Sino ad ora, in Italia, le aziende hanno pressochè interamente trascurato la formazione interna in materia di negoziazione e di ADR (acronimo di Alternative Dispute Resolution). Tale fenomeno può essere in parte attribuito all’assenza nel nostro paese di una vera e propria cultura dell’ADR, e in parte alla diffusa credenza che saper negoziare sia una capacità innata. Tuttavia, l’interesse per queste materie e la necessità di conoscere le tecniche di risoluzione alternativa delle controversie è presto destinato a crescere rapidamente, sull’onda di quello che alcuni chiamano il movimento per la “privatizzazione” della risoluzione delle controversie commerciali.
In Italia, come già all’estero, si assiste infatti ad una larga diffusione delle procedure di ADR sia su base contrattuale che legislativa. Da un lato, è sempre più frequente per manager ed avvocati d’impresa sentirsi proporre l’ADR dalle società con cui hanno stretto rapporti d’affari, in virtù di clausole contrattuali che ne prevedono l’esperimento. Dall’altro lato, per fare fronte alla crisi delle forme tradizionali di giustizia, il contesto normativo nazionale si sta sempre più arricchendo di provvedimenti, quali la riforma del diritto societario ed il noto disegno di legge “Cola” sulla conciliazione stragiudiziale professionale, miranti a favorire la risoluzione non contenziosa delle liti commerciali.
In particolare, nell’ottica del legislatore, le procedure di ADR diventerebbero una componente stabile del sistema della giustizia italiana. Gli avvocati, stando ad esempio alla proposta “Cola”, avrebbero persino l’obbligo di informare i loro clienti circa l’esistenza di possibilità conciliative della controversia ed a comprovare la loro proposta attraverso un’apposita dichiarazione nel caso in cui tale opportunità sia valutata negativamente
Per le ragioni di importanza ed attualità sopra esposte, è altamente raccomandabile introdurre corsi di formazione sulle tecniche di risoluzione alternativa delle controversie nell’ambito di programmi di aggiornamento giuridico-economico.
Manager, avvocati e professionisti in genere non possono pensare di improvvisarsi negoziatori. Al contrario, la risoluzione alternativa delle controversie richiede studio e pratica, non diversamente da quanto si fa per affinare altre attitudini umane. L’ignoranza di alcune “naturali” resistenze psicologiche potrebbe loro impedire di trovare soluzioni soddisfacenti per entrambe le parti coinvolte nel negoziato, frustrando quindi gli sforzi volti ad introdurre nell’ordinamento italiano forme alternative – e tutte incentrate sul negoziato cd “assistito” – di composizione dei conflitti. Queste categorie professionali, infatti, non possono pensare di delegare interamente al terzo neutrale il ruolo di ricercare soluzioni che “creino valore” per l’impresa. Il conciliatore, notoriamente, non ha alcun potere decisionale; difficilmente, quindi, egli potrà far accettare ai litiganti soluzioni diverse da quelle che esse stesse siano state in grado di portare, persuasivamente, sul tavolo negoziale.
(Giuseppe De Palo, Paola Bernardini)