<<Il processo di valutazione della professionalità del magistrato ha un forte carattere sociale, politico e valoriale . Esso non può essere focalizzato esclusivamente nel concetto di valutazione quantitativa dell’attività, né sul concetto di descrizione , né tantomeno di giudizio espresso sulla base della conformità a standard . Soprattutto a partire dalla fase iniziale di individuazione degli obiettivi , il processo di valutazione di professionalità non può che connotarsi come attività di tipo collaborativo , acquisitivo, continuo , ricorsivo e produttivo di realtà. La valutazione si basa essenzialmente sulla negoziazione e sul coinvolgimento degli stakeholders, cioè di tutti i soggetti che in varia misura sono coinvolti nell’area oggetto di valutazione >>
Così lo scritto di Giancarlo Vecchi “ La valutazione di professionalità dei magistrati. Alcune ipotesi di lavoro” Istituto di Ricerca Sociale è stato riportato nella Relazione finale per il Settore civile redatta il 15-6-2009 dalla Quarta Commissione del CSM.
Ne risulta un’immagine del giudice civile la cui valutazione è compiuta non solo dai Capi degli Uffici, ma che viene sottoposto al giudizio corale della platea degli utenti e dei collaboratori.
Accanto ad una visione così moderna del giudice, che si avvicina alquanto a quella degli ordinamenti di common law, in quanto oggetto del gradimento dei soggetti coinvolti nella sua azione, nella Relazione si possono rintracciare tuttavia i segni superstiti di radicate concezioni concernenti il lavoro giudiziario.
Trattando degli indici che misurano percentualmente la capacità del giudice civile di definire, ossia di smaltire i fascicoli pendenti , quanto all’indice dei “procedimenti altrimenti definiti ovvero definiti senza sentenza”, la Relazione afferma che, se “da un lato esso consente di valorizzare le modalità di definizione alternative alla sentenza […] dall’altro può esprimere valori di fuga dalla decisione, e un indice di sfiducia che si manifesta attraverso gli strumenti processuali delle rinunce e transazioni”.
La netta sensazione che se ne trae è che, nel giudizio di laboriosità, il giudice che produce provvedimenti debba prevalere su quello che smaltisce o riduce l’arretrato “fuggendo dalla decisione”, ossia ottenendo il risultato attraverso strumenti diversi dalla sentenza.
Non a caso, tuttavia, si è riportata la data della Relazione del CSM: occorre considerare, infatti, che nel giugno 2009 sui sistemi alternativi di risoluzione delle controversie si fosse ancora agli inizi.
La direttiva della Commissione Europea in materia di risoluzione alternativa delle controversie risale alla fine degli anni 90, tuttavia sino al 2004 la mediazione resta attestata sul modello volontario e quindi numericamente irrilevante. Nel 2004, in occasione della riforma del diritto societario, il legislatore ha compiuto un passo importante, varando un modello di conciliazione c. d. amministrata, ovvero vigilata dallo Stato attraverso gli Organismi di mediazione, per la prima volta regolamentati e censiti dal Ministero della giustizia. Ciononostante, in quanto relegata solo nell’ambito della materia societaria, la mediazione rimane, di fatto, su valori numerici insignificanti. Nel 2009, dunque, la mediazione era un istituto esistente nell’ordinamento statale, ma sconosciuto ai più, ad eccezione di un ristretto numero di addetti ai lavori: quando però, con l’adozione del D. Lgs. N.28 /2010 è stata introdotta la mediazione c.d. obbligatoria (rectius il tentativo obbligatorio di mediazione) è stata prevista dal legislatore anche la c.d. mediazione delegata, ossia promossa dal giudice in corso di causa.
In altri termini la mediazione, raccordandosi a pieno titolo con il processo è entrata a far parte del sistema processuale vigente: a questo punto il quadro è radicalmente cambiato e ne risulta profondamente mutato, sotto il profilo operativo, il rapporto tra giudizio e mediazione, sicché l’apparato concettuale sotteso nella Relazione del 2009 che si è citata all’inizio non può più essere mantenuto.
