Sentenza N. 2719 – Depositata il 23 Luglio 2013
Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana
Commento alla sentenza. In un noto e risalente saggio, intitolato «La transazione degli enti pubblici», Enrico Guicciardi sottolineava come la transazione costituisse «strumento efficacissimo della pace sociale» cui non poteva sottrarsi la pubblica amministrazione[1].
Il saggio di Guicciardi era diretto a dimostrare l’ammissibilità della transazione per la pubblica amministrazione, sia nei rapporti di diritto privato, sia nei rapporti di diritto pubblico, superando i dubbi e le perplessità manifestate al riguardo dalla dottrina dell’epoca.
Molta acqua è passata sotto i ponti ma le considerazioni espresse dall’illustre studioso restano ancora oggi, in larga parte, attuali.
A distanza di quasi settant’anni dal saggio di Guicciardi, un altro autorevole studioso – Guido Greco – rileva come l’incontro tra pubblica amministrazione e transazione sia ancora caratterizzato da «preoccupazioni e sospetti, che hanno persino portato talvolta a dissimulare l’esistenza di vere e proprie transazioni, attraverso l’architettura di una serie di atti, più o meno spontaneamente coordinati»[2].
Nel riprendere gli auspici del Guicciardi, Guido Greco conclude il suo saggio osservando come, nell’età della risarcibilità degli interessi legittimi, la conclusione di accordi transattivi, con il ricorso alle varie figure giuridiche di deflazione del contenzioso, può rappresentare per la pubblica amministrazione «un formidabile strumento di contenimento della spesa pubblica», se utilizzato in maniera trasparente, ragionevole e leale.
Nell’età – che stiamo vivendo oggi – della revisione e della riqualificazione della spesa pubblica[3], in cui sono forti le pressioni nei confronti dei pubblici apparati per ottimizzare l’utilizzo delle risorse in modo da cogliere le sfide gestionali imposte dal nuovo contesto macroeconomico, diviene inevitabile interrogarsi sulle ragioni di tale diffidenza anche al fine di sgomberare il campo da preoccupazioni spesso prive di una solida base argomentativa, frutto più di paure collettive che non di un approccio sensato e ragionato al problema delle “transazioni degli enti pubblici”.
Inutile nascondersi che le maggiori remore all’utilizzazione dell’istituto, soprattutto nei casi in cui la transazione comporta l’esborso di somme di denaro o minori entrate, sono rappresentate dal timore di amministratori e dipendenti pubblici di cadere sotto la scure della Corte dei Conti quale giudice delle responsabilità finanziarie.
Con la paradossale conseguenza che non di rado le amministrazioni preferiscono pagare il doppio sulla base di un giudicato di condanna piuttosto che assumersi la responsabilità di una transazione a metà prezzo. Così come costituisce un dato altrettale di comune esperienza che sovente si preferisce – sfruttando anche i tempi lunghi della giustizia civile – trasferire a generazioni successive di amministratori pubblici il peso di un contenzioso iniziato male per l’ente pubblico piuttosto che affrontarlo razionalmente e provvedere ad una sua tempestiva definizione conciliativa.
La sentenza della Sezione giurisdizionale siciliana n. 2719 del 23 luglio 2013 offre, a tale riguardo, molteplici profili di interesse.
La vicenda, portata all’attenzione dei giudici contabili, origina da una transazione conclusa da un’azienda ospedaliera all’esito di una procedura svolta dinanzi a un organismo di mediazione per porre fine a un caso di “malasanità”.
Il primario si rifiutava di pagare la quota a suo carico dei danni liquidati con l’accordo transattivo a favore degli eredi del paziente defunto; da qui, la sua citazione in giudizio da parte della Procura contabile.
La Sezione territoriale non contesta la legittimità della scelta transattiva dell’ente pubblico, ma, sollecitata dalle eccezioni del convenuto, esamina in profondità la logicità e la ragionevolezza delle scelte compiute da parte dell’azienda ospedaliera per concludere nel senso della loro conformità ai valori fondamentali del buon andamento, di economicità e di efficienza dell’agire amministrativo.
