Il Tirreno 28.1.2012, Cronaca Grosseto, pag. XIII, articolo di Claudia Della Verde, “Biogas, partono le diffide degli avvocati” – “Prosegue la battaglia dei cittadini capalbiesi nell’opposizione all’impianto biogas nella località dell’Orgilio. Già nei giorni passati, a seguito dell’incontro tra il sindaco .. e la cittadinanza, quest’ultima aveva annunciato di passare alla linea dura, perché insoddisfatta nella scarsa chiarezza nelle risposte politiche.
“Due le diffide – con le quali – … gli avvocati Greco e Pollini avevano sollevato il problema dell’impatto ambientale. Ciò in riferimento sia alla sola costruzione della centrale, sia al progetto di realizzare uno scavo per posizionare tubature trasportanti feritilizzante digestato. Questo attraversamento del terreno, che interessa anche l’area WWF di Burano, avrebbe dovuto arrivare ai campi di coltivazione Sacra, in località Torba e Chiarone, con grave pericolo di inquinamento. Altro problema, quello del rischio idrogeologico, dato dall’uso di un pozzo per irrigare tra gli ottanta e i cento ettari di campi, depauperando la falda acquifera.
“ Non sono escluse dalle preoccupazioni degli abitanti capalbiesi anche i rischi dell’utilizzo di un fertilizzante molto ricco in una zona umida, con uno stravolgimento del sistema di coltivazione delle aree limitrofe. A paventare dubbi aggiuntivi anche il rischio di un campo magnetico nocivo, legato alla produzione di energia elettrica. Le richieste legali non si limitano a rilevare i profili di illegittimità nel progetto per la realizzazione dell’impianto di produzione biogas, ma, nell’attesa di un procedimeno di verifica da parte del Comune, invitano quest’ultimo all’ annullamento, in via di autotutela, della determina di approvazione del progetto stesso. Chiedono poi alla Provincia di Grosseto di sospendere il procedimento di autorizzazione unica da rilasciare alla società e di sospendere la riunione della Conferenza dei Servizi prevista per il 7 febbraio. Accogliendo favorevolmente la presa di posizione della Soprintendenza di Siena che … ha manifestato le proprie perplessità sul progetto, precisano come sia opportuno preferire la localizzazione di impianti del genere in ambienti già degradati e da riqualificare”.
La controversia riguardava un investimento di 6,5 milioni di euro, che avrebbe dovuto sfruttare la fermentazione dei prodotti agricoli rinvenienti dalle coltivazioni dei 1.070 ettari, che la società Sacra spa possiede in Comune di Capalbio, un piccolo paese di 4.287 abitanti nel sud della Maremma grossetana. Notare che si tratta di impianto a biomasse, tipologia in genere poco invasiva dell’ambiente, a filiera ultra corta. Nonostante ciò i problemi sollevati sono: impatto ambientale, rischio idrogeologico, stravolgimento del sistema di coltivazione locale e campo magnetico nocivo.
In Italia, secondo Nimby Forum [1], nel 2011 ci sono state 331 opere di pubblica utilità oggetto di contestazione, a fronte di sole 190 nel 2004 .“Alla crescita di tipo quantitativo del fenomeno delle contestazioni territoriali si affianca anche una sua evoluzione dal punto di vista qualitativo: nata come espressione dell’opposizione di cittadini contro l’insediamento di nuove opere sul territorio, la sindrome NIMBY è andata assumendo connotazioni di tipo ideologico e politico. Non sono più improvvisati comitati di cittadini a lottare per la difesa del territorio, ma sempre più spesso si tratta di movimenti strutturati contrari all’impianto o di enti pubblici e politici locali, che agiscono secondo la logica del MITO (‘Not in My Term Of Office’, cioè ‘Non durante il mio mandato elettorale’)” [2]. Tant’è che tra i promotori delle contestazioni nel 2011 i più numerosi sono stati i soggetti politici locali (25%), che hanno superato i comitati (19%).
Il comparto delle opere di pubblica utilità più contestato si conferma essere quello elettrico (62% nel 2011, 58% nel 2010) per buona parte contro impianti a fonti rinnovabili, percentuale fortemente cresciuta dal 12% del 2004. Andamento inverso si riscontra nella percentuale delle proteste nel settore dei rifiuti, diminuita al 31% del 2011 dal 79% nel 2004.
