SEZ. IV
Rg. n. 544/2014
Udienza del 11 febbraio 2014
Memoria di costituzione
Per: L’Organismo di mediazione ADR Center srl (P.I. 03535970879), con sede legale in Roma, Via Marcantonio Colonna n. 54, in persona del legale rappresentante pro tempore, Dr. Leonardo D’Urso (C.F. DRSLRD68P25C351J), rappresentato e difeso dall’Avv.to Luca Tantalo (C.F. TNTLCU66A12H501V), in virtù di procura in calce al presente atto, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Germanico 168, nr. di telefax 0636004651, PEC lucatantalo@ordineavvocatiroma.org,
– Interveniente ad opponendum –
nel ricorso in appello
Rg. n. 544/2014
proposto dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana – OUA – in persona del Presidente pro tempore, e altri, rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. Giorgio Orsoni (CF. RSNGRG46M29L736M), Mariagrazia Romeo (CF. RMOMGR66E67F537K) e Mario Sanino (CF. SNNMRA38E03H501M) ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Viale Parioli 180.
– Appellanti –
Contro:
Il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore;
Il Ministero dello Sviluppo economico, in persona del Ministro pro tempore.
– Resistenti –
E con l’intervento di:
Associazione Avvocati per la Mediazione, in persona del Presidente pro tempore;
Associazione degli Avvocati Romani, in persona del Presidente pro tempore;
Associazione Agire e Informare, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Dorodea Ciano e Giampiero Amorelli;
Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, in persona del Presidente pro tempore;
Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti, in persona del Presidente pro tempore;
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze, in persona del Presidente pro tempore;
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno, in persona del Presidente pro tempore;
– Intervenienti –
per la riforma dell’Ordinanza del TAR per il Lazio n. 4872/2013 e, per l’effetto, per l’annullamento, previa sospensione, del decreto del Ministro di Giustizia adottato di concerto con il Ministro per lo Sviluppo economico n. 180 del 10 ottobre 2010, pubblicato sulla GU n. 258 del 4 novembre 2010, avente a oggetto “Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’art. 16 del Decreto Legislativo n. 28 del 2010”, e la dichiarazione della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 del D. lgs. n. 28 del 4 marzo 2010 in riferimento agli artt. 77 e 24 della Costituzione e, per l’effetto, sospensione del processo e rinvio alla Corte Costituzionale.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso in appello, notificato in data 17 gennaio 2014, l’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana ha chiesto al Consiglio di Stato di riformare l’Ordinanza del TAR Lazio n. 4872/2013 e, per l’effetto, annullare, previa sospensione, il succitato DM 180/2010, nonché dichiarare la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 del D. lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in riferimento agli artt. 77 e 24 della Costituzione e, di conseguenza, sospendere il processo e rinviare alla Corte Costituzionale.
Con questa memoria, la società ADR Center srl si costituisce nel presente giudizio contestando i predetti motivi di appello e le memorie avversarie con le seguenti argomentazioni in diritto.
A) Sull’uso (corretto) del Decreto legge per far ripartire la mediazione delle liti in Italia
- Nell’attuale congiuntura economica e sociale, negare che le misure introdotte con il Decreto intitolato “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, noto come il “Decreto del fare”, fossero necessarie e urgenti è a dir poco sorprendente. Con riferimento all’oggetto di questo procedimento, per un vizio solo formale (eccesso di delega, limitatamente al meccanismo della condizione di procedibilità) la sentenza della Corte Costituzionale nr. 272, del 24 ottobre 2012, aveva di fatto sancito la fine dell’attività di mediazione, come aveva dimostrato il crollo verticale delle procedure avviate dopo quella data, e la chiusura di centinaia di organismi di mediazione, tra cui i prima attivissimi organismi forensi e quelli privati creati da numerosi gruppi di avvocati e professionisti.
- L’obiettivo del legislatore di dare concreta attuazione alla Direttiva 2008/52/EC, e così di contribuire a decongestionare la giustizia civile in Italia anche grazie alla mediazione, era quindi stato frustrato solo per una questione di tecnica normativa.