Il passaggio decisivo sotto questo rispetto è laddove il collegio sottolinea la necessità per l’ente pubblico di addivenire a una rapida composizione della controversia «sia per evitare i maggiori costi relativi al contenzioso civile (…), sia per rimediare al notevole danno di immagine subito dall’azienda a causa del clamore mediatico suscitato dalla particolarità della vicenda».
Pertanto, il ricorso da parte dell’amministrazione alle funzioni facilitative approntate da un organismo di mediazione non costituisce per i giudici siciliani «frutto di scriteriatezza», ancorché, nel caso di specie, non venisse in rilievo un’ipotesi di cosiddetta “mediazione obbligatoria”[4].
Nella valutazione dei contenuti dell’accordo sulla quantificazione del risarcimento, l’analisi condotta dalla Sezione siciliana non è meno approfondita e puntuale. Essa tiene conto del “diritto vivente” espresso dagli orientamenti della Corte di cassazione in tema di danno tanatologico e di danno morale e finisce con il ritenere «congruo l’importo liquidato a seguito della stipula della transazione», perché non soltanto ragionevole ma anche perché pienamente secundum legem e dunque rispettoso dell’altrettanto basilare valore della legalità.
Dalla sentenza è quindi possibile trarre alcune importanti considerazioni generali sugli accordi transattivi delle pubbliche amministrazioni.
Innanzitutto, deve essere messo in chiaro che non si registra nessuna preclusione pregiudiziale da parte del giudice contabile nei confronti della scelta dell’amministrazione di addivenire a una transazione, anche per il tramite di una procedura di mediazione.[5]
Tuttavia, la delicatezza degli strumenti transattivi e di composizione delle liti, quando una delle parti è una pubblica amministrazione, impone senza dubbio un approccio prudente e razionale: il rischio da evitare è quello di un ingiustificato e irragionevole depauperamento delle pubbliche risorse, un danno che non può essere tollerato non soltanto dal giudice della legalità finanziaria[6] ma anche – e soprattutto – dall’intera collettività.
Il silenzio del legislatore delegato[7] sull’applicazione alla pubblica amministrazione, come parte attrice o convenuta, del procedimento di “mediazione” in materia civile e commerciale, previsto e disciplinato dal decreto legislativo n. 28 del 2010[8], può essere colmato attraverso il ricorso al criterio della ragionevolezza delle scelte, che consente il giusto equilibrio fra esigenze di responsabilizzazione e esigenze di protezione di chi sia impegnato a prendere tali decisioni per conto della parte pubblica.
Poiché la razionalità della scelta transattiva è innanzitutto procedurale, si richiede alla pubblica amministrazione di adottare, nell’accostarsi alla procedura della “mediazione finalizzata alla conciliazione”[9], come in ogni altra transazione, uno schema non dissimile a quello che per i vari enti pubblici disciplina le modalità di formazione e di espressione della volontà amministrativa.
Pare opportuno pertanto che l’agire del rappresentante dell’amministrazione davanti al mediatore[10] sia preceduto da un atto di delega e di indirizzo da parte dell’organo competente sulla materia oggetto della controversia[11] che contenga una valutazione esplicita dei termini del contenzioso, in cui cioè siano chiariti i limiti entro i quali può muoversi il rappresentante per giungere a una soluzione transattiva della controversia ovvero in cui sia motivata la decisione di non intervenire nel procedimento[12]; inoltre, sia la conclusione dell’«accordo amichevole di definizione della controversia» davanti al mediatore, sia l’accoglimento della proposta del mediatore ai sensi dell’art. 11 del citato d.lgs., dovranno del pari essere preceduti da un atto interno di approvazione dei contenuti dell’accordo[13].
Nella definizione delle motivazioni di tali atti, si richiede alla pubblica amministrazione lo sforzo di un giudizio prognostico circa l’esito e la durata del contenzioso[14].
Si è parlato, a tale riguardo, di atti di evidenza pubblica “interna”[15] attraverso i quali il soggetto pubblico dà conto, in maniera compiuta e adeguata, del percorso logico seguito per giungere all’accoglimento della proposta ovvero alla definizione transattiva della controversia in relazione ai rischi del contenzioso in essere o potenziale[16].
Infine, similmente a quanto già accade per le amministrazioni dello Stato[17], è opportuno che sui contenuti della proposta transattiva, che l’ente pubblico sta per concludere davanti al mediatore, esprima il proprio parere l’avvocatura interna dell’ente[18].