Purtroppo i dati che emergono dalle rilevazioni statistiche sulla mediazione disegnano uno scenario sconfortante: le mediazioni delegate (o demandate), ossia svoltesi in forza di provvedimento del giudice, sono appena 6.742, su un totale di procedimenti pendenti pari a 5.159.616, e dunque rappresentano solo un misero 0,01%!
La ragione principale di questa irrisoria percentuale, risiede nel fatto che la valutazione di produttività del giudice, nonostante le dichiarazioni contrarie, è rimasta essenzialmente quantitativa: il giudice che dedica parte della sua attività a favorire (quasi sempre assai faticosamente) la risoluzione amichevole delle controversie è guardato ancora con sfavore, quasi come un neghittoso o uno scansafatiche, sempre perdente rispetto al collega che sforna provvedimenti, ossia opere che si possono toccare con mano. Non importa se generano altri due o magari tre gradi di giudizio: questa è una verifica che, si sa, non si può e non si deve fare, e per ottime ragioni.
Ma tant’è: nella rilevazione statistica del lavoro del giudice civile, continua a comparire l’indice dei procedimenti altrimenti definiti ovvero definiti senza sentenza, ma manca qualsiasi menzione dei procedimenti definiti per avvenuta mediazione promossa dal giudice.
Dunque, si chiedono i magistrati: perché condannarsi ad un lavoro oscuro ed improbo, dagli incerti risultati, quando il premio sarà comunque per chi scrive più provvedimenti?
I tempi sono maturi perché il CSM, l’ANM, e lo stesso Ministero della giustizia si mettano allo stesso passo del legislatore: quando i “media” segnalano giornalmente che l’arretrato civile costa qualche punto del PIL, e che lo Stato sborsa moltissimi milioni per i risarcimenti dovuti a causa della lentezza dei processi civili, occorre mettere mano agli strumenti che la legge ha già posto a disposizione, creando i giusti incentivi o meglio gli strumenti premiali per quei magistrati che, oltre a emanare provvedimenti, promuovono la mediazione delegata come efficace strumento deflattivo della giustizia civile.
3 commenti
“ In verità, questi duecento avvocati che da cinquanta anni costituiscono la base immutabile della nostra Camera, tutte le volte che da qualche ministro più audace sono stati messi dinanzi ai problemi della riforma giudiziaria, si sono lascati guidare anziché da una politica nazionale, da una politica campanilistica o addirittura da una politica di classe: sicché sembra, è triste doverlo confessare, che il gran numero di avvocati sedenti in Parlamento sia stato fin’ora il più formidabile ostacolo contro una riforma radicale del nostro ordinamento giudiziario e del nostro diritto processuale”.
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Piero Calamandrei, “Troppi avvocati”,Editore la voce, pag. 86, pubblicato nel 1921 MILLENOVECENTOVENTOVENTUNO
E ciò che portato ad intraprendere lo Studio della Mediazione Civile è stato il percorso di Scienze Umane, formare e organizzare società sociali complesse in Organismi, e anche amministratore di sostegno che gestito in cancellerie e volontarie giurisdizioni, strutture che nascono per quantificare economicità. Stanno creando seri problemi alla società e famiglie
Ma un mediatore non deve stancarsi (volontariamente) di percorrere tutte le strade.
E ciò che rallenterà non solo smaltimento di carte ma sopratutto, aspettative umane, organismo e un nucleo di umori pensieri obiettivi educativi .
Fraioli Anna
La maggior parte dell’arretrato civile viene definita dai got, in gran numero avvocati.
I dati della statistica giudiziaria sono illusori: non rilevano i processi definiti dai magistrati onorari sostituti dei professionali, i.e. i got.
Ne consegue che qualsiasi previsione ministeriale o dell’organo di autogoverno in materia di valutazione di laboriosità nell’immediato e di proiezione probabilistica nel medio – lungo periodo è falsata.