Sanzioni nuove e più aspre quelle della riforma del processo, aspetti negativi che devono spingere l’avvocato a consigliare, ove possibile, la mediazione
Meno cause più soluzioni stragiudiziali delle controversie
La riforma del processo civile incentiva gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie in due modi:
- attraverso la riforma profonda della mediazione, della negoziazione assistita e dell’arbitrato, l’estensione delle materie per questi istituti e la previsione di interessanti incentivi fiscali e agevolazioni per chi vi ricorre;
- con la previsione di aggravamenti sanzionatori nei confronti di chi intraprende cause pretestuose, che fanno perdere tempo e denaro, andando ad aggravare la situazione, già difficile, del contenzioso civile. Problema quest’ultimo che l’ex Ministra Cartabia, sulla scia del precedente Guardasigilli, ha cercato di risolvere nel corso dell’appena conclusa legislatura.
Vediamo, quindi, quali sono le ragioni principali per le quali un avvocato, nel valutare la convenienza o meno di una causa, deve optare per una soluzione stragiudiziale.
Responsabilità aggravata e pagamento alla Cassa delle Ammende
Il primo intervento messo in atto dalla riforma per scoraggiare cause senza fondamento riguarda la responsabilità aggravata. La norma modificata dalla riforma è infatti l’art. 96 c.p.c.
Ricordiamo che il primo comma della norma prevede che, se la parte soccombente, ossia quella che perde la causa, ha resistito o agito in giudizio con mala fede o colpa grave, può essere condannata, se l’altra parte ne fa richiesta, al pagamento delle spese e anche al risarcimento dei danni, alla cui liquidazione provvede il giudice d’ufficio.
Il secondo comma dispone invece che, se nel corso del giudizio il giudice accerta l’inesistenza del diritto (per il quale si è eseguito un procedimento cautelare, è stata trascritta una domanda giudiziale o iscritta un’ipoteca giudiziale o è stata infine avviata o conclusa una procedura esecutiva) e la parte danneggiata lo richiede, condanna l’attore o il creditore procedente a risarcire i danni arrecati per aver agito senza la normale prudenza.
Il terzo comma prevede poi che il giudice, quando emette la sentenza che chiude il giudizio che si è svolto innanzi a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese in favore della controparte, liquidando anche gli onorari della difesa. In questo caso al giudicante viene conferito anche il potere di disporre d’ufficio, quindi diversamente dai casi precedenti, la condanna carico del soccombente di pagare una somma di denaro, determinata in via equitativa. Un esempio tipico di punitive demages per scoraggiare il ricorso eccessivo al processo.
Sanzioni a cui la riforma ne aggiunge una ulteriore, formulando un nuovo comma dell’art. 96 c.p.c. del seguente tenore: “Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00”. Trattasi di una sanzione che serve a compensare il danno che la parte ha cagionato all’Amministrazione della Giustizia per l’impiego inutile delle risorse in un processo del tutto pretestuoso.
Raddoppiata la sanzione per chi rifiuta le ispezioni
Un’altra sanzione su cui interviene la riforma è quella prevista dall’art. 118 c.p.c. e che è rimessa alla discrezionalità del giudice. Trattasi della condanna alla pena pecuniaria nei confronti di chi rifiuta di dare esecuzione all’ordinanza con cui il giudice ordina ispezioni su cose o persone indispensabili per conoscere i fatti di causa. Detta sanzione viene infatti raddoppiata nel minimo da 250 euro a 500,00 euro e nel massimo da 1.500 euro a 3000,00 euro.
Sanzioni per chi non rispetta l’ordine di esibizione
Nuova, invece, la sanzione prevista nei confronti di chi non rispetta l’ordine di esibizione di cose o documenti necessari disposto dal giudice ai sensi dell’art. 210 c.p.c.
La parte che non adempie all’ordine del giudice senza addurre un giustificato motivo subisce la condanna al pagamento di una pena pecuniaria da 500,00 euro a 3000,00 euro.
La sanzione viene ulteriormente inasprita in quanto da tale rifiuto il giudice può desumere argomenti di prova.
Inferiore la sanzione se a non rispettare l’ordine di esibizione è il terzo. In questo caso la pena pecuniaria è stata modulata nell’importo minimo di 250,00 euro fino a un massimo di 1.500,00 euro.