Lo studio legale statunitense Fullbright & Jawroski ha condotto, tra il gennaio e l’aprile del 2004, un’indagine sulle tendenze in tema di contenzioso che ha coinvolto qualche centinaio di giuristi d’impresa, ai quali è stato chiesto di rispondere a domande sul proprio (atteggiamento) orientamento nei confronti dell’arbitrato, delle clausole compromissorie e della conciliazione.
Lo studio è stato svolto su società del settore industriale, finanziario, energetico, assicurativo, sanitario e delle telecomunicazioni con fatturato lordo annuale compreso tra 50 milioni e 100 miliardi di dollari e scelte in modo che fossero rappresentati ben 41 Stati. I risultati della ricerca variano in base ad alcuni parametri, come le dimensioni delle imprese e la loro posizione geografica, ma complessivamente essi evidenziano con chiarezza come le aziende, specie se di grandi dimensioni, si affidano sempre di più a procedimenti di conciliazione ed arbitrato per la risoluzione delle controversie interne e che, con ogni probabilità , questo fenomeno è destinato ad aumentare continuamente nel corso dei prossimi anni.
Il sondaggio mostra come, al momento, le cinque aree fondamentali per l’impiego di arbitrato e conciliazione siano le controversie in materia di lavoro, contratti, proprietà intellettuale, responsabilità per danni da prodotto e le azioni collettive.
Per quanto riguarda il ricorso all’arbitrato e le clausole compromissorie, il 43% dei giuristi interpellati ha affermato di incentivare tale pratica, il 21% si è dichiarato ad essa indifferente e solo il 36% contrario. Dal punto di vista geografico, mentre in California, Texas ed in tutti gli Stati della costa atlantica l’arbitrato è molto usato, la situazione appare capovolta nel Midwest, nel sud e nel New England.
L’ipotesi di John Bowman, codirettore del dipartimento ADR di Fullbright & Jawroski, è che le società della California, del Texas e della costa atlantica hanno maturato una maggiore esperienza nella conciliazione e nell’arbitrato internazionale e stanno ora sperimentando l’uso di quegli stessi procedimenti per risolvere le loro controversie interne.
Nonostante, comunque, gli atteggiamenti registrati nei confronti dell’arbitrato siano così variegati, una schiacciante maggioranza degli intervistati, il 91%, ha pronosticato che nei prossimi anni il ricorso a tale procedimento sarà destinato a non subire flessioni, aumentando, o rimanendo – nella peggiore delle ipotesi –, stazionario. Ciò su cui, invece, gli intervistati si sono divisi è la possibilità che il ricorso all’arbitrato faccia risparmiare denaro rispetto al processo ordinario. Sul punto, il 47% ha affermato di aver riscontrato un effettivo risparmio, il 44% di aver trovato i due tipi di processo, tutto sommato, equivalenti, mentre un ulteriore 9% ha dichiarato di ritenere al contrario che l’arbitrato comporti spese ulteriori.
Secondo quanto riferisce Bowman, comunque, anche molte delle società che erano rimaste deluse dall’arbitrato -probabilmente più per il risultato che avevano ottenuto che non per il procedimento in sè-, stanno seriamente prendendo in considerazione di ricorrervi nuovamente, almeno a giudicare dal gran numero di clausole compromissorie inserite nei contratti e dall’aumento di domande in tal senso da parte dei clienti.
Il crescente interesse nei confronti del procedimento arbitrale dipende in misura significativa dalla riservatezza che esso garantisce e dal fatto che la controversia viene effettivamente risolta non da giudici generici, ma da veri e propri esperti nel settore di riferimento, cosa di cui si sente grande esigenza, soprattutto per quanto riguarda le cause in materia di proprietà intellettuale ed in materia di energia. Egli si dice anche certo che l’utilizzo di arbitrato e conciliazione è, inoltre, nettamente preferito casi in cui le imprese abbiano interesse a mantenere una relazione d’affari funzionante con la controparte.
Anche gli avvocati interpellati si sono mostrati ottimisti nei confronti della conciliazione e dell’introduzione di clausole di conciliazione nei contratti, con oltre un 60% di simpatizzanti per questa procedura, percentuale che cresce fino ad aggirarsi intorno al 70% nelle società di maggiori dimensioni.
Bowman ritiene poi che le società sono siano propense alla conciliazione perchè essa consente loro di avvalersi di uno strumento meno conflittuale di quelli ordinari per una veloce risoluzione delle controversie e perchè, inoltre, permette loro di costruire un accordo commerciale su misura, sottraendo gli esiti della lite dalle mani di un terzo, sia esso giudice o arbitro, che potrebbe mostrare la tendenza a prevedere soluzioni meramente giuridiche e perciò spesso non ottimali alle controversie d’impresa.
In conclusione, egli ha dichiarato che i risultati emersi dallo studio illustrato sono perfettamente in linea con i dati desumibili dall’esperienza pratica del dipartimento che dirige, onde si è mostrato fiducioso in un effettivo aumento del ricorso a procedimenti alternativi per la risoluzione delle controversie negli anni immediatamente a venire.