- Inoltre, e assolutamente fondamentale per l’intero Paese, l’uscita dell’Italia dalla procedura d’infrazione avviata dalla Commissione europea per deficit eccessivo era espressamente condizionata, tra le altre riforme in materia di giustizia civile, alla re-introduzione della mediazione. Il 29 maggio 2013, la Raccomandazione del Consiglio europeo sul programma nazionale di riforma 2013 dell’Italia, con il parere del Consiglio sul programma di stabilità dell’Italia 2012-2017, predisposta dalla Commissione europea, recitava infatti: “occorre completare la riforma della giustizia civile dando rapidamente attuazione alla riorganizzazione dei tribunali, abbreviando la durata eccessiva dei procedimenti e riducendo il volume dell’arretrato e il livello di contenzioso. A seguito della sentenza della Corte costituzionale dell’ottobre 2012 sulla mediazione, è necessario intervenire per promuovere il ricorso a meccanismi extragiudiziali di risoluzione delle controversie”. (cfr. http://ec.europa.eu/europe2020/pdf/nd/csr2013_italy_it.pdf) (Doc. 1 allegato).
- Scontato quindi che si potesse, e anzi si dovesse, agire con la massima urgenza per riavviare la mediazione, il legislatore ha correttamente scelto l’unica politica del diritto che la stessa esperienza italiana aveva mostrato poter funzionare: superare il fallimentare modello della mediazione solo volontaria o, al limite, suggerita dal giudice.
- Raffrontando il numero esiguo di mediazioni nel contesto normativo: i) anteriore al D. Lgs. 28/2010; ii) successivo al D. Lgs. 28/2010, ma precedente la sua “fase obbligatoria” (marzo 2010 – marzo 2011); e iii) intercorrente tra la citata decisione della Consulta e il 21 settembre 2013, da una parte, con le oltre 220 mila procedure avviate quando la mediazione era condizione di procedibilità (marzo 2011 – ottobre 2012), dall’altra parte, la scelta del legislatore per un modello di mediazione quale quello introdotto con il Decreto del fare era semplicemente inevitabile.
- La riprova della bontà di questa scelta si è avuta – appunto – dal 21 settembre 2013, con l’entrata in vigore delle nuove norme: l’attività di mediazione è ripresa a pieno regime al punto che, il 15 novembre 2013, il Presidente del CNF si è compiaciuto pubblicamente della presenza di 122 organismi di mediazione forense, definendoli “un buon risultato, con margini di ulteriore miglioramento”.
- Sempre in merito all’uso dello strumento del Decreto legge, è evidente che la scelta di rinviare l’entrata in vigore delle nuove norme in materia di mediazione sia stata giuridicamente corretta, e assai provvida dal punto di vista organizzativo. A causa della sospensione feriale, infatti, il Decreto del fare, approvato a fine giugno, non avrebbe comunque potuto causare la ripresa della mediazione prima del 15 settembre 2013 (le statistiche ministeriali mostrano che le mediazioni dipendono all’83% dalla condizione di procedibilità, e quindi sono temporalmente collegate all’attività processuale; cfr. http://webstat.giustizia.it/AreaPubblica/Analisi%20e%20ricerche/Mediazione%20civile%20primo%20trimestre%202013.pdf). Inoltre, la pausa estiva ha dato agli operatori pubblici e privati della mediazione il tempo di riorganizzarsi e, in molti casi, di riaprire. Qualora il legislatore avesse agito diversamente, durante le poche settimane tra l’entrata in vigore del Decreto del fare e l’inizio della sospensione feriale non vi sarebbe stata, in molte città, la possibilità materiale di rivolgersi a un organismo di mediazione.
- In proposito, va poi osservato che la sentenza della Consulta richiamata dalla parte appellante (nr. 220/2013), relativa all’abolizione delle province, ha assai poco a che vedere con il caso di specie, per almeno tre motivi evidenti.
- In primo luogo, la sentenza in discorso riguarda una modifica ordinamentale molto importante, quale quella delle autonomie locali, e non la modesta introduzione di una condizione di procedibilità gratuita che può essere soddisfatta in soli trenta giorni (da chi non voglia neanche tentare di mediare). La nuova mediazione si limita infatti ad attuare – per alcuni in modo anche troppo timido – il dettato comunitario in un ambito comunque specifico, e con aspettative contenute. Grazie all’insieme delle riforme in materia di giustizia introdotte con il Decreto del fare – mediazione, ma anche giudici ausiliari e altre misure ancora – il Governo stima infatti che la riduzione delle pendenze sarà di 200 mila all’anno per un quinquennio. Asserire in questo contesto, come fa l’appellante, che la nuova mediazione comporti una “trasformazione radicale dell’intero sistema processuale” pare pertanto una forzatura non da poco, nella migliore delle ipotesi.