Anche per la “mediazione” e, più in generale, per gli strumenti di composizione delle liti a disposizione degli enti pubblici, dunque, come accade per ogni scelta collettiva, il problema è quello di un’etica pubblica razionale[19]: un accordo equo potrà nascere soltanto da un dialogo razionale fra soggetti che si sono impegnati seriamente per trovare un accordo e che, dal lato della parte pubblica, hanno assunto un atteggiamento imparziale. Non devono esserci interferenze di interessi personali, egoismi, ricatti, frodi o inganni[20].
Ci deve essere piuttosto onestà di intenti, trasparenza delle decisioni, capacità di dare conto delle scelte compiute con l’utilizzazione di risorse pubbliche[21] al giudice, che, nel sindacare, in sede di giudizio di responsabilità, i comportamenti di “legalità finanziaria”, è al servizio dell’intera collettività[22].
Filippo Izzo
Magistrato della Corte dei Conti
[1] Enrico Guicciardi, Le transazioni degli enti pubblici, in Arch. dir. pubbl., 1936, pp. 64 e segg. e 205 e segg..
[2] Guido Greco, Contratti e accordi della pubblica amministrazione con funzione transattiva (appunti per un nuovo studio), in Dir. amm., 2005, pp. 223 e segg..
[3] Per un quadro aggiornato dell’esperienza di spending review nel nostro Paese vedi Corte dei conti, Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica, pp. 65 e segg..
[4] Non “obbligatoria” in quanto non prevista come condizione di procedibilità della domanda giudiziale ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, come novellato dal d.l. n. 69/2013 (su tale recente intervento legislativo v. infra nota 7).
[5] L’affermazione ricorrente in termini generali è nel senso che «di norma anche gli enti pubblici possono transigere le controversie delle quali siano parte ex art 1965 c.c.», purché vi sia legittimazione soggettiva e disponibilità dell’oggetto: cfr. i pareri resi da Corte conti, sez. contr. Lombardia, n. 26/2008; Id. n. 1116/2009; sez. contr. Piemonte, n. 20/2012.
Sulla necessità che la transazione riguardi diritti disponibili delle parti vedi anche Consiglio di Stato, sez. VI, 21 giugno 2012, n. 3642, in materia di concessioni o appalti di servizi.
[6] Per un caso recente di illogicità della scelta transattiva vedi Corte conti, sez. giurisd. Trentino Alto Adige, Trento, 30 settembre 2013, n. 41. In questa sentenza, il giudice trentino, pur non mettendo in discussione «l’astratta esperibilità del rimedio transattivo nelle controversie che vedano coinvolti enti pubblici», ha condannato gli amministratori di un Comune, che avevano accettato la proposta transattiva di un dipendente in sede di collegio di conciliazione, pur consapevoli della illegittimità e della non congruità dell’accordo.
[7] Silenzio mantenuto, per vero, anche dal c.d. “decreto del fare” (d.l. n. 69/2013 convertito dalla l. n. 98/2013), che, come è noto, ha ripristinato, con alcune modificazioni, la legittimità costituzionale delle norme del d.lgs. n. 28/2010, espunte dall’ordinamento dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 272/2012, per eccesso di delega.
[8] In argomento è intervenuta anche la circolare n. 9/2012 del 10 agosto 2012 del Dipartimento della funzione pubblica (disponibile all’indirizzo http://www.funzionepubblica.gov.it/media/996732/circolare_9_2012.pdf), che ha dedotto come, in relazione anche alle esclusioni poste dall’articolo 1, comma 2, della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, con riferimento «alla materia doganale e amministrativa (…) alla responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri», possano essere ricomprese nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 28/2010 soltanto le controversie «che implichino la responsabilità della pubblica amministrazione per atti di natura non autoritativa».
[9] Sulla necessità che la scelta dell’organismo di mediazione da parte dell’amministrazione pubblica sia ispirata a esigenze di economicità vedi circ. n. 9/2012, cit., sub § 6.
[10] Resta da chiarire, a tale riguardo, quale impatto potrà avere sulla rappresentanza dell’amministrazione davanti al mediatore l’assistenza obbligatoria dell’avvocato introdotta dal d.l. n. 69/2013 (che ha così modificato l’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010). Con riferimento alla disciplina previgente, la circolare n. 9/2012 prevedeva la possibilità di delega da parte del dirigente competente a funzionari dell’area amministrativa.
