato un incremento delle mediazioni volontarie durante la vigenza della mediazione obbligatoria, una loro diminuzione a seguito della sentenza della Corte Costituzionale (n. 272/2012) e un nuovo aumento – anche di quelle obbligatorie – a seguito del ripristino dell’obbligatorietà da parte del DL n. 69/2013.
5 Direzione Generale di Statistica del Ministero della Giustizia, “Mediazione civile ex D.Lgs 28/2010. Statistiche relative al periodo 1° gennaio 2015 – 31 dicembre 2015”.
6 Presso i tribunali di Firenze e Roma, è stato registrato un tasso di successo delle mediazioni su ordine del giudice di quasi il 60%.
7 Con la Circolare 10 agosto 2012, n. 9, il Dipartimento della Funzione Pubblica aveva precisato l’applicabilità della mediazione civile e commerciale alle controversie tra privati e amministrazioni che agiscono iure privatorum.
8 Il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario forense 2016, ha evidenziato come i dati comunicati dal Consiglio Nazionale su un campione di 3019 accordi attestino una particolare incidenza in materia di separazione, divorzio e modifica delle relative condizioni. Si tratta del 75% di tutti gli accordi di negoziazione conclusi con successo, di cui ben il 62% è relativo a coppie senza figli.
9 Secondo una rilevazione della Camera Arbitrale di Milano, gli arbitrati chiusi nel 2015 hanno avuto una durata media di 14 mesi dal deposito della domanda alla chiusura del procedimento (lodo o transazione). Lo studio è stato effettuato su una media di 131 nuovi casi all’anno. Cfr. www.camera-arbitrale.it/Documenti/arbitratoCAM-statistiche2015.pdf.