L’entrata in vigore del D. L.vo n. 28/ 2010, con il seguito del D.M. n. 180/2010 (passaggio operativo decisivo verso la ormai prossima scadenza del 20 marzo 2011, anche se è di questi giorni la notizia di reiterate richieste di rinvio), ha disvelato, contrariamente a quanto appare da molte prese di po-sizione pubbliche ed istituzionali, un concreto interesse della classe forense verso la nuova professionalità del mediatore. E’ noto, infatti, l’alto numero di avvocati che hanno partecipato ai corsi di formazione ed è di questi giorni la notizia che le domande di iscrizione ai primi 20 corsi dell’Ente Formatore del Consiglio dell’Ordine di Roma (per un totale di 600 posti disponibili) sono state ben 2600, costringendo la Commissione competente ad una selezione tramite sorteggio. Nel contempo, all’acceso e spesso molto critico dibattito che si è sviluppato sul tema hanno fatto seguito, nei mesi scorsi (complici la discussione al Senato del progetto di Riforma della Professione Forense e l’assise del XXX Congresso Nazionale Forense di Genova), due iniziative, sulle quali è utile soffermare per un momento l’attenzione per meglio comprendere il quadro fattuale complessivo in cui la mediazione andrà ad operare: la proposizione innanzi al TAR del Lazio di un ricorso per l’annullamento del D.M. n. 180/ 2010 ed il deposito di due disegni di legge di modifica del D.L.vo n. 28/ 2010.
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Il ricorso, depositato dall’O.U.A. e da numerosi ordini ed associazioni forensi ed il cui contenuto – grazie anche alle mille platee informatiche – è ormai notorio, quantomeno nei suoi passaggi essenziali, propone molti dei rilievi critici elaborati dopo l’entrata in vigore del d.l.vo n. 28/ 2010, che i promotori auspicavano di veder accolti già nell’ambito del decreto attuativo di cui ora si chiede l’annullamento.
In buona sostanza:
- non sarebbero state approntate sufficienti garanzie di serietà, efficienza e competenza dei soggetti destinati a gestire la nuova proce-dura.
Quanto agli organismi, i parametri della capacità finanziaria e organizzativa, del possesso della polizza assicurativa e della trasparenza contabile ed amministrativa, così come stabiliti dall’art. 4, non garantirebbero una idonea selezione delle domande, consentendo – invece – un troppo facile accesso al registro.
Quanto ai mediatori, la richiesta di un titolo di studio non inferiore ad una qualsiasi laurea triennale e l’oggetto troppo generico dell’aggiornamento biennale non consentirebbero di garantirne la effettiva “competenza”, con il rischio che la tutela dei diritti dell’u-tente possa essere affidata ad un soggetto privo di qualsivoglia for-mazione di tipo giuridico.
2. la mancata individuazione di rigorosi criteri selettivi contrasterebbe con le previsioni dell’art. 60 della legge delega (n. 69/ 2009) e con quelle del d. l.vo n. 28/ 2010, che delineano invece una figura di mediatore necessariamente dotata di una peculiare formazione giuridica e di una esperienza di tipo processuale.
L’impianto complessivo della legge delega e del d.l.vo n. 29/ 2010 ed in particolare l’obbligo di informativa, la condizione di procedibilità, le conseguenze del rifiuto della proposta sul regime delle spese e l’efficacia esecutiva del verbale evidenziano una stret-ta connessione tra mediazione e processo, tale da imporre una fi-gura di mediatore coincidente con la professionalità dell’avvocato: insomma, secondo le organizzazioni ricorrenti, il mediatore non può non essere che un avvocato. Peraltro, gli art. 5 (condizioni di procedibilità) e 16 (in quanto carente di criteri idonei a selezionare gli organismi ed a garantirne la professionalità e l’indipendenza) del d.l.vo n. 28/ 2010 sarebbe-ro incostituzionali per eccesso di delega e perché il sistema su di essi configurato comporterebbe una grave violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost..
3. parimenti illegittime sarebbero la richiesta (art. 4, IV co. del D.M. n. 180) della polizza assicurativa anche per gli organismi istituti dai Consigli dell’Ordine, in quanto requisito innovativo rispetto al d. l.vo n. 28; nonché l’iscrizione di diritto nel registro e, quindi, la so-pravvivenza degli organismi già iscritti ex D.M. n. 222/ 2004, in quanto l’art. 16 del d.l.vo n. 28 ha previsto la definitiva decadenza dell’intera precedente normativa in coincidenza con l’emanazione del decreto ministeriale attuativo sulla media- conciliazione.
4. ed infine la normativa sulle indennità renderebbe l’accesso al pro-cedimento eccessivamente ed ingiustificatamente oneroso, soprattutto a causa della mancata determinazione del minimo del primo scaglione (lasciato alla libera determinazione degli organismi), dei criteri di calcolo e ripartizione dell’indennità tra le parti (responsabili tra loro in solido), delle tariffe per gli organismi costituiti da enti privati e dell’entità minima e massima delle maggiorazioni e delle riduzioni.
A questi rilievi replicheranno – ovviamente – i resistenti e daranno risposta i giudici all’udienza già fissata ai primi di marzo per la discussione del merito
Può essere però interessante notare come persista (cfr. specialmente il punto 2) l’idea che, in relazione allo stretto rapporto che lega il processo con la mediazione, rafforzato dalla scelta legislativa di accentuarne la funzione deflattiva e di smaltimento dell’arretrato in presenza di una crisi particolarmente grave del processo civile, il mediatore debba necessariamente essere un avvocato.