- In secondo luogo, l’operatività delle disposizioni censurate dalla Consulta in quell’occasione era stata concretamente rinviata di ben un anno e mezzo (l’efficacia di alcune di quelle norme, approvate a luglio 2012, era sin dall’inizio rinviata di sei mesi e, per effetto di un provvedimento legislativo a fine di quell’anno, veniva poi sospesa sino al 31 dicembre 2013!), rispetto alle poche settimane nel caso del Decreto del fare.
- In terzo luogo, oltre a essere rinviate complessivamente di 18 mesi, le norme introdotte dal Decreto legge sull’abolizione delle province miravano, nelle parole della Consulta, a “realizzare una riforma organica e di sistema, che … richiede processi attuativi necessariamente protratti nel tempo, tali da poter rendere indispensabili sospensioni di efficacia, rinvii e sistematizzazioni progressive”. Nulla di tutto questo nel caso del Decreto del fare, ove il brevissimo rinvio dell’operatività delle norme non presuppone alcun processo attuativo, ma è determinato dalla mera coincidenza temporale tra la pubblicazione del provvedimento e il periodo di sospensione feriale.
B) Sulla (perfetta) compatibilità con il diritto comunitario del novellato articolo 5 del D. Lgs n. 28/2010
- È singolare che l’appellante contesti poi la costituzionalità del nuovo articolo 5 del D. Lgs. 28/2010 invocando la Direttiva 2008/52/EC. Difatti, sia la lettera di quella Direttiva sia le politiche comunitarie più recenti in materia risoluzione alternativa delle controversie sbarrano completamente quella strada interpretativa.
- L’art 5, comma 2, della Direttiva impone agli Stati Membri di introdurre la mediazione nei rispettivi ordinamenti giuridici, se del caso anche in forme obbligatorie, “purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”. Ora, poiché la mediazione volontaria – per definizione – preclusiva dell’accesso non può mai essere, è evidente che il legislatore europeo, parlando di una “mediazione non preclusiva”, chieda ai parlamenti nazionali di introdurre forme di mediazione non volontaria. Diversamente, la disposizione si porrebbe tra il tautologico e il ridondante, poiché agli Stati Membri verrebbe allora richiesta – svolgendo il concetto – una “mediazione non preclusiva … purché non preclusiva …”. È canone ermeneutico noto che le norme s’interpretano in modo che esse abbiano senso; la conseguenza, in questo caso, è la lettura di un chiaro favor comunitario per una mediazione non solamente volontaria.
- Il senso profondo della Direttiva, e la conseguente ferma presa di posizione del legislatore europeo perché essa non resti lettera morta, meritano d’essere sottolineati. Quasi dieci anni dopo il Consiglio di Tampere del 1999, ove aveva deciso di promuovere le forme di risoluzione alternativa delle controversie, l’Ue constata nel 2008 che le politiche di sviluppo della mediazione si sono rivelate fallimentari, considerata la percentuale minuscola di controversie mediate ogni anno, in rapporto al numero delle cause civili. Da qui l’ovvia conseguenza di esigere dagli Stati Membri, con l’articolo 1 della Direttiva, politiche che – secondo le decisioni dei singoli paesi, in omaggio al principio della “sussidiarietà” – comunque portino a “un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario”, ossia a un numero minimo di mediazioni rispetto a quello dei processi che si celebrano annualmente.
- Che tale sia l’interpretazione corretta della Direttiva, e che questa possa ritenersi persino violata negli Stati Membri ove la mediazione non è utilizzata a sufficienza, l’ha chiarito lo stesso Parlamento europeo l’11 dicembre del 2012, in un’interrogazione al vice Presidente della Commissione, ove si chiede all’esecutivo di Bruxelles di valutare azioni legali contro gli Stati Membri che non abbiano raggiunto gli obiettivi concreti fissati dalla Direttiva, ossia i paesi ove il numero di mediazioni resta troppo basso rispetto a quello dei processi civili (cfr. http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+OQ+O-2012-000169+0+DOC+XML+V0//IT).