Le controversie ambientali abbracciano uno spettro molto ampio di situazioni, in quanto comprendono il conflitto tra privati (il secchio della spazzatura posizionato sulla pubblica via ma vicino al portone di una villetta); tra privati/aziende ed aziende (il rumore della sala da ballo all’altra parte della strada); tra privati/aziende ed enti pubblici (il taglio di un albero secolare nello spazio scelto per la costruzione di una piazzola di elitrasporto d’emergenza); tra enti pubblici ed enti pubblici (il passaggio di un potente elettrodotto ostacolato da un Comune di poche migliaia di abitanti). I contrasti vertono non solo su aspetti economici, ma riguardano anche valori come la salute, la carenza di informazione, la sostenibilità ambientale.
Il problema della sostenibilità ambientale in Italia è arrivato al “diapason”. L’appellativo di “sfasciume geologico pendulo tra due mari”, che Giustino Fortunato coniò per la Calabria a fine Ottocento, è ormai da estendere a tutta la penisola: rischio sismico, vulcanico, idrogeologico, di incendi boschivi e, sempre più accentuato negli ultimi 30/40 anni, antropico, che enfatizza tutti gli altri. La distruzione del territorio, oggetto di cementificazione, e la costruzione di case nei greti dei torrenti dagli anni ’50 in poi, è sotto gli occhi di tutti. E (a prescindere dai fenomeni delinquenziali, devastanti in tante parti della nazione), confliggono due tendenze: un’amministrazione pubblica abituata –se va bene- al rispetto pedissequo delle procedure, alla convocazione di conferenze dei servizi dove spesso si disserta su cavilli burocratici, che in qualche caso avvia una consultazione popolare preventiva tramite internet per poi metterla nel dimenticatoio; una opinione pubblica molto interessata agli avvenimenti calcistici, che legge poco, che delega la gestione della “res communis”, salvo poi svegliarsi all’improvviso e protestare. Il tutto agevolato da una tendenza normativa improntata al decentramento, sempre più sinonimo di confusione. Per cui o fenomeni (poi degenerati) come “No Tav”, o ricorsi a magistratura amministrativa e contabile. Ed opere pubbliche, anche essenziali, mai partite; o iniziate e poi divenute monumento di spreco; o, peggio ancora, terminate e divenute fonte di inquinamento (tipo gli impianti chiamati, con un eufemismo, termovalorizzatori).
Un metodo per risolvere e, meglio ancora, prevenire questi contrasti c’è. Ed è stato applicato non solo in nazioni straniere, ma anche a casa nostra. Solo che pochi lo conoscono o, peggio ancora, solo che pochi vogliono conoscerlo.
A Peccioli, paese di cinquemila abitanti in provincia di Pisa, c’è una discarica di rifiuti, oggetto di studio anche dagli esperti dell’ONU, e che ha portato soldi, tanti soldi alla comunità.
“… la discarica già c’era. Piccola e accettata tra mille riserve. Un bel giorno, all’ inizio degli anni Novanta, tra la sorpresa generale, Renzo Macelloni, il sindaco, propone addirittura di ampliarla. E i suoi concittadini gli vanno dietro. Accettano l’impensabile: di essere disposti a ricevere nel proprio territorio un’ enorme quantità di rifiuti.
Come ha fatto a convincerli, sindaco ?
Mi conoscevano e si sono fidati di me, perché pur dicendo cose che non volevano sentirsi dire, le argomentavo con serietà e prospettiva. Sapevano che non ero tipo da fare trucchetti o da prendere in giro la gente. Hanno visto la mia convinzione e premiato un comportamento complessivo.
Neanche il pifferaio di Hamelin, però, avrebbe rassicurato cinquemila persone al fatto di convivere con l’immondizia.
Ma non ci dovevano convivere. Bastava fare le cose per bene, come appunto è successo, con tutte le accortezze del caso. E poi la discarica, che era stata regionalizzata, ci sarebbe stata lo stesso e allora tanto valeva ricavarne dei vantaggi. Il primo era di non avere gente improvvisata o superficiale a gestirla. Noi, assumendo tutti insieme la gestione, potevamo controllarla con molto scrupolo e al tempo stesso far ricadere i soldi sul nostro territorio. Per esprimere questi concetti in un’infuocata assemblea ho impiegato tre ore, ma alla fine mi hanno seguito in tanti su questa strada.
In quanti ?
