Convertire gli avversari in partner, specie quando è in corso una battaglia legale, è operazione difficile ma non per questo impossibile, se le parti sanno negoziare “creativamente”. Lo ha dimostrato la sentenza di qualche mese fa di una corte statunitense, che ha portato alla chiusura di Napster, la quale ha conferito una enorme valenza strategica e commerciale all’accordo stipulato in novembre fra due grandi “nemici” nel mondo dei media: il colosso tedesco Bertelsmann, proprietario tra le altre cose della casa discografica BMG, e la stessa Napster. Tale accordo è stato allargato proprio nei giorni scorsi ad altre due grandi etichette (Warner Music ed Emi) e alla RealNetworks, la Internet company che ha messo a disposizione dei suoi partners la propria tecnologia di distribuzione, esente da problemi di pirateria. La suddetta coalizione ha dato vita ad una nuova società : la MusicNet che sarà in grado di distribuire musica sia streaming sia scaricabile. L’accordo prevede che le tre major disporranno di una quota di minoranza in MusicNet, la quale potrà pertanto usufruire della loro musica sebbene non in maniera esclusiva. Il prezzo dell’abbonamento mensile non è stato, tuttavia, ancora definito.
La praticità , e soprattutto la gratuità , con cui Napster ha reso possibile il download di registrazioni musicali in digitale non potevano non suscitare l’ira delle multinazionali titolari dei diritti di sfruttamento economico sulle canzoni – tra cui, oltre agli attuali partners (Bertelsmann, EMI, Warner Music) vi sono la Universal e la Sony – le quali hanno tutte contestato in giudizio a Napster la liceità del software che consentiva la condivisione dei file. Ma la lungimiranza di Napster e della Bertelsmann le ha fatte pervenire, in tempi ragionevolmente rapidi, ad un accordo preliminare che molti ritenevano semplicemente impensabile e che oggi, al contrario, ha permesso di fondare il nuovo colosso della musica on line.
L’intraprendente intesa, o meglio la coraggiosa alleanza strategica raggiunta lo scorso novembre e perfezionata nei giorni scorsi, dimostra come le parti siano state in grado di trovare una soluzione talmente “creativa” al loro conflitto da permettere ad una la sopravvivenza in una forma diversa, e alle multinazionali della musica la possibilità di essere all’avanguardia in un settore emergente come quello della condivisione digitale dei file musicali, che sarà in futuro, anzi che forse già è, uno dei principali canali di distribuzione per le case discografiche.
Il settlement della lite, ben lungi dalla nostrana visione della transazione come scambio di concessioni al ribasso, si è rivelato una mossa in grado di generare guadagni considerevoli, e dalla valenza strategica straordinaria, sia per Napster che, conservando il suo bacino di utenza pari a 63 milioni di membri e nonostante la sentenza, sarà rilanciata in tempi brevissimi su nuove basi, questa volta perfettamente legali, sia per le stesse major musicali, che possono in questo modo proporre per primi un modello di distribuzione di musica on line all’avanguardia, avvalendosi così di un notevole vantaggio temporale nei confronti della diretta concorrente Duet, in cui si ritrovano alleate la Sony, il gruppo Vivendi-Universal e il portale Mp3.com.
Il pericolo principale dell’accordo è di ordine squisitamente commerciale, e risiede nella difficoltà di convincere gli utenti a pagare per un servizio di cui hanno usufruito gratuitamente per lungo tempo; difatti negli ultimi tempi è stata registrata una flessione nei collegamenti al sito di Napster. Si teme, dunque, che i membri della comunità Napster possano “migrare” verso altri siti simili come Napigator.com o Gnutella, a meno che questi non vengano progressivamente chiusi proprio come è accaduto a Napster. In ogni caso negli Stati Uniti esiste un precedente analogo, quello della televisione via cavo, che può far ben sperare Napster e i suoi soci.
Nonostante i pericoli insiti nell’accordo, che comunque non dipendono dalle parti contraenti, la vicenda dimostra vividamente le potenzialità del negoziato di tipo interest-based, che si contrappone a quello right-based caratteristico delle controversie legali; solo il primo, infatti, consente alle parti nei casi appropriati (cioè quasi sempre, nelle relazioni business-to-business), di elaborare soluzioni basate sui reali interessi economici in gioco e di creare relazioni, e quindi valore, anche partendo da una situazione di conflitto. E il valore in questione è quanto meno duplice. Nell’immediato, infatti, i litiganti risparmiano notevoli risorse, in tempo e danaro, evitando lo scontro in tribunale; nel tempo, trasformare il pericoloso concorrente in un alleato prezioso genera poi vantaggi economici che vanno al di là dei profitti realizzati dai paciscenti. Nel nostro caso, a mo’ di esempio, il perseverare nella lite da parte di Bertelsmann, Warner Music ed Emi, senza ricercare una valida soluzione alternativa, avrebbe significato probabilmente non solo la cessazione dell’attività per Napster, ma la sua definitiva scomparsa. Così facendo, però, oltre a disperdere l’enorme bacino di potenziali utenti portato in dote da Napster, le major sarebbero “rimaste indietro” tecnologicamente, per non parlare della probabilità , di lì a poco, di incappare in scontri identici con le varie società emule di Napster, per le quali l’accordo in questione può invece fungere ora anche da valido modello di conflict management.
La moderna organizzazione del lavoro, la continua evoluzione verso modalità di team-work e l’importanza crescente di saper creare e mantenere nel tempo relazioni proficue con clienti, partner e fornitori – ed al limite con i concorrenti – richiedono sempre più il possesso di spiccate capacità relazionali ed in particolare di negoziazione. Per tutti coloro che quotidianamente spendono gran parte del tempo e delle energie in trattative ed incontri d’affari, imparare a negoziare efficacemente – e quindi, come in questo caso, ad “allargare la torta”, prima di dividerla – diviene indispensabile per svolgere al meglio il proprio lavoro. Quando poi le parti ed i loro avvocati non riescono a risolvere una controversia da soli – come spesso accade per i più diversi motivi – l’intervento di un professionista neutrale in veste di conciliatore può essere decisivo per aiutare a confezionare una soluzione business-oriented che soddisfi tutti quanti. Ed è proprio in questo senso di “negoziato solutivo professionalmente assistito” che, anche in Italia, si dovrebbe finalmente cominciare a parlare di alternative dispute resolution.