- A ulteriore conferma di questa interpretazione, è sufficiente citare due provvedimenti normativi al momento in fase di discussione in sede Ue che, partendo dalla necessità di potenziare il ricorso alle forme di ADR, prevedono espressamente l’obbligo di partecipare alle procedure alternative. Tanto prevede la proposta di revisione dell’articolo 11 della Direttiva 2002/92/EC in materia di assicurazioni (cfr. http://ec.europa.eu/internal_market/insurance/docs/consumers/mediation/20120703-directive_en.pdf); lo stesso fa, all’articolo 15, la proposta di Regolamento comunitario sulle informazioni chiave in materia di prodotti d’investimento (cfr. http://ec.europa.eu/internal_market/finservices-retail/docs/investment_products/20120703-proposal_en.pdf). Si noti che entrambe le proposte configurano un tentativo obbligatorio e “completo” di conciliazione, diversamente da quanto prevede il novellato art. 5 del D. Lgs. 28/2010 che, come già ricordato, richiede solo la partecipazione a un incontro gratuito con il mediatore, da svolgersi entro 30 giorni dalla richiesta della procedura, restando le parti libere di decidere se entrare o meno nel vivo della mediazione, e quindi di affrontarne i costi (e gli ulteriori 60 giorni di durata massima).
- Infine, come ha riportato la stampa nazionale (Corriere della Sera e Sole 24 Ore) (Doc. 2 e 3 allegati), qualche settimana fa lo stesso relatore della Direttiva sulla mediazione, la parlamentare europea Arlene McCarthy, in una lettera ufficiale indirizzata al Ministro Cancellieri si è complimentata per la normativa italiana sulla mediazione, indicata come “esempio da cui tutta l’Europa deve imparare” (Doc. 4 allegato).
C) Sulla legittimità costituzionale del novellato art. 5 del D. Lgs. 28/2010
- Chiarito l’aspetto della legittimità dello strumento del Decreto legge, e sottolineato l’obbligo comunitario per l’Italia di far sì che la mediazione abbia uno spazio adeguato e concreto, va ora illustrata la compatibilità del nuovo articolo 5, e in generale del modello vigente di mediazione, con il diritto interno.
- L’originaria versione dell’art. 5 del D. Lgs. 28/2010 discendeva dall’articolo 60 della Legge delega 69/2009. Questo articolo, pressoché identico a quello della Direttiva europea, prescrivendo una mediazione non preclusiva dell’accesso alla giustizia, se interpretato come indicato supra (paragrafo B-2.), conduceva già a ritenere che il legislatore delegato fosse tenuto ad attuare un modello di mediazione non solamente volontaria. Del resto, che le ambizioni della Legge delega fossero ben maggiori della riproposizione di norme rivelatesi inefficaci (dalla legge 580/93 sino a tutte quelle precedenti il D. Lgs. 28/2010), si deduce dalla medesima rubrica dell’articolo, che significativamente parla di una “riforma della mediazione”.
- Come noto, la Corte Costituzionale ha interpretato l’articolo 60 della Legge delega in modo diverso, senza tuttavia pronunciarsi in merito al punto sostanziale, ossia se il vecchio articolo 5 precludesse o meno l’accesso alla giustizia. L’analisi del testo precedente di questo articolo può comunque arrestarsi qui, poiché quello attuale è radicalmente diverso e presenta caratteristiche che, prima facie, ne dimostrano la totale compatibilità anche con il principio costituzionale dell’accesso alla giustizia.