[11] Tale organo, per le amministrazioni dello Stato, è identificato, ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. f), del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nel dirigente dell’ufficio dirigenziale generale, salvo delega ai dirigenti sottordinati ai sensi del successivo art. 17, comma 1, lett. c).
[12] Ciò anche al fine di consentire una motivata risposta all’invito del mediatore di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 28 del 2010. Sul punto vedi le considerazioni espresse dalla circolare n. 9/2012, cit., sub § 5., lett. a), anche in relazione al “giustificato motivo” della mancata partecipazione ai sensi del comma 4-bis del medesimo art. 8.
[13] Come ha chiarito la sez. contr.Lombardia, nel citato parere n. 26/2008, «la scelta se proseguire un giudizio o addivenire ad una transazione e la concreta delimitazione dell’oggetto della stessa spetta all’Amministrazione nell’ambito dello svolgimento dell’ordinaria attività amministrativa e come tutte le scelte discrezionali è sottratta al sindacato giurisdizionale, anche di responsabilità», se non nei limiti della rispondenza delle stesse a criteri di razionalità, congruità e prudente apprezzamento ai quali deve sempre ispirarsi l’azione amministrativa (in termini non dissimili anche la sez. contr. Piemonte, nel parere n. 20/2012, cit.).
[14] Citando ancora la sez. contr. Lombardia, parere ult. cit., «Uno degli elementi che l’ente deve considerare è sicuramente la convenienza economica della transazione in relazione all’incertezza del giudizio», da intendersi quest’ultima non in senso assoluto ma relativo nel senso che «deve essere valutata in relazione alla natura delle pretese, alla chiarezza della situazione normativa e alla presenza di eventuali orientamenti giurisprudenziali» (in termini non dissimili anche la sez. contr. Piemonte, nel parere n. 20/2012, cit.).
[15] Il riferimento è ancora una volta a Guido Greco, Contratti e accordi, op. cit..
[16] Le modalità di svolgimento del procedimento di mediazione, che in ogni caso trovano sintesi scritta nella stesura di un “processo verbale” (art. 11 del d.lgs. n.28/2010), escludono il pericolo che la transazione raggiunta in tale sede dall’ente pubblico sia colpita da nullità per mancanza della necessaria forma scritta. Per la necessità della forma scritta ad substantiam nel caso in cui una pubblica amministrazione sia parte di una transazione e per l’irrilevanza, a tal fine, ove si tratti di un Comune, dell’esistenza di una deliberazione di consiglio o di giunta, la quale costituisce mero atto interno con funzione autorizzatoria volta a consentire all’organo rappresentativo di impegnare contrattualmente l’ente nei limiti fissati dalla stessa delibera, vedi Cass. 6 giugno 2002, n. 8192, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, p. 185 e segg. (con nota di Passalalpi).
[17] Vedi infatti l’art. 13 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, che approva il testo unico sull’Avvocatura dello Stato. Questa norma attribuisce all’Avvocatura erariale il compito, tra gli altri, di predisporre transazioni d’accordo con le amministrazioni interessate e di esprimere pareri sugli atti di transazione redatti dalle amministrazioni stesse. Il successivo articolo 21, terzo comma, consente addirittura la possibilità di transazione dopo sentenza favorevole all’Amministrazione.
Inoltre, l’art. 14 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 (legge di contabilità generale dello Stato), prevede il parere del Consiglio di Stato «prima di approvare gli atti di transazione diretti a prevenire od a troncare contestazioni giudiziarie qualunque sia l’oggetto della controversia, quando ciò che l’amministrazione dà o abbandona sia determinato o determinabile in somma eccedente le lire 20.000.000».
Tale parere del Consiglio di Stato non è però più obbligatorio ai sensi dell’art. 17, comma 26, della legge 15 maggio 1997, n. 127, anche se, come osserva Guido Greco, op. ult. cit., e come emerge dalla prassi, «risulta comunque richiesto nelle transazioni di maggior rilevanza economica» in via facoltativa.
