Il Tribunale di Firenze, con ordinanza del 26 novembre 2014, in persona della dott.ssa Breggia, vera esperta del campo, facendo seguito all’altro importante provvedimento del 19 marzo del 2014, ha statuito alcuni principi importanti. Questi principi, però, a modestissimo parere dello scrivente, noto fautore della mediazione (e della sua obbligatorietà), lasciano alcuni dubbi, naturalmente non per colpa dei provvedimenti, che tracciano la strada giusta, e nemmeno a causa di chi li ha ottimamente redatti, ma a causa della superficialità e dell’imprecisione del Legislatore. Al riguardo, non possiamo non ricordare il tormentato iter di conversione del c.d. Decreto del Fare, e i ripetuti tentativi di alcuni esponenti politici, qualificatisi invece come progressisti se non rivoluzionari, di boicottarla a favore dei procedimenti giudiziari. E questo è uno dei motivi per cui chi scrive dubita che il D.Lgs. 28/10, nella sua attuale formulazione, possa essere interpretato sic et simpliciter con la previsione di un’obbligatorietà secca, come prevista nel D.Lgs. ante Consulta (anche se la cosa non potrebbe che farmi piacere, dato che i riottosi non potrebbero che partecipare attivamente alla mediazione, anziché trincerarsi dietro un “non voglio proseguire”). Una previsione del genere, però, potrebbe forse esporre nuovamente la norma a rischio di incostituzionalità, e non sembra coerente con il procedimento, politico e legislativo, che ha portato al D.L. 69/2013 e alla sua successiva conversione, come peraltro anche detto implicitamente dal TAR nella sentenza 1351 del 2015.
Esaminiamo l’ottimo provvedimento del Tribunale di Firenze.
La prima cosa che dobbiamo rilevare, nel già eccellente panorama della Magistratura italiana, spesso costretta a lavorare in condizioni difficili e con mezzi insufficienti, è il (già conosciuto, peraltro) altissimo livello di preparazione tecnico giuridica del Magistrato che l’ha redatto. Emerge, dall’ordinanza, non solo un perfetto livello di conoscenza della causa, ma uno sforzo veramente apprezzabile d’interpretazione della norma e della diffusione della mediazione, quale strumento di risoluzione alternativa delle controversie e non solo quale metodo per la risoluzione dell’arretrato.
Il procedimento relativo all’ordinanza in commento riguardava una materia rientrante tra quelle per cui è prevista la condizione di procedibilità, ai sensi del nuovo art. 5, comma 1 bis, del D.Lgs. 28/2010. La mediazione era stata esperita, prima di cominciare il giudizio, però all’incontro avevano partecipato solamente il difensore della parte istante (o meglio, addirittura un suo sostituto), e non la parte personalmente, mentre per la parte chiamata non era comparso nessuno. Per il Tribunale, e anche per lo scrivente, questo non è sufficiente a considerare superata la condizione di procedibilità, per due motivi: il primo riguarda la necessità, anzi l’obbligatorietà della presenza delle parti; il secondo, il fatto che la mediazione debba essere svolta effettivamente (e su questo secondo punto, vedremo, che a mio modestissimo parere si concentrano le maggiori difficoltà di interpretazione).
Per il Tribunale di Firenze, per ritenersi superata la condizione di procedibilità, quindi, devono verificarsi due condizioni importanti: la prima è che le parti debbono essere presenti (e questo lo dice anche l’art. 8 del D.Lgs. 28: “le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato). La seconda è che la mediazione deve essere esperita effettivamente.
Per quanto riguarda il primo punto, a mio parere nulla quaestio: dal tenore della normativa, ma soprattutto dallo spirito della mediazione, che ricordiamo è una procedura sempre in mano alle parti e in cui i veri interessi di queste debbono emergere, non possiamo che dedurre che la loro presenza è assolutamente indispensabile. A chi scrive è capitato più volte di spiegare, con gentilezza ma anche con chiara fermezza, che anche il più bravo avvocato del mondo, che abbia studiato a fondo la pratica, non potrà mai intervenire in mediazione al posto del cliente, sia perché non è questo il suo ruolo, sia perché i veri interessi, che debbono emergere in mediazione e sono diversi da quelli strettamente giuridici, non sono suoi e non possono, dal legale, essere conosciuti a fondo. E devo dire che, nella stragrande maggioranza delle volte, i colleghi avvocati hanno ben compreso e sono tornati con le parti.
Deve quindi cessare l’abitudine di andare in mediazione con il solo legale, soprattutto per quanto riguarda Banche e Assicurazioni. Mi si consenta però di dire che spetta alla Magistratura, quando ciò è accaduto, non solo rimandare le parti in mediazione, ma tenerne adeguato conto al momento della liquidazione delle spese legali, anche iniziando a considerare tale comportamento ai sensi dell’art. 96 c.p.c., dato che il dover tornare in mediazione implica comunque un allungamento dei tempi, evitabile con il corretto comportamento di tutti fin dall’inizio.
