Nel 2001 le richieste di risarcimento danni avviate da pazienti nei confronti di medici operanti sul territorio italiano sono state 12 mila. Oggi secondo i dati Ania le denunce sono 30 mila, con un trend di crescita del 150%. La responsabilità professionale del medico rappresenta il 5% dell’intero ramo della responsabilità civile trattato dalle assicurazioni private e secondo le stime il totale dei danni provocati da malpractice è di 260 milioni di euro. Diminuiscono gli esposti nei confronti delle strutture sanitarie e crescono quelli contro i medici. I pazienti non si fidano più troppo di chi li ha in cura e cercano informazioni online. L’aumento delle richieste di danni per malpractice ha provocato il diffondersi della medicina difensiva con conseguente ripercussione su costi, accessibilità e qualità tecnica delle prestazioni sanitarie.
Il punto centrale nella valutazione di tali preoccupanti dati sembra essere rappresentato dal deterioramento del rapporto tra medico e paziente, che, complice una maggiore consapevolezza dei diritti acquisita dal consumatore e il venir meno del cd. timore reverenziale, non sembra essere più quello di una volta. Il malato si fida di meno e chi lo cura invece non è sereno perché ha paura di una denuncia. Eppure secondo il giudizio di autorevoli rappresentanti del corpo medico qualche minuto in più durante la visita o prima di un intervento potrebbe risultare determinante per ridurre la conflittualità. Una buona anamnesi permette un rapporto di fiducia e favorisce oltretutto una corretta diagnosi. Basti pensare che secondo studi recenti, grazie alle tecnologie introdotte nel mondo della medicina, il tempo medio di una visita è di 10-12 minuti; basterebbe portarlo a 15-18 minuti per far sentire il paziente più ascoltato e meno solo con la propria malattia.
Allo stesso modo una corretta informazione orale circa i rischi connessi ad un intervento operatorio, troppo spesso svilita a ruolo di prassi burocratica, determinerebbe un reale consenso da parte del paziente, e dunque, una inequivoca accettazione del rischio in ordine ad eventuali complicanze connesse con l’attività. Sulla scorta di tali considerazioni la responsabilità medica si candida come materia dove maggiormente possono emergere i benefici della conciliazione introdotta dal nuovo decreto legislativo 28/2010, che a partire dal mese di marzo del 2011 impegnerà medici e pazienti a confrontarsi al tavolo della mediazione prima di arrivare davanti al giudice. L’indubbia finalità è quelle di abbreviare i tempi del contenzioso, favorendo il dialogo, lo scambio, l’ascolto tra medico e malato.
Ma quali possono essere i punti focali per massimizzare il ricorso alla conciliazione ed aumentarne le chances di successo?
L’esperienza dei conciliatori dimostra come (anche) in questa fase risulti decisivo un atteggiamento positivo: un clima collaborativo e realmente comunicativo tra medico e paziente è in grado, oltre che di prevenire il rischio di errori, di limitarne al minimo le conseguenze negative quando essi si verifichino.
Ma in che cosa consiste questo atteggiamento positivo, e come può confrontarsi con la legittima rivendicazione dei contrapposti interessi?
Orbene è dimostrato che in sede di conciliazione l’arroccamento delle parti sulle rispettive posizioni porti a risultati controproducenti; al contrario i dati raccolti negli anni dai conciliatori statunitensi confermano che una condotta improntata al rispetto delle pretese altrui, oltre ad incrementare le probabilità di raggiungere l’accordo, risulti molto spesso decisiva per la bontà dell’accordo stesso. Sulla base di queste considerazioni si rivela meno provocatoria e tutt’altro che controproducente la strategia del noto conciliatore californiano Jeff Kichaven che suggerisce al medico ed al suo avvocato di iniziare l’incontro riconoscendo i propri errori e manifestando alla controparte il proprio dispiacere per la situazione che si è creata. Riconoscere il proprio errore e scusarsene non è certamente esercizio semplice, tanto più in una sede che, seppure diversa dall’aula di un tribunale, rimane istituzionalmente deputata allo scontro e alla rivendicazione degli interessi contrapposti. In una conciliazione per un episodio di negligenza professionale, al medico è perciò consigliato di iniziare la relazione affermando che è dispiaciuto per il fatto che la propria attività abbia avuto un esito diverso da quello sperato, e spiegando quelli che sono stati gli imprevisti e/o le cause che hanno determinato l’insuccesso. E’ infatti dimostrato che queste semplici dichiarazioni, pur non rappresentando un riconoscimento di responsabilità, servano ad instaurare un clima rassicurante, grazie al quale il paziente che ha subito un (maggior) danno si sente considerato ed ascoltato, e a sua volta è disposto ad accogliere con minore riluttanza le ragioni del medico.
