La confidenzialità è alla base della conciliazione. Derogare a tale principio significa regredire di 20 anni!
Una recente pronuncia della Corte d’Appello (caso Rojas c. Corte della Contea di Los Angeles, 9 ottobre 2002) ha compromesso l’inviolabile principio della riservatezza nella conciliazione.
Il caso è sorto dall’azione intentata da un gruppo di inquilini, che ha contestato al proprietario dello stabile la presenza di difetti di costruzione e di sostanze tossiche nell’edificio, presunta causa di danni alla salute.
I ricorrenti hanno richiesto l’esibizione di un fascicolo preparato precedentemente dal proprietario, che conteneva fotografie e altri elementi di prova sulle sostanze tossiche. L’istanza fa scalpore, se si considera che quel medesimo fascicolo era stato utilizzato in precedenza per una conciliazione alla quale gli inquilini non avevano preso parte.
Come prevedibile, la difesa si è opposta alla richiesta del fascicolo fotografico, invocando il principio della riservatezza nella conciliazione, sancito nella sezione 1119 dell’Evidence Code. Nonostante ciò, la Corte ha disposto che il fascicolo fosse ugualmente consegnato agli inquilini. Secondo la Corte, infatti, il principio di riservatezza tutela i contenuti della conciliazione, quali le trattative e i contenuti delle discussioni, ma non concerne gli elementi probatori, gli oggetti materiali offerti e nel caso di specie, le fotografie contenute in un fascicolo. Pertanto, considerato che gli inquilini non potevano avvalersi di nessun altro elemento probatorio per ottenere le informazioni e dimostrare i propri diritti, la Corte ha ritenuto che fosse più opportuno sacrificare il principio della riservatezza e favorire la ricerca di giustizia.
La motivazione addotta dalla Corte in realtà è stato il pretesto per poter ridefinire gli standard della confidenzialità , e per determinare quali informazioni possano essere diffuse. Sembrerebbe infatti che nel caso concreto, la Corte sia stata persuasa a disapplicare la sezione 1119 dell’Evidence Code pur non ricorrendone i presupposti.
Il giudice non ha considerato alcuni fattori. Se il problema fosse stato realmente così intollerabile come i ricorrenti sostenevano, essi non avrebbero atteso tanto prima di proporre l’azione legale. Come si suol dire, sono le vicende difettose a fare la legge difettosa e sono i giudici deboli che rendono la legge ancor più difettosa.
Quali sono gli effetti di tale pronuncia sulla conciliazione? Tanto per cominciare, il libero scambio di informazioni che è alla base della conciliazione ne risulta minacciato. Le parti, infatti, d’ora in poi dovranno temere che le informazioni scambiate durante la conciliazione possano essere diffuse in una successiva controversia, e di conseguenza ridurranno la quantità di notizie da riferire nella sessione privata. Tutto ciò si tradurrà in minore scambio di informazioni.
La disapplicazione del principio di riservatezza, anche per casi eccezionali, configura un abuso di potere da parte dei giudici. Ora i giudici hanno la possibilità di valutare le informazioni che possono essere divulgate, nella stessa maniera in cui possono determinare quali informazioni sono protette dal segreto istruttorio in quanto costituiscono il risultato del lavoro dell’avvocato.
Con tale pronuncia la Corte, oltre a compromettere il principio solenne della confidenzialità , non ha considerato le conseguenze che ne deriveranno nel lungo periodo. Questa decisione fa regredire la conciliazione di 20 anni.
(Maria Chiara Porta)