[18] Oppure, in mancanza di avvocatura interna, il funzionario più elevato in grado competente per il contenzioso, in analogia a quanto già prevede il comma 2 dell’articolo 239 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), con riferimento alle transazioni di valore superiore ai 100.000 euro concluse da tutte le amministrazioni pubbliche (statali e non) nello specifico settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
Sul punto, la richiamata circolare n. 9/2012 limita l’opportunità di una «motivata richiesta di parere all’Avvocatura dello Stato» ai casi in cui: i) «il tentativo di transazione riguardi controversie di particolare rilievo, dal punto di vista della materia che ne costituisce l’oggetto o degli effetti in termini finanziari che ne potrebbero conseguire», anche per gli aspetti di serialità del contenzioso potenziale; ii) l’amministrazione sia addivenuta «ad una motivata valutazione della controversia in senso favorevole all’accordo».
Ma vedi anche Corte conti, sez. contr. Lombardia, parere n. 26/2008, cit., che, con riferimento agli enti locali, evidenzia l’opportunità, ove l’ente sia dotato di una propria avvocatura, «che la stessa fosse investita della questione in analogia e negli stessi termini previsti dal citato art. 14 della legge di contabilità di Stato».
[19] Ogni discorso sull’accordo razionale, in una prospettiva di etica pubblica, non può che passare attraverso il richiamo al classico John Rawls, A theory of Justice, Cambridge, Harvard University Press, 1971, trad. it. Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, 1982.
[20] Sulle connessioni tra gli episodi di “cattiva amministrazione” e le situazioni di conflitto di interessi vedi il Piano nazionale anticorruzione, predisposto dal Dipartimento della funzione pubblica, approvato dall’Autorità nazionale anticorruzione con la delibera n. 72/2013, spec. pp. 39 e segg. (disponibile al seguente indirizzo http://www.funzionepubblica.gov.it/comunicazione/
notizie/2013/settembre/11092013—approvato-dalla-civit-il-pna.aspx).
[21] Che, come ha ricordato il recente decreto n. 14 dell’8 novembre 2013 della Corte conti, III sez. centr. app., «sono – benché ovvio pare opportuno ricordarlo – risorse della collettività».
[22] Sotto questo rispetto, ancora attuali le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza 27 gennaio 1995, n. 29, sul ruolo della Corte dei conti sia pure nell’esercizio delle sue attribuzioni di controllo: «Come organo previsto dalla Costituzione in posizione d’indipendenza e di “neutralità” (…), la Corte dei conti è stata istituita come organo di controllo vòlto a garantire il rispetto della legittimità da parte degli atti amministrativi e della corretta gestione finanziaria. Con lo sviluppo del decentramento e l’istituzione delle regioni, (…) interpretandone le funzioni in senso espansivo come organo posto al servizio dello Stato-comunità, e non già soltanto dello Stato-governo, e, per altro verso, esaltandone il ruolo complessivo quale garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e, in particolare, della corretta gestione delle risorse collettive sotto il profilo dell’efficacia, dell’efficienza e della economicità».
* * * * *
Nota redazionale: i riferimenti alle sentenze e alle deliberazioni (pareri) della Corte dei conti citati nelle presenti note sono reperibili nelle banche dati pubbliche disponibili all’indirizzo http://servizionline.corteconti.it/servizionline/
2 commenti
Allora, possiamo prevedere per il futuro un impegno generalizzato di ricorso a tentativi di ADR da parte della Pubblica Amministrazione?
Non sono d’accordo, tale sentenza è sostanzialmente inapplicable: si deve escludere l’Amministrazione Pubblica dalla gestione del conflitto in sede di mediazione in quanto i suoi rappresentanti, proprio, in questa sede NON hanno, DI FATTO, alcun potere discrezionale nell’operare autonomamente e serenamente delle scelte poiché devono sempre rispondere, quando non ottenere specifica autorizzazione, da Uffici a loro più alti in grado, sino alla Corte dei Conti , cioè: occorrerebbe, per coinvolgerla in sede di mediazione, riformarla preventivamente sotto questo aspetto, infatti, questi (i delegati della P..A.) auspicano una sentenza da parte di un Giudice che li manlevi da qualunque responsabità rispetto alle decisioni che loro dovrebbero assumersi in sede di mediazione e che sarebbero sottoposte al vaglio dei loro superiori.