Nel Massachusetts, costa orientale degli Stati Uniti d’America, un gruppo di piccole banche della cittadina di Springfield (153.000 abitanti) si è rivolta alla Corte dello Stato – U.S. District Court for the District of Massachusetts – contro una decisione del City Council che ammetteva un “programma di mediazione preclusiva” a favore dei destinatari di mutui.
Quest’ultimo avrebbe consentito ai debitori in difficoltà di mantenere i loro immobili dati in garanzia o quantomeno di trattarne la destinazione attraverso un programma di mediazione che si sarebbe dovuto concludere in modo “commercially reasonable”.
Le banche hanno reagito con argomentazioni di diritto costituzionale che tanto avrebbero dato da discutere anche ai cultori dell’ingegneria delle istituzioni di cui il nostro Paese, a volte fortunatamente, a volte no, pullula.
Trattandosi di un ordinanza del City Council, avrebbe violato una competenza esclusiva degli organi dello Stato, in questo caso del Massachusetts, oltreché l’ordinato svolgersi del rapporto di mutuo tra banche e privati datori d’ipoteca.
La Corte ha invece sostenuto le ragioni del municipio secondo cui un programma di mediazione non altera le prerogative delle leggi dello stato del Massachusetts sul sistema processuale delle preclusioni né impedisce ai privati di completare le procedure: il programma di mediazione semplicemente richiede un passaggio preliminare prima di tale completamento e costituisce un – si legge nella decisione – “modest effort to soften this crisis” .
Che dire dei “toni” dei giudici statunitensi?
Sono abituati ad essere ascoltati senza strumentalizzazioni e, autentici legislatori del caso concreto, sono in grado di imporre massime di portata generale risolvendo singole questioni nel modo più semplice.
Il “pragmatismo” anglosassone non si dissolve nei fumi della giurisdizione e punta dritto alla soluzione. In questo caso un programma di mediazione che, perfettamente in “compliance” con il diritto dello stato del Massachusetts, consente di risolvere brevemente i problemi dei mutui e delle ipoteche sulle abitazioni che altrimenti rovinerebbe intere cittadinanze come solo le municipalità locali potevano intendere.
Anche in Italia il “contenzioso sulla mediazione” è in forte crescita, sia con riferimento alle questioni al vaglio della Corte Costituzionale e che riguardano la ripartizione delle competenze tra legislatore delegante e governo delegato (nel nostro sistema non si pongono neanche le questioni di competenze delle autonomie locali che si trovano ad affrontare le corti federali americane), sia per quanto riguarda il difficile rapporto tra giudici ed avvocati.
Ma pensiamo ai tempi, mi riferisco al giudizio presso il nostro giudice delle leggi, e alle conseguenti prolungate incertezze, di soluzione della questione del tentativo obbligatorio di mediazione con riferimento all’eccesso di delega.
Un’obbligatorietà che tutti ritengono opportuna, almeno tra coloro che conoscono il problema, e che sola può consentire di affrontare davvero il problema del numero delle cause pendenti davanti ai nostri Tribunali; obbligatorietà che aspetta di essere confermata da più di un anno per un cavillo ricavato da un tendenzioso e arbitrario confronto tra legge delega e decreto delegato.
E’ indubbio che non saremo mai in grado di risolvere problemi semplici in modo semplice come avviene presso le Corti nordamericane.
L’obbligatorietà della mediazione sarebbe infatti un problema addirittura già risolto ma un sistema inefficace continuamente lo ripropone come se la nostra architettura costituzionale fosse davvero costruita per discutere su obblighi del genere; come se si discutesse ogni volta della forma di governo della nazione.
Speriamo almeno in una decisione “pragmatica” della nostra Corte Costituzionale che, nei limiti del sindacato di legittimità rispetto al testo della carta fondamentale, può quasi comportarsi come un law maker!