Resta il problema (e cominciamo ad entrare nella seconda questione) di cosa fare quando in mediazione si presenta un funzionario della Banca (per fare un esempio), correttamente informato della pratica, che però dichiara fortemente di avere istruzioni di “non proseguire”. Mi chiedo a questo punto cosa possono fare mediatore e organismo, oltre ad avvisarlo di questo interessante filone di giurisprudenza che in pratica sostiene l’esistenza di una vera e propria obbligatorietà. La risposta è che non possono obbligarlo; non solo, a mia modestissima opinione, dato che si tratta di materia in cui gli interessi sono piuttosto chiari, obbligare chicchessia ad andare avanti nella mediazione, versando le indennità, sapendo bene che probabilmente non si arriverà ad alcun tipo di accordo, ci sembra forse una piccola forzatura. Ecco perché, forse, alcune materie, a mio modestissimo parere, non sono del tutto adatte alla mediazione mentre lo sono tante altre che invece sono state escluse dalla condizione di procedibilità.
Starà comunque al Magistrato al quale verrà assegnata la causa, come molti già hanno fatto e fanno, rimandare le parti in mediazione affinché questa venga svolta puntualmente.
Proseguendo nell’esame dell’ordinanza, non si può che essere d’accordo con il Tribunale quando statuisce che “L’ipotesi che la condizione di verifichi con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore per le informazioni appare particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice” e quando amplia tale affermazione anche con riferimento alla mediazione nelle materie in cui è prevista la condizione di procedibilità. Non si può non essere d’accordo con tale affermazione, sia per la nota e ormai acclarata considerazione per cui gli avvocati, anche in virtù del fatto che sono mediatori di diritto, sono assolutamente obbligati per dovere professionale a spiegare dettagliatamente ai loro clienti, cosa è la mediazione e come funziona; sia per quanto detto sopra a proposito della necessità della presenza delle parti stesse.
Il problema fondamentale resta, però, quello dell’effettività del tentativo di mediazione. I sostenitori dell’interpretazione della nuova normativa nel senso che la famosa parola “possibilità” accomunano tutte le recenti ordinanze in modo tale che, per loro, non solo le parti debbano essere presenti (e questo è pacifico), ma che esse debbano comunque versare le indennità di mediazione, a prescindere dalla loro valutazione sulla possibilità di mediare o meno, e che non esista un momento in cui esse debbano o possano dichiarare la loro volontà di proseguire.
Questa interpretazione non sembra del tutto corretta (anche se per chi crede veramente nella mediazione sarebbe preferibile), in quanto:
- a) alcune ordinanze, come quelle del dott. Moriconi del Tribunale di Roma, sono assolutamente decise sull’obbligatorietà della presenza delle parti, mentre non lo sono altrettanto sull’interpretazione della parola “possibilità” contenuta nel famigerato articolo 8 del D.lgs. 28/2010, come invece lo sono sull’effettività dello svolgimento della mediazione (nel senso che la presenza delle parti, indispensabile, deve consentire di entrare nel merito della questione);
- b) come detto, la previsione secca della parola “possibilità” come la semplice verifica della mancanza di ostacoli tecnici porterebbe al regime previsto dal D. Lgs. 28 prima delle modifiche a cura del Decreto del Fare e poi della legge di conversione, esponendo – forse – tutta la normativa a nuovi rischi di costituzionalità.
Ecco quindi che, a modesto parere di chi scrive, il provvedimento in esame e quei tanti provvedimenti che stanno seguendo lo stesso ragionamento, dovrebbero forse essere interpretati nel senso che non è possibile presentarsi in mediazione senza la presenza delle parti, magari con un legale (o peggio, con un suo sostituto); le parti dovranno necessariamente essere presenti, dovranno essere necessariamente state informate dai loro legali (mediatori di diritto), e dovranno certamente prendere parte attiva al procedimento di mediazione, assistite (e non rappresentate) da un avvocato. Ma, a mio modestissimo parere, ove tutte queste attività siano state compiute in modo corretto, ove le parti dichiarino di non voler proseguire non sarà possibile “obbligarle”, né peraltro questo mi sembra lo spirito della legge.
