Quasi 5 miliardi di euro investiti, 236mila avvocati, pochi giudici ed eccessiva durata dei procedimenti giudiziari – La fotografia della giustizia italiana secondo il rapporto CEPEJ
Ogni due anni, la Commissione europea per l’efficienza della giustizia (CEPEJ) stila un rapporto di valutazione del sistema giudiziario di ciascuno Stato europeo.
Rapporto CEPEJ 2022: i dati italiani
Il rapporto CEPEJ 2022 analizza i dati raccolti fino al 2020 e, con riferimento all’Italia, mette in evidenza alcuni particolari aspetti e criticità del sistema giudiziario del nostro Paese.
In via preliminare, lo studio evidenzia che, nel 2020, le istituzioni italiane hanno investito nel sistema giustizia quasi 5 miliardi di euro, una somma corrispondente allo 0,30% dell’intero prodotto interno lordo, una percentuale in linea con quella degli altri Stati europei. Questo budget viene utilizzato principalmente per soddisfare le esigenze dei giudici dei tribunali (65%), in particolare per lo sviluppo dei sistemi informatici e della formazione, mentre il 28% serve a finanziare le Procure della Repubblica e il 7% è destinato a garantire il servizio di patrocinio a spese dello Stato.
Uno dei dati che maggiormente cattura lo sguardo nel rapporto CEPEJ 2022 sulla giustizia italiana è il numero di avvocati presenti nel nostro Paese, ben 236.000, pari a quasi un quinto del numero complessivo di professionisti legali presenti in tutta Europa. Viceversa, il numero di giudici operanti in Italia è di soli 12 ogni 100.000 abitanti, un rapporto inferiore rispetto alla media europea; il dato, però, non tiene conto degli oltre 3.500 giudici non professionali – i giudici di pace – attivi sul nostro territorio.
La lunghezza dei procedimenti
Nella parte dello studio che si focalizza maggiormente sull’efficienza del sistema giudiziario italiano, non poteva che venir fuori il più annoso e caratterizzante problema dei nostri tribunali, cioè la lunghezza dei procedimenti, specialmente nel settore civile e penale, in tutti e tre gradi di giudizio.
Nel dettaglio, il rapporto evidenzia che la durata media di un giudizio di primo grado è di circa due anni in ambito civile, un anno e mezzo nel penale e più di due anni nel settore amministrativo.
Considerando il secondo grado di giudizio, invece, i tempi di attesa per arrivare alla fine del procedimento sono di circa tre anni, sia nel civile che nel penale.
Secondo lo studio, infine, i tempi di definizione del giudizio davanti alla Corte di Cassazione si dilaterebbero decisamente nel settore civile, sfiorando i cinque anni, mentre sarebbero inferiori ai dodici mesi nel settore penale. Due anni, invece, la durata media del giudizio davanti al Consiglio di Stato nel settore amministrativo.
Mediazione e Adr: le possibili soluzioni
Il problema dell’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari e del sovraccarico di lavoro dei tribunali trova soluzione con le ADR, cioè con la mediazione obbligatoria e gli altri sistemi di risoluzione alternativa delle controversie.
A questo riguardo, il rapporto CEPEJ 2022 evidenzia come l’Italia sia uno dei pochi Paesi in Europa a prevedere la mediazione obbligatoria sia nella fase di instaurazione della controversia, come condizione di procedibilità prima del giudizio in determinate materie, sia come strumento ordinato dal giudice nel corso del giudizio, quando questi ritenga che vi siano le condizioni per conciliare la causa (si tratta della mediazione su ordine del giudice o mediazione demandata, di cui all’art. 5 comma 2 del d. lgs. 28/2010).
Secondo i dati dello studio della Commissione, nel 2020 le mediazioni avviate in Italia sono state oltre 60.000, ma un accordo è stato raggiunto dalle parti solamente in circa 15.000 casi.