Si sta sviluppando in giurisprudenza un dibattito su chi grava l’onere di esperire il procedimento di mediazione nell’ipotesi in cui di fronte ad un decreto ingiuntivo la parte resistente inizi un giudizio di opposizione.
Il dilemma sta nell’individuazione se il portatore dell’onere è l’attore “sostanziale” o l’attore “formale”, nella logica distinzione tra rapporto sostanziale e rapporto processuale.
La Sentenza della Cassazione n. 24629 del 03/12/2015, Sez. 3, parte dal presupposto che l’art. 5 del D.Lgs 28/2010, norma che introduce la condizione di procedibilità, è costruito in funzione deflattiva al fine di garantire il ragionevole processo e l’efficienza processuale e che la norma mira a rendere il processo la “extrema ratio”, cioè l’ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse.
Secondo la Suprema Corte il creditore, attore sostanziale, con la notifica del decreto ingiuntivo sceglie la linea deflattiva coerente con la citata logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo.
All’opponente invece, che diventa attore formale ed introduce un giudizio di cognizione, grava l’onere della mediazione obbligatoria, ritenendo, secondo i giudici, che l’introduzione del giudizio di merito sia la soluzione più dispendiosa ed osteggiata dal legislatore.
Il Tribunale di Firenze, con una Sentenza antecedente e due Ordinanze postume, è di diverso avviso alle conclusioni della Suprema Corte.
La Sentenza n. 473/2015 e le Ordinanze del 17/01/2016 (estensore Dott. Guida – in tema di contratti bancari) e del 15/02/2016 (estensore Dott.ssa Breggia – in materia locativa) attribuiscono tale onere al creditore opposto che è l’attore sostanziale, cioè colui che fa valere il proprio diritto di credito in giudizio.
In sostanza il Tribunale di Firenze, con le citate pronunce, non condivide l’affermazione avanzata dal Supremo Collegio secondo cui la mediazione deve gravare sull’opponente in quanto questi intende scegliere una “soluzione più dispendiosa ed osteggiata dal legislatore”, come se chi intende difendere un proprio diritto, con un procedimento di opposizione, debba essere “punito” con l’onere di iniziare un procedimento di mediazione.
Secondo i Giudici di merito le osservazioni della Suprema Corte tradiscono lo spirito dell’istituto della mediazione che deve offrire vantaggi alle parti e non ostacolarle inutilmente rispetto all’accesso alla giustizia.
Entrambe le Ordinanze ritengono errato il ragionamento della Cassazione trovando una lecita spiegazione nel combinato disposto dei commi 1 bis e 4, del citato art. 5, ove il procedimento di mediazione deve essere necessariamente introdotto dopo che il giudice ha emesso le Ordinanze ex artt. 648 e 649 del cpc. (per i contratti bancari) e fino a mutamenti di rito (nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto).
Tra l’altro, riferiscono i Giudici, se il debitore ingiunto non fa opposizione nei termini di legge e la domanda di opposizione non è condizione di procedibilità, non si realizza l’effetto impeditivo della decadenza previsto dal 6 comma dell’art. 5, con il definitivo consolidamento del decreto ingiuntivo non opposto nei termini di legge.
Concludono affermando che, una volta esaurita la fase urgente dell’opposizione al decreto ingiuntivo ed in presenza di una mediazione demandata, chi intende agire in giudizio (attore sostanziale) è onerato dell’avvio della mediazione, quindi l’opposto quale portatore del diritto o dell’interesse.
Onere che gli viene attribuito proprio dal fatto che chi deposita un decreto ingiuntivo per far valere una ragione di credito, per una materia soggetta a condizione di procedibilità, con l’introduzione del D. Lgs 28/2010 deve assumere l’obbligo di svolgere, attraverso un procedimento celere, quell’attività fuori dal processo che dovrebbe portare ad una soluzione più soddisfacente con indiretti riflessi positivi sull’ordinamento, evitando di differire in sede processuale il contraddittorio eventuale.
Occorre, infine, porre all’attenzione del lettore il pensiero del Giudice estensore dell’Ordinanza del Tribunale di Firenze del 15/02/2016 che, ponendo al centro del procedimento la potenzialità dell’autonomia delle parti, attribuisce alla procedura di mediazione la funzione di “strumento per favorire lo sviluppo della personalità del singolo nella comunità in cui appartiene, consentendogli di confrontarsi in un contesto relazionale propizio per una soluzione amichevole” ed anche “strumento di pacificazione sociale condivisa e non imposta” .
Sistema che stimola le parti a ricercare una soluzione più adeguata al loro conflitto rispetto alla rigidità della decisione giurisdizionale, ove gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra gli intervenuti.
1 commento
Quella di estraniare la norma dalla realtà sottostante è, a mio parere, una cattiva abitudine che dovrebbe cedere il passo ad un più concreta interpretazione ed applicazione della norma che non dimentichi mai la fattispecie concreta che la norma intende regolamentare.
In particolare la normativa sulla Mediazione dovrebbe essere sempre interpretata in questa ottica, risultando evidente che il DNA stesso dell’istituto è stato creato per ricondurre l’amministrazione (e la soluzione) delle liti ad una efficacia concreta che sia svincolata dalla astrattezza delle norme.
In questa ottica mi domando quale sia il motivo per il quale nessuno ha fatto riferimento a quello che è, nella realtà, l’unico problema concreto: datosi che la mediazione è condizione di procedibilità ne discende che in assenza di mediazione il giudizio non prosegue.
Ciò significa che per la parte che ha interesse al prolungarsi (o addirittura al cessare) del giudizio sarebbe fin troppo facile ottenere il suo scopo omettendo di introdurre la mediazione, se tale obbligo fosse SOLO a suo carico.
Volendo per forza rispondere a quesiti come quello quello di cui questo articolo si occupa si potrebbe arrivare all’assurdo risultato di onerare una sola parte del dovere di introdurre la Mediazione sottraendo (per assurdo) all’altra la facoltà di farlo, fino ad arrivare (sempre per assurdo) a paralizzare il giudizio in assenza di un facere di una parte (che potrebbe anche essere quella che ha interesse a paralizzare il giudizo).
Ne consegue inevitabilmente, a mio parere, che giustamente la legge ha omesso di porre a carico dell’una o dell’altra parte l’obbligo di introdurre la mediazione in quanto nella realtà esiste sempre -nel concreto- un interesse dell’una o dell’altra parte al proseguimento del giudizio e quindi all’introduzione della mediazione.
Pare chiaro che di regola l’interesse è dell’attore sostanziale, ma i casi sono molteplici sì che appare corretto il non tentare di prevederli tutti rimettendo “in mano alla gente” (anzichè a normative) la tutela del proprio interesse.
L’opinione, poi, secondo cui la parte onerata dell’introduzione della mediazione sarebbe quella “penalizzata” fa parte, a mio parere, di quella cultura che merita di essere smantellata che vede nella mediazione un ostacolo da superare anzichè una opportunità da utilizzare e sfruttare.