Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria introdotte con ricorso per decreto ingiuntivo, instaurata l’opposizione e decise le istanze sulla provvisoria esecuzione, l’onere di promuovere la mediazione è a carico della parte opposta.
Questo è il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione all’esito di un un percorso interpretativo tormentato, avviato di fatto con la riforma del 2013 e la ripresa delle mediazioni, arrivato una prima volta in Cassazione nel 2015 con la sentenza n. 24629 di segno opposto (si poneva l’onere a carico dell’opponente), proseguito con una forte contrapposizione di esiti dottrinali e di merito e riapprodato in cassazione con l’ordinanza interlocutoria n. 18471/ 2019 di rimessione al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione (poi in effetti disposta) alle Sezioni Unite.
La questione, a dire il vero, ha interessato più le aule giudiziarie che le sale riunione degli organismi di ADR. Non esistono statistiche attendibili, ma alla luce di una ormai pluriennale esperienza sul campo si può ragionevolmente osservare:
– che in mediazione si arriva se e solo se un “qualcuno” deposita un’istanza e, con il deposito, il tema della procedibilità o meno del processo svanisce e perde oggettivamente di appeal e di rilievo;
– che infatti nel primo incontro si discuterà soprattutto sulla possibilità di avviare la procedura (si potrà forse accennare al problema, magari per fissare le posizioni, ma non è questo il focus) e, all’esito, o si entra in mediazione (ed è facile che si arrivi alla conciliazione) o si fa il mancato accordo: in ogni caso la condizione di procedibilità non potrà mai considerarsi come non avverata;
– che sino ad oggi la parte opponente è quella che più spesso ha assunto l’iniziativa, ma non tanto e non solo per ragioni di stretto diritto, ma per un chiaro interesse materiale a non rischiare la sanzione più grave e cioè il passaggio in giudicato dell’ingiunzione a causa della improcedibilità dell’opposizione; alla parte opposta il rischio di una pronuncia contraria è sempre convenuto di più, sulla base della considerazione che, anche nell’ipotesi estrema di travolgimento del decreto, sarebbe comunque rimasto il paracadute della possibilità di riottenerlo con un nuovo ricorso;
– che, infine, se nessuno deposita, il tema rimarrà per sempre confinato solo e soltanto nell’ambito del processo.
La motivazione della sentenza prende le mosse dalla marcata sottolineatura dell’opportunità di un intervento a Sezioni Unite in presenza di contrasti giurisprudenziali così forti, perchè la “prevedibilità delle decisioni giudiziarie si va affermando come valore prezioso da preservare”.
Un primo importante assist per il mediatore, perché l’argomento della certezza del giudizio apre il campo al delicatissimo tema della c.d. “valutazione prognostica”, dell’algoritmo e della intelligenza artificiale applicati al diritto. E’ noto che uno dei valori aggiunti della mediazione sta nel fatto di poter non già sfidare, ma gestire l’alea, con intelligenza e pragmatismo.
L’argomento “pesa” e già oggi viene speso (e lo sarà di più) in favore della convenienza della trattativa, soprattutto se debitamente condito con il giusto richiamo alla esperienza ed alla responsabilità professionale degli operatori: una giustizia più nomofilatticamente coerente, infatti, riduce ragionevolmente i margini di incertezza e la possibilità che “… a saper ben maneggiare le gride …” nessuno sia reo e nessuno innocente.
Ciò premesso, la Corte riafferma il principio generale, espresso nel dato testuale dell’art. 4, co. 2, e nell’art. 5, co. 1bis e 6, d.lgs. n. 28/ 2010, secondo il quale chi intende esercitare in giudizio un’azione è tenuto ad esperire preliminarmente il procedimento di mediazione.
L’opposto, prosegue la Collegio, è l’attore sostanziale e l’opposizione non è una impugnazione del decreto, ma un atto che promuove la cognizione piena della pretesa azionata. La lettura costituzionalmente orientata del sistema, alla luce altresì della natura non giurisdizionale della procedura, manifesta quale evidente forzatura il grave squilibrio tra le diverse conseguenze dell’inerzia che derivano dal porre l’onere a carico dell’una o dell’altra parte: revoca del decreto ingiuntivo, ma sua riproponibilità e salvezza dell’azione, se lo si attribuisce all’opposto; definitività dell’ingiunzione con valore di cosa giudicata, se lo si attribuisce all’opponente.
Quanto alla finalità deflattiva valorizzata dal precedente del 2015 si individua un conflitto tra il principio di efficienza e di ragionevole durata del processo da un lato e la garanzia del diritto di difesa dall’altro, in cui però “quest’ultimo deve necessariamente prevalere”.
Il fattore decisivo è quindi la riconferma dell’opposto come attore sostanziale, affrancato, ma solo nella prima fase, dall’onere della mediazione in considerazione della particolarità del procedimento monitorio, caratterizzato da una cognizione sommaria fondata su elementi di prova particolarmente forti (la prova scritta ex art. 633 c.p.c.) ed idonei, a fronte dell’inerzia dell’ingiunto, a conseguire il giudicato.
Ma l’opposizione riporta la questione nell’alveo del giudizio ordinario ed il processo al punto di partenza, in cui l’onere della iniziativa grava sempre sull’attore.
Così risolto il problema, resta comunque confermata la indispensabilità del passaggio in ADR: o prima o dopo, il tentativo deve essere comunque esperito. In tal modo davanti al mediatore le parti, affrancate dalla necessità di dover discutere un così rilevante problema processuale e dalla preoccupazione delle possibili inaspettate conseguenze dell’incertezza giurisprudenziale, confortate – per contro – dalla chiarezza della indicazione nomofilattica, si trovano ad avere oggettivamente più spazio per affrontare il vero merito del conflitto, del richiesto e del negato e di tutto ciò che, debitamente gestito (dal mediatore in primis), può condurre ad una legittima soluzione win- win.
Più merito e meno formalità: questi, in sintesi, gli effetti del decisum. Ma vi è di più.
Dall’ordinanza interlocutoria di rimessione n. 18471/ 2019 emerge che lo specifico processo oggetto dell’intervento dalle Sezioni Unite è iniziato nel 2015 con un ricorso per decreto ingiuntivo: 5 anni per la fase monitoria, l’opposizione, l’appello e per ben due volte la Corte di Cassazione!
Un chiaro sintomo di una maggiore efficienza del sistema, che, nelle forme di una corretta rappresentazione della “minaccia della sentenza”, costituisce altro argomento utile per indurre le parti a valutare bene l’opportunità di aprire la trattativa.
Ed ancora, dato che il ricorso al giudizio monitorio interessa in larga misura banche, assicurazioni e istituti finanziari in genere, questi soggetti, notoriamente ostili alla mediazione e refrattari alla presenza al primo incontro, saranno invece spinti non solo a depositare le istanze, ma, nella qualità di istanti, anche a presenziare di più, con delegati qualificati (ad es.: il funzionario che ha gestito la pratica o il direttore di filiale che conosce il cliente), in grado non solo di discutere il problema e trovare soluzioni, ma di attivare quei percorsi interni senza i quali nei grandi enti è difficile concludere un accordo.
In altri termini e nel concreto: non una svolta epocale, ma una chance in più per un esito positivo del primo incontro e, di conseguenza, per la trattativa e per la conciliazione.