Abbiamo portato settecentocinquanta persone a parlare di smaltimento di rifiuti. Non al bar, con chiacchiere generiche, ma in un’assemblea, con la competenza di chi ha precisi interessi economici e ambientali da difendere. La gestione della discarica, infatti, è ora affidata alla Belvedere spa, società mista tra Comune e cittadini, una vera public company con questi settecentocinquanta azionisti, quasi tutti di Peccioli. E la Belvedere è una società florida, che ha portato e continua a portare ricchezza alla nostra città” [3]
Analizziamo alcuni degli elementi riportati in questo articolo di giornale:
– “problema”, la discarica dei rifiuti sarebbe stata ampliata dalla regione;
– trasformazione del “problema” in “opportunità”, adottando le soluzioni tecniche disponibili ed adeguate e controllo diretto da parte della comunità;
– proteste dei cittadini, ma un soggetto autorevole e rispettato attiva la comunicazione preventiva pluridirezionale con 750 persone, “non al bar”, in maniera generica, ma in un’assemblea, con competenza.
E’ questo un esempio concreto di mediazione ambientale collettiva, pluriparti e multilivello, messo in opera all’inizio degli anni Novanta, quando in Italia forse solo qualche decina di persone ne conosceva il concetto.
Per quale motivo nel nostro Paese è così poco utilizzata la mediazione ambientale? Perché:
– la mediazione è poco conosciuta, soprattutto è poco conosciuta in maniera seria;
– troppo spesso è adottata la tecnica del DAD “decide-announce-defend”: si decide di realizzare un’opera, si ottengono le autorizzazioni prescritte dalla legge, di fronte alle proteste si usa una tecnica difensiva basata in genere su spiegazioni tecnico scientifiche; non c’è stata cioè una preventiva comunicazione tra chi ha preso l’iniziativa, le autorità e i cittadini;
– le decisioni che gravano sull’ambiente hanno ricadute su interessi diversificati, a volte contrastanti, che, anche se teoricamente condivise, spesso sollevano l’effetto NIMBY;
– molte delle fortune economiche e finanziarie di questa nazione sono basate sul cemento; l’investimento prediletto dalle famiglie italiane è il mattone; i Comuni nell’ultimo decennio spesso hanno fatto “cassa” con i contributi di urbanizzazione, per cui non sono contrari a richieste di concessioni edilizie;
– sulla voce “Ambiente” incide la legislazione concorrente di Stato, Regioni e Comuni, di per sé tecnica e quindi comprensibile solo da specialisti, resa ancora più complessa da una superfetazione normativa.
Per far fronte a queste carenze si può :
– preparare dei mediatori con competenze specifiche nel settore e dei tecnici con competenze di mediazione (nelle procedure, poi, sarà opportuna la presenza di comediatori: l’esperto della gestione della comunicazione, il conoscitore della materia);
– avviare una preventiva attività di convinta (e non burocratica) comunicazione tra i soggetti pubblici, le forze sociali già precostituite e le rappresentanze anche spontanee della cittadinanza; essere disposti a modificare il progetto in modo da avvicinarsi il più possibile alle esigenze che emergono; attivare una vera negoziazione tra i soggetti coinvolti e, se le posizioni cominciano ad irrigidirsi, ricorrere ad un mediatore;
– utilizzare queste tecniche anche quando la controversia è sorta e si è arrivati di fronte ad un magistrato, cercando di abbandonare il puro metodo avversariale, valutando gli interessi e cercando, anche, soluzioni alternative.
[1] Nimby Forum (www.nimbyforum.it) è un’iniziativa di Aris Agenzia di Ricerche Informazione e Società (www.arisweb.org), nata nel 2004 “con l’obiettivo di definire i contorni del fenomeno delle contestazioni territoriali alle opere di pubblica utilità e agli insediamenti industriali in Italia … attraverso un monitoraggio quotidiano della stampa nazionale e locale”.
[2] Aris, “Nimby Forum”, VI edizione, 2010, pag. 20.
[3] Il Tirreno, 22.11.2003, pag. 13, Gianfranco Micali.
1 commento
L’espressione iniziale dell’articolo pare significativa dell’attuale incidenza della mediazione nella materia de qua: …’partono le diffide degli avvocati’. Non c’è altra soluzione che affidarsi ‘all’avvocato guerriero’. Non è conosciuto altro approccio propositivo-risolutivo se non offensivo-distruttivo. C’è qualcosa che sfugge nella ricerca della soluzione. Per restare in tema sarà, forse, necessario preparare il terreno, proporre il seme della mediazione e convincere della buona riuscita del raccolto? Finchè la mediazione anche ‘nell’ambiente’ non ‘circolerà’ con fine informativo (ho paura ad usare il termine seguente) obbligatorio, chi avrà l’ardire di affrontare le parti per ricordar loro della possibilità costruttiva di una tregua?