Peraltro, chi scrive, nelle oltre duecento procedure che ha immeritatamente condotto fino ad oggi, non ha mai parlato di “primo incontro” o di “incontro preliminare”, essendo intimamente convinto di due cose: la prima è che senza entrare nel merito le parti non possano decidere se esiste una possibilità di cercare un accordo; la seconda è che, molto spesso, sempre che le parti siano presenti come previsto dalla legge (art. 8: “le parti devono partecipare”), una volta che si sia entrati nel merito e che il mediatore abbia le giuste capacità, esse – anche se all’inizio convinte del contrario – cambiano idea e decidono di affrontare il tentativo di mediazione vero e proprio. In questo modo, senza porre la domanda secca – come, sbagliando gravemente, sempre a mio modesto parere – “volete proseguire”, si riesce molto spesso ad ovviare alle incertezze di una legge dalla difficile leggibilità, come dice l’ordinanza in commento e la giurisprudenza ormai unanime, e a far funzionare la mediazione. Nell’attesa e nella speranza che Giudici illuminati come la dott.ssa Breggia, il dott. Moriconi e tanti altri, insieme agli operatori professionali, contribuiscano a diffondere la cultura della mediazione e che il nostro Legislatore apporti delle modifiche alle norme, che vadano nello stesso senso.
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Luca Tantalo. Avvocato Cassazionista, si occupa da tanti anni di mediazione e di ADR in generale. Come mediatore, presso Adr Center, ha condotto e risolto oltre duecento procedure nei settori di diritto bancario e assicurativo, diritti reali, successioni, responsabilità medica, condominio ed r.c. auto, acquisendo una grande esperienza nella soluzione delle controversie nazionali e internazionali tra imprese e tra privati. La sua passione per la mediazione e per le ADR cresce di giorno in giorno, tanto che è diventato anche Formatore teorico-pratico accreditato dal Ministero della Giustizia ex D.M. 180/2010 per diversi Enti di Formazione Pubblici e Privati. Presidente del Comitato ADR & Mediazione, fondato nel 2012 per la diffusione della cultura delle ADR e della Mediazione in Italia, Paese che ne ha veramente tanto bisogno. Fondatore e membro della rivista ADRITALIA; Direttore della rivista La Nuova Giustizia Civile (ambedue edite da Primiceri Editore).
1 commento
“Resta il problema … di cosa fare quando in mediazione si presenta un funzionario della Banca (per fare un esempio), correttamente informato della pratica, che però dichiara fortemente di avere istruzioni di ‘non proseguire’. Mi chiedo a questo punto cosa possono fare mediatore e organismo, oltre ad avvisarlo di questo interessante filone di giurisprudenza che in pratica sostiene l’esistenza di una vera e propria obbligatorietà. La risposta è che non possono obbligarlo; non solo … dato che si tratta di materia in cui gli interessi sono piuttosto chiari, obbligare chicchessia ad andare avanti nella mediazione, versando le indennità, sapendo bene che probabilmente non si arriverà ad alcun tipo di accordo, ci sembra forse una piccola forzatura. Ecco perché, forse, alcune materie … non sono del tutto adatte alla mediazione mentre lo sono tante altre che invece sono state escluse dalla condizione di procedibilità”.
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Che non si possa obbligare le parti ad andare avanti nella mediazione è incontrovertibile.
Che nelle controversie bancarie (di cui mi occupo da alcuni decenni) gli interessi siano piuttosto chiari, è altrettanto incontrovertibile: per la banca recuperare il denaro prestato (ed evitare un ulteriore passaggio di posizione creditizia nella categoria sofferenze, con relativo oneroso accantonamento in conto capitale); per il debitore (se in buona fede) pagare interessi adeguati e, soprattutto, mantenere ossigeno finanziario in un momento nel quale (nella stragrande maggioranza dei casi) è in forte difficoltà.
Il problema (sempre limitando il discorso alle controversie bancarie) è che questi “veri” interessi quasi mai vengono portati in mediazione: non dalla banca, che ha ormai affidato la gestione della pratica all’Ufficio Contenzioso, che conosce solo due possibilità, consistente versamento a saldo e stralcio o rigido piano di rientro, assistito da firma di effetti cambiari; non dall’avvocato che assiste il debitore, che a volte non ha ben chiara l’operatività specifica del comparto sezionale del credito (per usare un’espressione di Massimo Severo Giannini).
Cosa fare ?
Prima del “primo incontro” contattare le parti ed avviare il dialogo, metodo operativo che pochissimi organismi di mediazione in Italia adottano.
Poi, utilizzare il “primo incontro” non (come giustamente sottolineato dall’Autore) per porre la domanda secca “volete proseguire”, ma cominciando per davvero la mediazione ( un po’ di volontariato non guasta), far emergere i “veri” interessi di cui sopra e (se necessario, utilizzando la tecnica valutativa spinta) formulare opzioni.
Da ultimo: la materia bancaria è una di quella che meglio si presta alla mediazione per il fatto che la maggior parte delle aziende di credito italiane sono “pluriprodotto” e sicuramente ne hanno qualcuno che può adattarsi alla situazione –anche critica- del loro cliente (purché, ripeto, in buona fede).
Altro elemento, cruciale, è utilizzare le tecniche negoziali prima che la situazione finanziaria del cliente si sia deteriorata del tutto. Ma questo è un argomento che esula dall’oggetto di questo scambio di idee.