In molti paesi la confidenzialità della conciliazione riceve una protezione pressochè assoluta. Nello stato della California, ad esempio, gli articoli 1115 e seguenti del “Codice sulla formazione delle prove”proteggono la riservatezza della conciliazione in maniera quasi inderogabile. Oggi alcuni conciliatori si domandano se tale regola non rischia di rivelarsi controproducente per la qualità stessa del procedimento.
Il mantenimento di una segretezza rigida sulla condotta tenuta dal conciliatore e dai difensori delle parti durante una conciliazione contrasta innanzitutto con il diritto di coloro che ricevono un servizio di scarsa qualità di rivalersi sul professionista. Una delle gravi conseguenze è l’esclusione di eventuali condotte negligenti dall’applicazione della disciplina sulla responsabilità professionale. Quali i rimedi?
Nel caso dell’avvocato ingaggiato per assistere il cliente nella conciliazione, e che svolge la sua prestazione in modo poco professionale, il rischio è l’inutilizzabilità delle prove sulla sua negligenza nel procedimento disciplinare avviato dall’Ordine forense.
In realtà , già oggi in Italia l’art. 9 del Codice deontologico forense consente la rivelazione dei documenti confidenziali scambiati tra avvocato e cliente al fine di risolvere tutte le controversie che hanno ad oggetto la prestazione professionale. Nulla sembra escludere che questo principio possa essere applicato analogicamente anche al procedimento di conciliazione, purchè questo avvenga con lo scopo limitato di indagare il comportamento contestato.
Ipotizziamo allora che sia proprio il conciliatore a svolgere in maniera negligente il suo incarico, dando consigli legali inesatti, intimidendo le parti forzandole magari verso una soluzione transattiva non completamente condivisa, o stendendo una bozza di conciliazione svantaggiosa sul piano fiscale, e inserendo infine la consueta clausola di confidenzialità blindata senza lasciare il tempo di leggere attentamente il contenuto di ciò che viene firmato. Anche in tale ipotesi, ove in seguito venisse promossa un’azione per fare valere la responsabilità professionale del conciliatore, questi potrebbe eccepire che la condotta tenuta durante la conciliazione è coperta da segreto. In questo caso il problema è più serio. Ancora non esistono, nel mondo o in Italia, regole per i conciliatori sul modello di quanto previsto in materia di responsabilità degli avvocati. D’altronde, l’interesse alla riservatezza della controparte verrebbe gravemente pregiudicato se le sue dichiarazioni o quelle del suo avvocato dovessero emergere in un procedimento giudiziario nel quale egli non ha certamente alcun interesse.
Anche se molti sostengono che la protezione assoluta della confidenzialità è necessaria perchè in caso contrario le parti non esporrebbero i loro punti deboli, altri obiettano che nella conciliazione è oggi piuttosto improbabile che una parte si mostri indifesa davanti all’altra, attraverso una confessione o rendendo noti punti deboli fino a quel momento sconosciuti.
Questa opinione sembra essere condivisa anche da Abramson, che nel suo manuale sull’assistenza delle parti in conciliazione (Mediation Representation) non menziona mai l’eventualità che le parti forniscano una piena confessione durante il procedimento. In California, l’Associazione degli Avvocati per i Consumatori ha già avviato un dibattito per richiedere la modifica della legge in questo senso. Solo in questo modo i privati che si rivolgono a un conciliatore possono essere certi che il loro diritto a un prestazione professionale adeguata potrà essere fatto valere.
In ultima analisi anche il mercato della conciliazione dovrebbe giovarne in termini di qualità e di professionalità .
Piergiorgio Zettera
da Jeff Kichaven, Absolute Confidentiality—Is It Wise?, www.IMRI.com