Prendo spunto dall’articolo “Negoziazione (Assistita) vs Mediazione: i 14 ostacoli nel negoziare direttamente una controversia” per approfondire uno dei fattori che maggiormente influisce sulla decisione di raggiungere un accordo: la stima delle probabilità di vittoria in giudizio.
Il fenomeno dell’accuratezza delle previsioni su eventi futuri è tanto noto agli studiosi ed esperti di decision making quanto drammaticamente misconosciuto da parte (quanto ampia?) dei professionisti in genere: ingegneri, manager, piloti, medici e – ovviamente – avvocati.
Sarebbe lungo e complesso ripercorre l’eziologia degli errori decisionali – che ha occupato le migliori menti nel campo delle scienze sociali come lo psicologo e premio Nobel Daniel Kahneman o il matematico libanese Nassim Taleb autore del best seller internazionale “Il cingo nero”- e quindi vorrei limitarmi ad una sua puntuale descrizione nel settore giruidico.
Secondo uno studio svolto da Martyn Asher professore presso la Wharton School (Universityà della Pennsylvania) e pubblicato sul Journal of Empirical Legal Studies, gli avvocati sono vittime di errori di stima (con il senno di poi, ovviamente): questo impedisce evidentemente di giungere ad una soluzione concordata: il titolo dell’articolo in effetti è abbastanza emblematico “Non facciamo un accordo!” (Let’s not make a deal).
La ricerca, che potrebbe definirsi un “classico” (è iniziata nel 1964) mostra che tra il 2002 e il 2005, su 2.054 liti esaminate sono stati commessi errori di valutazione.
Un articolo del codice di procedura civile della California (Rule 998) prevede che l’azione in tribunale possa essere evitata se una parte accetta l’offerta avanzata dall’altra parte nei 10 giorni precedenti l’inizio del processo (sembra proprio qualcosa di molto simile al meccanismo dell’art. 13 d. lgs. 28/2010…).
Nel 61,2 per cento dei casi, l’attore (o il suo avvocato?) ha rifiutato un’offerta che invece era uguale o superiore a quanto poi stabilito in sentenza, mentre il convenuto (o il suo avvocato?) ha errato solo nel 24,3 per cento dei casi. Lo studio ha valutato anche variabili come la qualità delle parti coinvolte (privati, imprese, società), gli anni di esperienza degli avvocati e le dimensioni dello studio in cui operavano.
La ricerca ha evidenziato, per quanto possibile, l’inesattezza di alcune valutazioni da parte di un gruppo campione di legali.
In particolare sono stati presi in esame due gruppi di avvocati ed è emerso come i “puristi”, fedeli osservanti della norma e della giurisprudenza, abbiano commesso più errori rispetto a quelli esperti di mediazione che hanno invece registrato un tasso d’errore minore, essendo più inclini alla persuasione nonostante il rischio di un mancato accordo.
Ovviamente l’analisi degli errori è stata avanzata in base alla tipologia delle cause con risultati differenti per classi di controversie in un periodo di indagine piuttosto lungo.
Nella “malpractice” medica, ad esempio, si è riscontrato un alto tasso di errore decisionale come pure nei caso di risarcimento del danno dove gli attori hanno assistito ad una errata valutazione dell’illecito soprattutto nel caso di lesioni personali.
In particolare, si è evidenziato, un forte consenso nella ricerca dei criteri di valutazione punitiva, ma lo stesso consenso è mancato sulla quantificazione e relativa risarcibilità della sofferenza arrecata.
La ricerca ha quindi evidenziato il divario tra le aspettative ed il risultato promuovendo l’istituto alternativo della mediazione (ADR) come quello che si accosterebbe, di più, alla risoluzione del problem solving.
Non si hanno dati per dimostrare una causalità diretta tra errori, profezia che si auto-avvera (Watzlawick docet) e propensione al rischio, ma potremmo – da saggi professionisti – provare ad accontentarci del dubbio che un qualche collegamento esista?
Chi è disposto ad accettare almeno il dubbio potrebbe sfruttare la mediazione, al fine di verificare se effettivamente ha incolpevolmente omesso di valutare qualche aspetto o elemento o se la valutazione è stata troppo ottimistica e di parte. A questo punto la verifica potrebbe riguardare anche le omissioni legate ad uno studio della questione di merito che risente di certi schemi mentali. Specie in relazione al quantum che è plausibile aspettarsi.
Il fenomeno di cui stiamo parlando è anche definito overconfidence e colpisce tanto duramente quanto più si è esperti: chi ha più esperienza con una “certa” situazione può infatti sovrastimare le propri capacità di controllarla. A ben vedere tuttavia, non si tratta quasi mai della stessa situazione, ma di una simile; l’errore consiste proprio nel non considerare attentamente le differenze. Come nota Taleb infatti l’osservazione e lo studio di un evento del passato non forniscono alcun elemento per stimare il futuro ed il cervello molto spesso non si accorge di ragionare pericolosamente “a posteriori”.
Incidenti aerei o valanghe in montagna sono spesso causate da questa eccessiva confidenza con il fattore di rischio che dà solo l’illusione di controllo.
D’altronde i progettisti del Tacoma Bridge non avevano nessuna intenzione di far crollare il ponte. Ed erano ingegneri, che fanno calcoli e analizzano diversi scenari: forse gli avvocati dovrebbero prendere confidenza con calcoli e formule oppure fare due chiacchiere con un mediatore (serio e preparato, ovvio…).
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Andrea Buti. Avvocato e mediatore di ADR Center, diploma di specialista in diritto civile, si occupa delle problematiche inerenti i rapporti tra diritto e tecnologie informatiche (privacy, firme elettroniche, pec, computer crimes, e-commerce). Docente di “Diritto e Tecnica di conciliazione” presso la Scuola di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Camerino. Può essere contattato all’indirizzo mail: andrea.buti@adrcenter.com
1 commento
Oltre trenta anni fa un collega già esperto mi ammonì solennemente di tenere sempre presente la seguente regola: Meglio una transazione al 50% che una sentenza vinta al 100%. Dava per scontato che la causa si vincesse, dunque bypassava il tema di cui sopra. Certo, comunque, poneva un argomento di riflessione, che, tutto sommato, non andrebbe sottovalutato: le sentenze da appendere al muro non solo non servono a niente ma fanno male al sistema.
La mia modesta opinione è che il problema sta nel fatto che spesso l’avvocato non si preoccupa tanto dell’esito quanto piuttosto di compiacere il cliente attore o convenuto che sia. E se è così, evidentemente, l’accuratezza della previsione in funzione di una mediazione (in sé indubbiamente cosa ottima) perde valore pratico, posto che per mettersi d’accordo bisogna essere in due. Detto questo, ben venga nella categoria una maggiore consapevolezza del rischio conseguente all’errore di valutazione. Molto interessante, tra l’altro, la differenza nella percentuale di errori tra attore e convenuto.