Dalla relazione del Presidente Prof. Guido Alpa all’inaugurazione dell’anno giudiziario sull’attività svolta dal Consiglio nazionale forense nell’anno 2011 e primo semestre 2012 (13 luglio 2012)
….<<In questo quadro sconfortante si collocano le recenti disposizioni in materia di conciliazione. Mi riferisco in primo luogo all’istituto della mediazione finalizzata alla conciliazione delle liti civili e commerciali, introdotta nell’ordinamento con il d.lgs. n. 28 del 2010. Il testo contempla un ampio e disomogeneo catalogo di materie per le quali essa è condizione obbligatoria di procedibilità della domanda giudiziale. In tutte le ipotesi contemplate, dunque, il cittadino è costretto a affrontare le forche caudine di un procedimento mal congegnato, affidato a figure professionali delle quali non è assolutamente garantita la necessaria perizia e competenza, oneroso, nella maggior parte dei casi – come dimostrato dai dati diffusi periodicamente dal Ministero della giustizia – assolutamente inidoneo a sfociare nella risoluzione consensuale della lite. Non a caso molteplici sono state le ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale.
A ciò si aggiunga la circostanza che anche nelle ipotesi in cui non si verta in materia assoggettata al tentativo obbligatorio si sono introdotti meccanismi compulsivi della volontà delle parti. E’ il caso della pena pecuniaria che sanziona la parte che non abbia inteso aderire al procedimento di mediazione e poi si costituisca in giudizio (indipendentemente dagli esiti finali del medesimo); della condanna alle spese e ad ulteriori somme nel caso di rifiuto della proposta del mediatore per l’ipotesi in cui la soluzione giudiziale della lite vi corrisponda anche solo parzialmente, e così via. Nello stesso alveo si è collocato il legislatore con la riforma della conciliazione del lavoro: pur essendo venuto meno quasi totalmente l’obbligo del preventivo esperimento dello stesso, anche a norma del c.d. “collegato lavoro” (l. 183/2010) non mancano i nessi tra fase conciliativa e successiva fase giudiziale. E’ difatti previsto che il contegno della parte che non accetti la proposta di soluzione della lite formulata dalla Direzione provinciale del lavoro venga valutato – come argomento di prova ovvero (più probabilmente e auspicabilmente soltanto) ai fini della ripartizione delle spese di giudizio. Inoltre, ed è questo il vero profilo nevralgico, il complesso sistema previsto (che ricalca scansioni e nomenclatura del processo togato) rimane affidato alla menzionata Direzione provinciale del lavoro: ossia ad un ufficio che ha competenze diverse e complesse e, dunque, come ampiamente dimostrato dalla fallimentare esperienza precedente, pochissima attitudine a gestire un compito delicato come il tentativo di conciliazione tra datore di lavoro e lavoratore.
Né giudizio più favorevole si può esprimere sulle previsioni che affidano al medesimo organo (il Collegio di conciliazione e di arbitrato previsto dal novellato articolo 412-quater c.p.c.) sia la fase di conciliazione sia quella successiva ed eventuale di arbitrato, senza alcuna considerazione delle differenze di struttura, esigenze e principi che sorreggono i due rimedi ADR, né tantomeno della delicatezza dei profili di equidistanza ed imparzialità dell’organo (divenuto ex post) giudicante. L’Avvocatura crede fermamente nella giustizia alternativa ma è con uguale fermezza convinta che il successo della medesima passi attraverso la libera e consapevole scelta dei litiganti e che presupponga un sistema di giustizia togata affidabile ed efficiente.
Il Consiglio, tramite la Commissione apposita, ha diffuso la cultura della conciliazione (volontaria) e dispiegato un notevole impegno per formare gli avvocati che difendono gli assistiti nei procedimenti di conciliazione obbligatoria, e gli avvocati che intendono svolgere attività di conciliatore, organizzando seminari, conferenze e operando una verifica molto attenta della praticabilità del sistema introdotto nel 2009. Ha preso atto con soddisfazione che la gran parte delle conciliazioni avvengono presso gli organismi creati dagli Ordini forensi, a significare che essi danno garanzie di imparzialità, correttezza e professionalità, e che la gran parte dei procedimenti vedono la presenza degli avvocati che assistono le parti sia nella valutazione dei vantaggi della conciliazione sia nella valutazione delle proposte effettuate dal conciliatore.>>…