(già pubblicato sull’Huffington Post)
Nella relazione annuale 2010 della Banca d’Italia, l’ex Governatore e futuro Presidente della BCE Mario Draghi stimava in circa 16 miliardi di euro all’anno (un punto di PIL) la perdita attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile. Il 21 Giugno dell’anno scorso, Pier Carlo Padoan in qualità di capo economista dell’OCSE presentava il rapporto “Giustizia civile: come promuovere l’efficienza” in cui dichiarava che l’arretrato dei processi civili “ha lo stesso impatto soffocante che ha il debito pubblico sul paese. Bisogna liberarsi di questi fardelli, più si va avanti più non si risolve questo problema più la capacità del paese di fare fronte ai processi civili si indebolisce”. Il futuro Ministro dell’Economia insisteva dichiarando “il costo del credito sale del 16 per cento se la durata dei processi è più alta. Ci sono 70 punti base in più nei paesi più inefficienti. Inoltre la dimensione delle imprese diminuisce e l’inefficienza della giustizia ha un impatto sulla capacita di crescita e di innovazione, assieme ad un effetto generale sulla fiducia verso le istituzioni”.
Le premesse economiche dei due degli attuali più influenti economisti italiani presupponevano una vera cura da cavallo nel mondo della giustizia civile che avrebbe dovuto ispirare il primo Decreto legge 132/2014 del Governo Renzi in materia dal titolo promettente: “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”. Se la matematica non è un’opinione, facciamo un po’ di conti tra le statistiche della giustizia civile e gli obiettivi annunciati.
Il 29 giugno scorso, il Governo annunciava il dimezzamento dell’arretrato civile pari a 5.385.781 procedimenti (dati del 2012) in 1000 giorni. Tradotto, la definizione di due milioni e mezzo di cause pendenti, circa 850.000 all’anno per i prossimi tre anni. Si consideri che la “capacità produttiva” (l’offerta) dei tribunali italiani nel 2012 si è attestata in 4.524.605 di procedimenti definiti all’anno,, mentre il numero di nuove cause (la domanda) è stato pari a 4.296.317. Quindi due sono le strade per dimezzare l’arretrato: o si aumenta l’offerta del 20% raggiungendo l’impossibile quota 5 milioni e mezzo di cause definite all’anno o, fermo restando l’attuale livello di produttività, si sposta parte della domanda fuori dai tribunali. Ovviamente esiste anche una terza via che sembra essere stata intrapresa dal Governo: adottare una serie di misure per aumentare la produttività dei giudici e al contempo diminuire le sopravvenienze e le pendenze attenuando il fenomeno tipico italiano di una visione “tribunale centrica” (copyright Michele Vietti) offrendo forme alternative di risoluzione delle controversie. La strategia può funzionare, ma la somma di tutte queste diverse misure deve – a saldi invariati – sempre comportare la diminuzione di 850.000 cause pendenti l’anno.
In attesa della presentazione dei diversi disegni di legge delega, le prime misure urgenti adottate nel decreto legge menzionato non sembrano minimamente capaci di raggiungere l’obiettivo prefissato per il primo anno 2014/2015.
La principale e unica misura per l’eliminazione dell’arretrato consiste nel “trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria” che come abbiamo avuto modo di spiegare è una cosiddetta “norma pubblicità” senza alcun effetto. Non occorreva infatti introdurre una nuova norma per stabilire l’ovvio, cioè che due parti in una causa in corso possano volontariamente rivolgersi ad un arbitro. Questa misura definirà nel prossimo anno non più di 100 cause pendenti (scommetto una cena con chiunque voglia raccogliere la scommessa). L’altra novità introdotta – sempre su proposta del Consiglio Nazionale Forense – è la negoziazione assistita dagli avvocati, in buona parte confliggente con la Direttiva europea 2013/11 che l’Italia deve recepire entro il 9 Luglio 2015 che vieta espressamente in materia di consumo l’assistenza obbligatoria degli avvocati in forme stragiudiziali. In questo caso, ad essere molto ottimisti, la riduzione delle cause sopravvenute non sarà superiore a qualche centinaio di casi (in Francia l’anno scorso si sono fermate a 7!).
Al contrario, nella direzione giusta è la riduzione delle ferie dei magistrati (introdotta in una legge del lontano 1967) di due settimane che produrrà un aumento di produttività di circa il 3% pari a oltre 100.000 procedure definite, l’adozione dei tassi moratori al posto di quelli legali, la limitazione della compensazione nella condanna alle spese e la generale revisione del processo esecutivo.
Nei prossimi 60 giorni, in sede di conversione in Parlamento, per rendere effettiva la via della degiurisdizionalizzazione occorrerebbe rafforzare ed estendere il nuovo modello di mediazione gratuita, con proseguimento volontario oltre il primo incontro, che sta dando buoni risultati senza costi imposti ai cittadini e alle imprese e che potrebbe tranquillamente contribuire sia alla riduzione del contenzioso pendente che alla riduzione di quello sopravvenuto con circa 200.000 procedimenti all’anno. Nel primo caso occorre spronare i giudici a valutare tra tutte le cause pendenti nel loro ruolo quelle adatte ad essere mediate da un mediatore professionista in presenza delle parti in persona. Nel secondo caso estendere l’obbligatorietà del primo incontro gratuito di mediazione a tutti i contenziosi civili e di lavoro.
Riprendo quello che scrissi qualche mese fa, ancor più valido oggi per la grandissima posta in gioco e per il poco tempo a disposizione. Come Draghi e Padoan hanno sottolineato, occorre avere una visione economica e manageriale della giustizia civile con un approccio non esclusivamente giuridico e processualistico. Per Matteo Renzi sarebbe una vera scelta innovativa, e di grande rottura con il passato, nominare un commissario straordinario “all’efficienza della giustizia civile”. Un manager, non giurista, con un track record di successo nella riorganizzazione di grandi aziende nel settore dei servizi.