Il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede fa molto bene a dichiarare di voler esaminare i risultati concreti degli effetti della mediazione civile prima di proporre eventuali modifiche nell’ambito della riforma della giustizia civile. Occorre quindi valutare i settori dove ha funzionato e quelli in cui sembra aver funzionato meno. Innanzitutto è necessario fare due chiare premesse.
(1) Continuare a riferirsi alla “mediazione obbligatoria” contribuisce a ingenerare equivoci legati a presunti alti costi obbligatori a carico delle parti prima di accedere al tribunale. La cosiddetta “mediazione obbligatoria” non è più in vigore dal 2012 sostituita da un modello ben diverso diventato una best practice internazionale: un primo incontro in cui le parti decidono volontariamente se iniziare o meno la mediazione con la consulenza di un mediatore professionista.
(2) La seconda importante premessa è che la partecipazione a questo primo incontro è condizione di procedibilità in solo il 13% delle materie del contenzioso civile dei Tribunali di primo grado. Dai dati del 2017, i procedimenti civili iscritti nei Tribunali ordinari per cui la partecipazione a questo primo incontro è condizione di procedibilità sono infatti 81.800 contro i 601.517 delle iscrizioni del civile ordinario. Rimangono escluse dall’obbligatorietà del primo incontro 87% dei contenziosi civili.
Fatte queste premesse, vediamo se la mediazione ha veramente funzionato. Se si esclude il contenzioso bancario, dal 2013 le iscrizioni dei procedimenti civili nelle materie in cui vige il primo incontro gratuito sono diminuite in media del 39% con punte che sfiorano il 50% in alcune materie come i diritti reali. La stessa decisa deflazione non è avvenuta nelle materie in cui non vige l’obbligo del primo incontro. La “prova del nove” dell’effetto positivo della mediazione è l’impennata del 20% dei contenziosi iscritti nei tribunali nel 2012, per effetto della nota sentenza della Corte Costituzionale che ha cassato il primo modello di mediazione (veramente obbligatorio) per eccesso di delega, e l’immediata diminuzione del 23% nel 2014 alla introduzione del primo incontro.
Negli ultimi anni il contenzioso bancario ha avuto un costante aumento per via delle cause seriali in tema di anatocismo e usura in cui la giurisprudenza non ha ancora raggiunto un orientamento univoco. Dalla esperienza quotidiana, il fallimento di questi primi incontri è dovuto essenzialmente alla mancata partecipazione di un funzionario della banca con poteri decisionali. Il primo incontro di mediazione, in tutte le materie, è efficace quando le parti con potere decisionale sono presenti di persona, come ormai sostiene anche un orientamento giurisprudenziale univoco. Come è stato fatto erroneamente con i contenziosi di RC auto, eliminare la materia bancaria sottrarrebbe la possibilità ai cittadini di poter incontrare “faccia a faccia” in terreno neutrale un funzionario della banca senza alcun costo.
In attesa di un confronto con il Ministro Bonafede con tutte le anime del movimento ADR in Italia, si potrebbe ripartire dalle conclusioni della Relazione della Commissione Ministeriale presieduta dal Prof. Guido Alpa che auspicava, tra l’altro, la presenza personale delle parti e dei rappresentanti delle aziende (come le banche) e l’estensione del primo incontro ad altre materie del contenzioso civile. Parallelamente, un graduale innalzamento della professionalità di mediatori e organismi garantirebbe un aumento degli accordi. Come i dati dimostrano, gli effetti positivi sull’efficienza della giustizia civile e sulla durata dei processi sarebbero immediati.
2 commenti
L’aumento del contenzioso bancario negli ultimi anni è dipeso innanzitutto dal deflagrare, nel 2008, della crisi finanziaria globale, a seguito della quale molti clienti delle aziende di credito non sono stati in grado di restituire il denaro ricevuto. Il che innescava una serie di automatismi: lettera di messa in mora da parte della banca, notifica di decreto ingiuntivo e opposizione basata su contestazione di anatocismo e tasso usurario. Motivi di opposizione molte volte fondati, molte altre utilizzati come unico appiglio per guadagnare tempo, in attesa della “manna” dal cielo. Il tutto reso ancora più confuso dalla mancanza di orientamento univoco della giurisprudenza in materia, financo sui metodi di calcolo. Confusione manifestatasi non solo in sede di mediazione, ma anche di CTU.
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A tutto ciò si aggiunga l’applicazione della normativa sul “bail-in”, con l’evaporazione delle obbligazioni emesse da Banca Etruria ed altre tre banche minori e, da ultimo, le “operazioni baciate” delle banche venete.
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Ovvio che il contenzioso bancario esplodesse.
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Tutti ciò si è sovrapposto ad un’atavica scarsa capacità delle banche di “colloquiare” con la clientela, ad una gestione molto burocratica delle pratiche –soprattutto quelle di dubbio realizzo-, al considerare gli uffici legali interni residuali rispetto all’attività commerciale–fino al 2008 considerata più redditizia-, al contenimento dei costi perseguito principalmente con prepensionamenti –e acuta perdita di competenze- già da fine anni ’90.
E tuttora le banche molto difficilmente comprendono che la negoziazione / mediazione non solo può essere uno strumento valido per contenere il contenzioso, ma anche per prevenire la riclassificazione di posizioni di rischio ad incagli (Unlikely To Pay) o a sofferenze (Non Performing Loans), con notevole beneficio del conto economico e degli indici di solvibilità.
Mi limito a confermare quanto già detto ripetutamente in passato relativamente alla mia esperienza personale. Materia: diffamazione a mezzo stampa (dunque materia obbligatoria fin da subito). Esito: riduzione del contenzioso (dunque esiti positivi in sede di mediazione), 65 per cento. Partecipazione: 100 per cento.