Il negoziato diretto fra le parti, libero e senza l’assistenza di terzi, è certamente il primo metodo cui affidarsi per risolvere una controversia. Vi sono però alcuni fatti da considerare. In ogni situazione, il successo del negoziato diretto dipende in larga misura, e tra le altre cose, dalla capacità delle parti e dei loro avvocati:
– di comunicare
– di fare concessioni
– di riconoscere le possibili soluzioni
Quando queste capacità mancano (e spesso è sufficiente che ne manchi anche solo una), le parti rischiano di trovarsi a fronteggiare una barriera o più barriere che impediscono il proseguimento della trattativa, e di finire presto intrappolate in un vicolo cieco dal quale non potranno uscire da sole. Talvolta queste barriere impediscono persino che la trattativa abbia inizio. La capacità di riconoscere e identificare queste barriere e l’abilità tecnica di superarle costituiscono il bagaglio di competenze specifiche del mediatore. Ecco le 14 principali barriere della negoziazione diretta che ogni esperto mediatore riesce a identificare e superare.
1. Percezione selettiva nel valutare la situazione. Le parti e i loro consulenti legali incontrano forti difficoltà a fornire una valutazione tendenzialmente obiettiva della loro posizione. Tra tutti i fatti e le circostanze rilevanti, diversi studi empirici mostrano infatti una tendenza dei litiganti ad attribuire un rilievo determinante a quelli che depongono in loro favore. Il mediatore, specialmente nelle prime fasi della seduta di mediazione, è nella posizione di sfidare le parti a considerare con franchezza l’obiettività delle proprie convinzioni, senza che con questo egli si debba sbilanciare per fornire una valutazione sul merito. Si può dire che in queste situazioni il compito del mediatore è quello di un “operatore del verosimile” (“agent of reality”).
2. Posizioni di partenza irrealistiche. All’avvio del negoziato, le parti preferiscono valutare le controproposte in relazione alla soluzione che ritengono per loro più conveniente. Il mediatore professionale è in grado di “sfidare” le parti a considerare come punto di partenza del negoziato non già le soluzioni più desiderabili, bensì quelli che viene definito il BATNA (Best Alternative to Negotiated Agreement) e il WATNA (Worst Alternative to Negotiated Agreement), ossia, rispettivamente, la migliore e la peggiore alternativa al raggiungimento di un accordo negoziato. Queste due situazioni ipotetiche dovranno divenire il nuovo punto di partenza per la trattativa: lo scopo è ancora una volta di portare i contendenti su posizioni realistiche.
3. Svalutazione reattiva. Questa barriera è un fenomeno studiato in psicologia: le proposte formulate alla controparte ispirano diffidenza per il solo fatto di provenire dalla controparte. La ragione è che si sospetta della fonte, più che del contenuto. Vi è quindi il rischio che soluzioni ragionevoli per entrambi possano essere rifiutate per il solo fatto di essere state formulate da una delle parti. Dopo aver esaminato le posizioni delle parti, il conciliatore può quindi aiutare a superare facilmente l’impasse, presentando come proprie le offerte che vengono dalle parti.
4. Blackout comunicativo. Talvolta la possibilità di negoziare direttamente il problema non viene nemmeno presa in considerazione. Le parti e i loro legali temono in molti casi che suggerire una soluzione possa essere interpretato come un segnale di debolezza, anche se le rispettive posizioni potrebbero essere molto più vicine di quanto esse stesse non credano. In questi casi il mediatore è in grado di aiutare o sostituire le parti nel veicolare le proposte e renderle consapevoli che il gap non è incolmabile.
5. Informazioni carenti. Spesso il perdurare della lite è in tutto o in parte attribuibile all’indisponibilità di certe informazioni per una o entrambe le parti. Conosciute quelle informazioni (ad esempio gli elementi che stanno alla base di una richiesta di risarcimento) la controversia potrebbe venire meno. Anche in questo caso il mediatore può assumere il compito di riempire il vuoto informativo.
6. Insufficiente attenzione agli interessi sottostanti. Il negoziato viene spesso percepito come un gioco a somma zero, nel quale una concessione alla controparte equivale a una perdita per chi l’effettua. Il mediatore, invece, può convincere i litiganti che un approccio collaborativo produce vantaggi reciproci e il miglioramento della posizione di entrambi. Il mediatore può essere in grado di far ragionare le parti in termini di interessi (economici, relazionali etc.) sottostanti la lite piuttosto che in termini di diritti. Il risultato pratico consiste spesso nel mantenimento e talvolta nel rafforzamento di rapporti personali o di lavoro.