- In primo luogo, il nuovo modello di mediazione non è sostanzialmente obbligatorio. La condizione di procedibilità è infatti assolta con la mera partecipazione a un primo incontro (art. 5, comma 2 bis), gratuito (art. 17, comma 5 ter) e non oltre 30 giorni dalla domanda di mediazione (art. 8, comma 1), senza cioè che sia obbligatorio esperire un vero e proprio tentativo di conciliazione. Difatti, “Il mediatore [durante il primo incontro gratuito] invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento” (art 8, comma 1). Pertanto, solo se tutte le parti lo vogliono la mediazione può effettivamente avere luogo (questo accadrà, verosimilmente, solo quando i litiganti intravvedano la possibilità di una soluzione positiva, anche in ragione della persona e delle qualità mostrate dal mediatore durante quel primo incontro, e dei costi della procedura). In caso contrario, le parti possono rivolgersi immediatamente al giudice senza alcuna conseguenza negativa, di tipo economico o processuale. Resta poi salva la possibilità di non presentarsi nemmeno a quel primo incontro gratuito, senza incorrere in sanzioni di alcuna sorta, fornendo al giudice del successivo processo un giustificato motivo.
- Tecnicamente, pertanto, non si può più parlare di “giurisdizione condizionata”. Di conseguenza, il nuovo modello di mediazione non determina alcuna “… influenza da parte di situazioni preliminari e pregiudiziali sull’azionabilità in giudizio di diritti soggettivi e sulla successiva funzione giurisdizionale statuale …”, secondo la formula elaborata dal TAR del Lazio nell’ordinanza di rinvio alla Consulta.
- In sostanza, il nuovo modello di mediazione impone solo di considerare seriamente la possibilità di un tentativo di conciliazione, per giunta – ora – in un novero anche più limitato di materie.
- In secondo luogo – e altro argomento da solo dirimente – la nuova mediazione è “diritto sperimentale”. L’attuale modello di mediazione sarà infatti soggetto a una prima verifica già il prossimo anno– con la possibilità quindi di modificarlo o addirittura abrogarlo allora, se non avrà dato nei fatti buona prova di sé – e in ogni caso terminerà nel 2017.
- In terzo luogo, è ora prescritta la presenza necessaria dell’avvocato in tutte le fasi della procedura, a maggior garanzia delle decisioni (per altro frutto dell’autonomia privata) che le parti possano assumere per regolare i propri diritti disponibili in sede stragiudiziale. In questo contesto, appare ancor più incomprensibile l’insistito richiamo, ad opera dell’appellante, a presunte violazioni del “diritto alla difesa”, che di per sé non hanno motivo di esistere in un procedimento bonario come la mediazione, il cui esito negoziato deve essere espressamente accettato da tutte le parti coinvolte.
- Infine, la “proposta del mediatore” può avvenire ora solo nell’ambito di una procedura volontaria di mediazione, ossia dopo il primo incontro (destinato unicamente a verificare che vi siano le condizioni perché la mediazione vera e propria possa svolgersi).
D) Sui dubbi (infondati) di legittimità del DM 180/2010
- I dubbi in merito al DM 180/2010 si erano principalmente posti, nell’ordinanza di rinvio alla Consulta da parte del TAR Lazio, in relazione alla possibilità che una disciplina comunque incidente sui diritti dei litiganti, quale la ex “mediazione obbligatoria”, potesse essere introdotta con un decreto delegato in assenza di un chiaro ed esplicito mandato del Parlamento. E il Giudice delle Leggi ha concordato con quella interpretazione. Mutata radicalmente la normativa secondaria, e soprattutto obliterato il modello della mediazione obbligatoria, quei dubbi non possono che venir meno automaticamente. Il DM in discorso non va comunque annullato per altri evidenti motivi specifici.
- L’appellante, infatti, pare ignorare che la disciplina del DM 180/2010 sia stata profondamente innovata dal Decreto del 6 luglio 2011 n. 145 – “Regolamento recante modifica al DM 18 ottobre 2010, n. 180, sulla determinazione dei criteri e modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché sull’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’art. 16 del D. lgs. 28/2010”, pubblicato nella G.U. n. 197 del 25 agosto 2011.