Orbene, questa idea, se, da un lato, confligge con il fatto che la professionalità del mediatore si esprime al massimo livello nella sua capacità di essere un “facilitatore”, che, in quanto tale, non si deve sbilanciare e non si sbilancia in alcuna valutazione di merito ed è soprattutto capace di far emergere e di sciogliere i nodi che impediscono una corretta ed utile comunicazione tra le parti; dall’altro, porta a sottovalutare l’importantissimo ruolo che l’avvoca-to è chiamato a svolgere quale assistente e consulente della parte nell’ambito del procedimento di mediazione e nella prospettiva della eventuale successiva fase processuale.
In altri termini, gli stretti rapporti tra mediazione e processo, più che far propendere verso una figura di mediatore/ avvocato, spingono verso una forte valorizzazione del ruolo e della funzione dell’assistenza tecnica, quale strumento indispensabile sia per raggiungere il risultato (l’accordo) alle mi-gliori condizioni per tutti, sia (nel caso contrario) per la miglior gestione della procedura in funzione del successivo processo.
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I due disegni di legge di modifica del d. l.vo n. 28, a loro volta, pur provenendo da sponde opposte (il n. 2329 è stato comunicato alla Presidenza del Senato il 15.09.2010 dal Sen. Benedetti Valentini della maggioranza; il n. 3897 è stato presentato alla Camera il 24.11.2010 dall’On. Capano + altri del maggior partito di opposizione), “remano” insieme nella direzione non già di semplici aggiustamenti, ma di un sostanziale cambiamento dei caratteri del-l’istituto nel senso auspicato dalle organizzazioni forensi per molti versi con-trario alla volontà ed alle scelte dell’originario legislatore.
Il primo, più articolato e sistematico, propone, infatti, l’abbandono del passaggio in mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria; l’introduzione dell’assistenza tecnica obbligatoria con il ministero del-l’avvocato; l’introduzione di criteri di competenza territoriale per l’indivi-duazione degli organismi di mediazione da adire; l’abolizione della facoltà del mediatore di formulare comunque una proposta anche laddove le parti non lo richiedano congiuntamente; l’esplicita previsione della responsabilità solidale dell’organismo con il singolo mediatore per i danni derivanti dal mancato rispetto degli obblighi; l’abolizione del regime sanzionatorio di cui all’art. 13 ed una serie di “aggiustamenti” volti ad elevare il livello di terzietà, indipendenza ed imparzialità degli organismi e dei mediatori, nonché di riservatezza e autonomia dal processo della procedura di mediazione. L’articolato si chiude con la proposta di rinviare di 12 mesi dall’ap-provazione del disegno di legge l’entrata in vigore dell’intera nuova normativa, il che significa – all’evidenza – esporla al rischio concreto di un parcheggio su un binario morto in attesa di una naturale consunzione.
Il secondo, che consta di un unico articolo, si limita (sia pur con qualche incertezza ed imprecisione) a proporre una disciplina della competenza territoriale, nonché l’eliminazione della condizione di procedibilità, del potere di formulare una proposta ex officio e delle conseguenze processuali della mancata partecipazione e del rifiuto della proposta, l’abolizione dell’art. 15 sulla mediazione nell’azione di classe.
Entrambi i disegni, allo stato, risultano giacere in attesa dell’avvio e della calendarizzazione delle procedure di esame e non sembra che potranno arrivare troppo presto all’ordine del giorno dei lavori parlamentari. Non è escluso, però, che, avendo il Ministero accettato, in occasione della forte presa di posizione dell’Avvocatura al Congresso Nazionale Foren-se, di riaprire un dialogo sul tema, queste proposte possano tornare di attua-lità.
Ma, nella logica dell’interesse del cittadino ad avere un percorso più efficiente e rapido per arrivare ad una soluzione utile delle proprie controversie, appare indispensabile che l’utente abbia la piena consapevolezza, oltre che dei propri diritti (e dei propri doveri) sostanziali, anche del percorso processuale (e dei relativi costi economici, di tempo e di attività) da intraprendere per il raggiungimento dell’obiettivo finale e sia garantito in ogni fa-se della procedura dal rischio di azioni errate o controproducenti.
La prima e più importante necessità è quindi quella di introdurre l’assistenza tecnica obbligatoria: così come dal giudice si deve andare e si va con il ministero dell’avvocato in ossequio al superiore principio del rispetto del diritto alla difesa (art. 24 Cost.), così dovrebbe accadere anche innanzi al mediatore per una più piena, consapevole, sicura, utile e garantita partecipazione al procedimento preliminare alternativo. In questo modo il ruolo e la funzione dell’avvocato verrebbero non già a mortificarsi, ma ad arricchirsi. Come peraltro già molto spesso accade nella concreta realtà quotidiana, il difensore vedrebbe, infatti, valorizzata, accanto a quella professionalità e competenza che oggi si esprime principalmente nel processo (in un conflitto – come si dice in mediazione – win/ loose), quella ulteriore specifica capacità di gestire e soddisfare gli interessi del cliente in sede stragiudiziale (in una prospettiva win/ win).
Insomma: non già riduzione del mercato, ma più ampi spazi di intervento (dal legale si andrebbe non solo per far causa, ma soprattutto ed in primis per cercare e trovare una soluzione rapida, utile e sicura) ed una figura di avvocato definitivamente ridisegnata non solo e principalmente come “processualista”, ma come “professionista del diritto” capace di offrire consulenza ed assistenza nella fase negoziale stragiudiziale, nonchè, nei casi in cui sarà necessario, la irrinunciabile competenza “processualistica”.
1 commento
Non capisco perchè l’OUA e il CNF stanno facendo una battaglia contro i mediatori che sono per la maggiorparte avvocati. Mi sento colpito da fuoco amico. Perchè non si sentono le voci dell’avvocatura a favore della mediazione?