Le tecniche di ADR sono strumenti di risoluzione extragiudiziale delle controversie volte a risolvere la lite attraverso un procedimento che sia volontariamente strutturato, basato su consenso o compromesso, la cui finalità sia il raggiungimento di una soluzione mutuamente accettabile dalle parti. Siffatte procedure garantiscono una soluzione rapida, economica ed efficiente della controversia (argomento quantitativo), laddove l’efficienza viene assicurata da un maggior coinvolgimento dei contendenti nella questione, da una più ampia comunicazione tra gli stessi e conseguentemente da un miglior risultato (argomento qualitativo).
Tali vantaggi possono esser palesati considerando come un differente approccio alla controversia possa condurre ad una diversa soluzione della stessa. Pensiamo al caso, purtroppo abbastanza diffuso, di molestie sessuali rese dal superiore ai danni di un dipendente. In due contesti diversi si è cercato di risolvere la questione con distinti approcci al problema. Nel primo caso si è tentato di chiarire la situazione attraverso una terapia, mentre nel secondo si è proposta una conciliazione tra le parti. Al differente approccio sono conseguite soluzioni contrastanti. Mentre da una parte è stato scarso il risultato del processo di terapia, dall’altra la conciliazione ha portato al raggiungimento di un completo accordo. Con la terapia si voleva correggere il comportamento e l’atteggiamento del superiore. Con tale finalità , terapeuta e molestatore hanno analizzato la situazione, l’atteggiamento tenuto dal superiore e quello che avrebbe dovuto tenere.
In realtà inadeguato ed insufficiente è stato il risultato di tale procedura. Mai i disputanti si sono incontrati per analizzare la situazione, verificare le loro aspettative, opinioni e lamentele, per raggiungere un accordo accettabile da entrambi. Attraverso tale procedura, il molestatore non si è mai confrontato con la dipendente e non ha mai compreso quali fossero i suoi reali interessi e quali i comportamenti che lo infastidivano. Di conseguenza, egli ha irrigidito la propria posizione, consolidando l’idea in base alla quale il suo comportamento non era differente da quello di molti colleghi e che le accuse mosse contro di lui erano esagerate e costruite a causa di un esistente conflitto concernente un avanzamento di carriera.
Con la conciliazione, invece, le parti hanno raggiunto un pieno accordo. Il loro principale obiettivo era quello di risolvere la controversia, in modo da poter continuare a lavorare insieme in futuro e non di individuare colpe. La dipendente non aveva alcun interesse a che il superiore venisse punito, giacchè ciò avrebbe reso pubblico il conflitto e contestualmente avrebbe potuto mettere a rischio la propria carriera. Voleva piuttosto che il superiore riconoscesse di aver tenuto un comportamento eccessivo, e che si impegnasse a seguire regole di condotta idonee a garantire una pacifica convivenza. Similmente, il superiore voleva raggiungere un accordo in via confidenziale, cosicchè la propria reputazione non venisse minacciata. Allo stesso modo, la società , presso la quale lavoravano, voleva che i contendenti raggiungessero un accordo, i cui termini rimanessero privati e confidenziali e che non comportasse ulteriori costi e un danno all’immagine della società stessa.
Risulta così evidente che, grazie all’ausilio del terzo neutrale, il cui unico ruolo è quello di guidare le parti verso la soluzione della controversia, senza imporre una decisione, i contendenti riescano ad impostare un dialogo, che se non impedisce l’instaurazione del giudizio, le aiuta a meglio gestire i rapporti processuali. Questo approccio consensuale rafforza i rapporti tra i contendenti e aumenta la possibilità per gli stessi di continuare a collaborare, una volta risolta la lite, come è successo nel secondo esempio proposto. Per tale ragione è assolutamente condivisibile l’idea proposta nel Libro Verde, relativo ai modi di risoluzione delle controversie, in materia civile e commerciale, presentato dalla Commissione, che pone in risalto il ruolo dell’ADR come strumento al servizio della pace sociale. Solamente nel secondo esempio proposto, i contendenti si confrontano alla presenza del terzo neutrale. Il terzo facilita la comunicazione e le aiuta a concentrare l’attenzione, anzichè su colpe e punizioni, su come sia possibile addivenire alla soluzione della controversia senza che sia necessario portare la lite in tribunale aumentandone i costi e danneggiando le relazioni tra i contendenti.
Mentre, quindi, nella conciliazione la controparte viene vista come un partner, un collaboratore con cui raggiungere un accordo, nelle aule giudiziarie essa viene vista come un nemico da sconfiggere. Infatti, se i procedimenti giurisdizionali conducono ad una win-lose solution, cioè ad una soluzione in cui solo una parte trae dei vantaggi dalla decisione presa, quelli extragiudiziali conducono ad una win-win solution, nella quale entrambi i contendenti traggono dei vantaggi dalla decisione presa.
Da tale analisi risulta evidente che la conciliazione si configura come un valido strumento di risoluzione delle controversie tra lavoratori o tra l’azienda produttrice e i suoi acquirenti, tanto che alcune compagnie hanno stabilito di utilizzare tali tecniche di risoluzione delle controversie prima di adire le corti, nella speranza di evitare un conflitto costoso, lungo e soggetto alla pubblicità del processo. Per correttezza espositiva va evidenziato che non tutte le controversie sono idonee ad essere risolte extragiudizialmente. Non lo sono, per esempio, quelle in cui i contendenti traggono benefici dalla pubblicità creata dal processo o quelle in cui le parti vogliono l’instaurazione di un precedente vincolante, oppure quelle in cui questioni di principio siano in gioco. La pubblicità creata dal processo, infatti, può sensibilizzare la popolazione circa la rilevanza di determinate questioni, rilevanza che viene rafforzata dal rifiuto a negoziare, quando valori e questioni di principio sono in gioco. In tal caso, accettare di risolvere una controversia extragiudizialmente potrebbe essere visto come un segno di debolezza, di scarsa convinzione nelle proprie idee e, quando a negoziare sia un’organizzazione, potrebbe essere un segnale della sua scarsa affidabilità e rappresentatività . Infine, tali tecniche sono inidonee a risolvere una controversia, quando l’obiettivo dei contendenti è quello di individuare un precedente che sia giuridicamente vincolante. Tale argomentazione assume rilevanza soprattutto nei paesi di common law, dove il compito del giudice non è solo quello di applicare, ma anche quello di trovare la legge.
Viviana Clementel