- Tra le misure apportate dal DM 145/2011 per rafforzare la qualità del servizio di mediazione, rendendolo al contempo meno oneroso, si ricordano: la vigilanza sugli organismi affidata all’ispettorato generale del Ministero della giustizia (art. 3); l’obbligo per i mediatori, oltre alla formazione di base e l’aggiornamento periodico, di compiere un tirocinio biennale (gratuito) consistente nella partecipazione a 20 casi di mediazione gestiti da altri mediatori (art. 4); la previsione di criteri inderogabili per la nomina dei mediatori, rispettosi della specifica competenza professionale, desunta anche dal tipo di laurea posseduta (art. 7); la riduzione delle indennità di mediazione sino alla metà, per certi scaglioni; l’abbassamento delle spese di avvio per tutti gli scaglioni di valore (art. 16, comma 4); l’obbligo per l’organismo di mediazione di svolgere la procedura, nelle materie (chiamate in gergo) “obbligatorie” anche qualora le parti non versino la quota di indennità nei tempi previsti (art. 16, comma 9); e soprattutto, la derogabilità degli importi minimi di ciascuno scaglione (art. 16, comma 14), che lascia intravvedere la prospettiva, per gli organismi finanziati in modo diretto o indiretto con il denaro pubblico, di una mediazione anche interamente gratuita (nel senso della gratuità anche per la fase successiva al primo incontro) (Doc. 5 allegato).
- Questa rassegna delle principali novità introdotte nel DM 180/2010 dal DM 145/2011 mostra, oltre all’illogicità in sé di annullare un provvedimento divenuto marcatamente diverso, l’assoluta idoneità delle norme a garantire sia la qualità degli organismi di mediazione sia la professionalità e formazione teorico-pratica (anche continua) dei mediatori per gli affari loro affidati. Senza dimenticare che, per i motivi sopra illustrati, l’attività di mediazione non si svolge più in un contesto di obbligatorietà, restando le parti libere di abbandonare la procedura nel corso del primo incontro, senza più alcun costo e senza il rischio di conseguenze negative, economiche e/o processuali.
- Infine, il Ministro della Giustizia ha di recente comunicato al Parlamento che una bozza di DM ulteriormente migliorativo della disciplina della mediazione è stato già trasmesso al Ministero per lo Sviluppo Economico, rendendo quindi l’odierno procedimento ancora meno comprensibile, e tanto meno urgente (Doc. 6 allegato).
E) Sull’istanza di sospensione
- La sospensione di un provvedimento perfettamente legittimo come il DM 180/2010, per giunta migliorato in parti determinanti dal successivo DM 145/2011 (e oggetto di imminenti, ulteriori migliorie), nel quadro di una normativa superiore assai diversa da quella precedente, rende la richiesta di sospensione irragionevole e infondata tanto in riferimento al fumus boni iuris, per le argomentazioni dianzi esposte, quanto alla sussistenza del periculum in mora, formulata dall’appellante in termini assolutamente generici e persino illogici.
- In proposito, corre dapprima l’obbligo di ribadire la circostanza che una procedura pre-contenziosa gratuita e connotata come condizione di procedibilità (non già di proponibilità) non frappone alcun ostacolo all’accesso immediato alla giurisdizione. Pertanto, il modello italiano di mediazione, che in talune materie richiede, per un periodo limitato di tempo, unicamente di valutare l’opportunità o meno di tentare una mediazione, non rappresenta una forma di giurisdizione condizionata. Quest’ultima, in ogni caso, per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale è pienamente legittima quando il Legislatore persegua interessi generali e non renda la tutela giurisdizionale eccessivamente gravosa (in quest’ottica, anche la precedente formulazione dell’articolo 5 del D. Lgs. 28/2010 era quindi da ritenersi, nella sostanza, del tutto legittima).
- Infine, ma solo ad abundantiam, va segnalata la trappola argomentativa in cui va a cacciarsi l’appellante a proposito dei requisiti di gravità e irreparabilità, requisiti che la natura meramente patrimoniale dell’interesse per cui la cautela è richiesta esclude senza dubbio. Infatti, dedurre a contrario che la natura non patrimoniale dell’interesse da proteggere determini in modo automatico la sussistenza del periculum in mora è semplicemente illogico, finendo per escludere, nella pressoché totalità dei casi, il vaglio del giudice circa l’esistenza dei requisiti di gravità e irreparabilità: inutile in presenza di interessi esclusivamente patrimoniali, secondo l’appellante il vaglio sarebbe tale anche in presenza di diritti costituzionalmente protetti. Ad ogni buon conto, nel caso di specie occorrerebbe poi capire di quali diritti si tratti, visto che né il diritto di accesso immediato alla giustizia, né quello alla difesa, possono essere in alcun modo infranti da un procedura pre-contenziosa, gratuita e rapidissima, che non ha natura di condizione di proponibilità dell’azione civile, per di più con la presenza necessaria degli avvocati.