7. Incapacità di schierarsi con gli interessi del cliente. In molti casi, gli avvocati considerano la lite come un problema “a una dimensione”, ignorando il fatto che coloro che essi rappresentano possono avere interessi divergenti dai propri. Spesso, è un dato di esperienza, le difficoltà nel concludere un negoziato risiedono proprio in questa non perfetta sovrapposizione tra gli interessi del rappresentante e del rappresentato. Il mediatore è in grado di riconoscere le differenze di posizione non solo fra le parti, ma anche fra gli avvocati e la parte rappresentata, e può operare un tentativo per conciliarle.
8. Irritazione e imbarazzo. Da non sottovalutare sono anche gli ostacoli elazionali ricorrenti in ogni situazione di conflitto. È chiara anzitutto la necessità di superare il clima di ostilità che si crea quando una delle parti crede di avere subito un grave torto: l’intervento del mediatore può indurre l’offensore a porre le proprie scuse e migliorare il clima del confronto. Ulteriore situazione critica è quella in cui si trova la parte che, venuta a conoscenza di nuovi fatti che giustificano il cambiamento delle sue pretese, è troppo imbarazzata per mutare la propria posizione di fronte all’avversario. Il conciliatore può consentire un cambiamento di posizioni che consenta di non “perdere la faccia”.
9. Comportamento delle parti e del consulente legale. Non è raro che nel negoziato le parti e i loro legali si comportino scorrettamente e in maniera provocatoria. Atteggiamenti intimidatori, ultimatum e minacce velate sono gli strumenti più comuni di queste strategie belliche. La sola presenza del conciliatore impedisce in genere il ricorso a questi atteggiamenti: le parti vogliono convincere il terzo neutrale che le loro posizioni e il loro approccio al negoziato sono ragionevoli ed equi.
10. Scarse capacità negoziali. Il più delle volte i consulenti legali delle parti non dispongono di capacità e affinate tecniche negoziali, finendo per adottare un approccio alla negoziazione per lo più intuitivo. Questi negoziatori improvvisati sono ad esempio convinti – lo dimostrano talune ricerche – che moderare le proprie pretese sia sempre una scelta perdente. Il mediatore può rimediare a questi errori comuni: può dimostrare alle parti come ad esempio, una “prima offerta credibile” consente a chi la formula di ancorare la trattativa nel proprio campo.
11. Ricorso inappropriato agli esperti. In molte liti le parti assumono posizioni rigide rispetto al negoziato in base alle opinioni fornite dai propri consulenti tecnici, anche perché non conoscono i pareri degli esperti della controparte. Il mediatore può fornire l’occasione per uno scambio reciproco di queste informazioni: il risultato è spesso un ammorbidimento delle posizioni, che aumenta le chance di una soluzione negoziata.
12. Preoccupazione di vincere. Le parti di una controversia spesso tendono a considerare la vertenza come una questione di principio, e adottano una strategia di “vittoria ad ogni costo”. La presenza del mediatore può indurle a correggere questa impostazione. Il primo passo sarà quello di convincere le parti a considerare non tanto quello che effettivamente è successo, quanto quello che il tribunale potrà accettare come tesi prevalente.
13. Capacità del conciliatore di superare l’impasse. Un conciliatore abile può riconoscere per tempo i segnali di avvicinamento di uno stallo negoziale, in base a vari indici verbali e non-verbali (ad esempio l’utilizzo di frasi come “questa è la mia ultima offerta”, oppure “sapevo che sarebbe stata una perdita di tempo”). Oltre a riconoscere queste situazioni prima di trovarsi in un vicolo cieco, il conciliatore è in grado di agire per superare l’impasse anche dopo che si è verificata, utilizzando diverse strategie quali il rinvio della seduta o l’invito a formulare un’offerta il più possibile ragionevole.
14. Barriere procedurali. Oltre alle tecniche già menzionate, la mediazione presenta alcuni vantaggi che da soli possono ovviare ai fallimenti di un negoziato diretto. In certe situazioni, le parti hanno bisogno di un evento strutturato come la mediazione: hanno bisogno cioè di poter fornire la loro versione a un terzo imparziale. In questo modo, i litiganti tendono a prepararsi meglio al negoziato assistito e a prendere le decisioni nei tempi stabiliti, così come tendono a sentirsi direttamente responsabilizzate nella ricerca di soluzioni.
1 commento
Da qualche tempo seguo i Vostri articoli sulla mediazione e devo dire che li trovo veramente interessanti in quanto mettono a fuoco, in maniera chiara ed approfondita, quegli aspetti salienti per un approccio comportamentale in grado di svolgere proficui incontri di mediazione, al di là degli aspetti tecnici e procedurali.
Sono un mediatore professionista (bancario in pensione) e continuerò a seguire i Vostri commenti con la massima attenzione.
Distinti saluti.
Antonio Mosca