Non è un mistero che la gran parte dei pazienti che si ritengono vittime di malpratica medica si trovino ad agire giudizialmente, più che per il risarcimento monetario, poiché animati da un intento revanchista nei confronti del medico che non lo aveva ascoltato e considerato, e che a fronte di una richiesta di chiarimenti si era trincerato dietro una posizione di totale difesa. In tal modo deve essere letto il gran numero di denuncie penali, che mirano principalmente al riconoscimento della responsabilità, e che finiscono per affollare le sezioni penali dei tribunali; e che dopo un periodo di grande incremento, solo nell’ultimo anno hanno registrato una diminuzione.
Allo stesso tempo al paziente è consigliato approcciare alla conciliazione tenendo presente le seguenti circostanze:
1. La medicina non è una scienza esatta. Come tutte le pratiche affidate a valutazioni e manualità umane, è soggetta a errori.
2. Ogni paziente reagisce a modo suo a terapie ed interventi, e se c’è chi sopravvive a patologie gravissime grazie ai suoi geni o al sistema immunitario, o per intercessione divina, c’è moltissima gente che si aggrava e muore, colpita dalla stessa malattia, curata con i medesimi farmaci.
3. Ci sono alcune discipline che per loro natura sono ad altissimo rischio.
Questo non sottintende la completa indulgenza nei confronti del cd. macellaio prestato alla chirurgia, né il passare sopra all’allegro scambio di terapie o di sacche di sangue di qualche infermiere poco avveduto, ma servirà senz’altro a valutare con più serenità gli addebiti nei confronti del sanitario, favorendo il raggiungimento di un accordo.
Evidente appare l’opportunità fornita dal nuovo decreto, che permette a medici e pazienti di confrontarsi in un campo neutro ed in condizioni di assoluta parità, laddove l’osservanza di alcune semplici regole può favorire il conseguimento di un buon risultato capace di indirizzare il rapporto su un piano di collaborazione. Ad avvantaggiarsi dei benefici della conciliazione potrà pertanto essere l’intero rapporto, per cui il recupero di un clima di fiducia ed un atteggiamento meno conflittuale potranno evidentemente condurre il medico a sbagliare di meno ed il paziente a ritrovare la fiducia nei suoi confronti.
2 commenti
Il settore del danno derivante da resposnabilità medica è particolarmente influenzato dalle compagnie di assicurazioni. Occorre che il magistrato punisca severamente le compagnie che non partecipano agli incontri di mediazione.
Com’è possibile accedere alla “conciliazione medica”, in un caso di negligenza medica, che ha portato alla diffusione della malattia ed alla conseguente morte del paziente? Mio marito è morto il 15 maggio del 2007 per un cancro alla laringe, diagnosticato in notevole ritardo. Pur essendo stato colpito dalla stessa patologia, dieci anni prima, operato, curato e tenuto sotto controllo dai medesimi medici del reparto di otorinolaringoiatria, dello stesso ospedale, al momento in cui si sono presentati gli stessi sintomi della prima volta, ai controlli, mensili, non è stato fatto nulla per un’eventuale diagnosi precoce. La cosa è stata trascinata per 8 lunghi mesi. Sono intervenuti chirurgicamente, 10 mesi dopo la comparsa della malattia, i medici di un altro ospedale. Purtroppo a quel punto la malattia era in uno stadio di acanzamento tale, che, 7 mesi dopo l’intervento c’è stata una recidiva inoperabile, che ha portato al decesso un anno dopo.
Sono in possesso di tutta la documentazione comprovante ciò che affermo.
Spero in un riscontro. Grazie.