F) Sulla temerarietà della lite intentata dalla parte appellante
- La natura temeraria della lite promossa dall’appellante è palese sotto diversi profili. In primo luogo, parte avversa fa ripetutamente le mostre di ignorare che il D. lgs. 28/2010 e il DM 180/2010 siano radicalmente cambiati in aspetti qualificanti della disciplina, non peritandosi di affermare che le medesime censure sollevate contra la formulazione precedente delle norme in disamina sarebbero tutt’ora valide. In verità, equiparare un tentativo obbligatorio completo e oneroso di mediazione della durata di 4 mesi, da svolgersi senza la presenza necessaria dell’avvocato, a un mero incontro preliminare gratuito della durata massima di soli 30 giorni (per chi non voglia neanche tentare la mediazione), per giunta ora con la presenza obbligatoria dell’avvocato, è solo eufemisticamente temerario.
- La temerità della lite è poi smaccata sol che si pensi alla censura rivolta al giudice di prime cure per aver chiesto tempo al fine di “esaminare le nuove questioni di costituzionalità”, quale l’asserito abuso dello strumento del decreto legge, questione nuova che la stessa parte appellante ha sollevato!
- E che dire della fantasiosa lettura della Direttiva europea sulla mediazione, il cui riferimento all’obiettivo di garantire un migliore accesso alla giustizia porta l’appellante (a pagina 22) a chiedersi se l’obbligo di un incontro preliminare gratuito con il mediatore sia compatibile con il diritto dell’Ue, quando lo stesso Legislatore comunitario dichiara che la Direttiva:
– ha “l’obiettivo di facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione …” (art. 1); e soprattutto,
– “lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario …” (art. 5, comma secondo).
Con particolare riferimento alla seconda disposizione della Direttiva sopracitata, la sola cosa da chiedersi effettivamente è, in Italia, che tipo di “ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni” sia astrattamente concepibile per l’appellante, se nemmeno un incontro preliminare gratuito, entro un mese dall’avvio della procedura, sarebbe giuridicamente esigibile per tentare “di facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie” e quindi contribuire, anche solo in piccola parte, a migliorare l’efficienza del più ampio sistema di gestione e risoluzione della conflittualità civile di un paese.
- Infine, nell’appello si perde il conto degli allarmati richiami al “diritto alla difesa”, che si stenta obiettivamente a capire come possa essere violato in alcun modo dalla normativa impugnata, nel contesto di un procedura bonaria, a natura volontaria, e con la presenza obbligatoria degli avvocati.
Conclusioni
Per tutti i motivi sopra illustrati, contestando integralmente tutto quanto ex adverso affermato e dedotto, poiché infondato in fatto e in diritto, si chiede a Codesto Ecc.mo Consiglio di Stato di:
– confermare l’Ordinanza del TAR Lazio 4872/2013;
– rigettare la richiesta dei ricorrenti di annullamento, previa sospensione, del DM 180/2010;
– dichiarare manifestamente infondata la sollevata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 5 del D. lgs. 28/2010 in riferimento agli artt. 77 e 24 della Costituzione;
Con ogni conseguenza di legge anche in ordine alle spese e onorari di giudizio, e alla condanna alla sanzione pecuniaria di cui all’art. 26, comma 2, del codice del processo amministrativo.
Roma, 5 febbraio 2014 Avv.to Luca Tantalo
Si depositano in copia i seguenti documenti:
- Raccomandazione di RACCOMANDAZIONE DEL CONSIGLIO sul programma nazionale di riforma 2013 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità dell’Italia 2012-2017 – Bruxelles, 29.5.2013COM(2013) 362 final.
- Articolo de Il Corriere della Sera del 16 gennaio 2014.
- Articolo de Il Sole 24 Ore del 16 gennaio 2014.
- Lettera dell’On. Arlene McCarthy, Vice Presidente della Commissione affari economici e monetari del Parlamento europeo.
- Stralci del DM 180/2010, come modificato dal DM 145/2011.
- Estratto della comunicazione del Ministro Cancellieri alle Camere circa l’avvenuta trasmissione al Ministero dello Sviluppo Economico di un bozza di DM di modifica del DM 180/2010.