Le Corti giudiziarie di molti paesi si trovano ad affrontare sempre più spesso il problema della risoluzione alternativa delle controversie, ed in particolare del rapporto tra questi strumenti e quello tradizionale, vale a dire la decisione del giudice. Per la verità , in Italia come in altri paesi di civil law, anche il tentativo di conciliazione della causa affidato al giudice fa parte della tradizione, e se ne possono trovare tracce già nei primi codici italiani del 17
° secolo, che trasformavano in norme scritte quelle che erano le norme di diritto comune applicate fino ad allora dalle Corti giudiziarie.
L’attuale codice di procedura civile italiano prevede che il giudice, nell’udienza dedicata alla precisazione definitiva delle domande, ascolti le parti e tenti la conciliazione, anche se la previsione è applicabile solo in caso di comparizione delle parti, che non è obbligatoria. Non meno tradizionale è poi la possibilità di ricorrere all’arbitrato, come procedura alternativa al processo ordinario, affidato ad esperti di diritto nominati dalle parti o dal giudice, in caso di disaccordo.
I giudici stessi sono sempre più consapevoli della necessità di riflettere su questo loro compito, ed è stata recentemente fondata anche un’associazione europea dei giudici per la mediazione (GEMME).
Ma noi sappiamo bene che la conciliazione affidata al giudice, ed in particolare al giudice che dovrà decidere la causa in caso di fallimento del tentativo di conciliazione, è qualcosa di molto diverso dalle forme di conciliazione affidate ad un terzo neutrale, ed in particolare alla conciliazione, che oggi rappresenta il metodo di risoluzione più conosciuto, se non più utilizzato.
Non si tratta solo di un problema di capacità , di formazione o di abitudine del giudice a svolgere questo ruolo. Ci sono stati e ci sono tuttora, in Italia ed altrove, giudici che si dedicano con impegno, e spesso con successo, a questo compito, nel corso della causa, anche se, certamente, si tratta di una minoranza, ed il numero delle controversie risolte in questo modo non è significativo, in termini di impatto sul numero delle cause pendenti. Ma è il ruolo stesso del giudice, almeno quello del giudice professionale a tempo pieno, come è stato inteso fino ad oggi negli ordinamenti dei paesi occidentali, a porsi in conflitto con quello di conciliatore, e la stessa conciliazione giudiziale prevista dai codici si basa, storicamente, su una filosofia molto diversa da quella dell’ADR, benchè possa essere certamente adattata a nuove esigenze.
E questa è già una prima risposta al tema di questo dibattito. Noi tutti sappiamo quanto importante, se non decisiva, per il successo del tentativo di conciliazione sia la riservatezza della procedura e di quanto le parti dicono davanti al conciliatore, riservatezza che deve essere garantita sia nei confronti delle altre parti sia nei confronti del giudice.
Nell’ambito di una causa, evidentemente, nessuna riservatezza è possibile, almeno nei confronti del giudice che svolge il tentativo di conciliazione, anche quando ascolti le parti separatamente. Le parti in genere non sono disposte ad esprimersi del tutto sinceramente dinanzi al giudice. L’esperienza di molti paesi dimostra al contrario che esse tendono a considerare ogni loro concessione come una manifestazione di debolezza, o un’ammissione delle ragioni dell’altra parte che il giudice non potrà dimenticare, quando deciderà la causa.
Il giudice, del resto, è solitamente restio ad esprimere opinioni sulla fondatezza delle ragioni delle parti, in questa fase del processo; addirittura in alcuni paesi, come l’Italia, il giudice che esprima simili opinioni può essere ricusato. Egli pertanto dovrà limitare le proprie proposte di conciliazione a quelle tradizionali, e banali, che prevedono semplicemente che ciascuna delle parti rinunci totalmente o parzialmente alle proprie pretese, proposte che hanno scarse possibilità di successo. Per la verità , in qualche caso, il giudice potrebbe anche proporre forme di accordo che rientrano nello schema di una vera e propria conciliazione, basate sugli interessi delle parti, e che non richiedono di esprimere le proprie valutazioni sul merito della causa. Ma ciò, evidentemente, renderebbe necessaria una preparazione specifica da parte del giudice e un’adeguata disponibilità di tempo, ed è raro che il giudice si trovi in una simile situazione.
L’esperienza ci insegna poi che esiste anche un terzo aspetto problematico: il rischio che il giudice, esplicitamente o meno, influisca in modo paternalistico sulle parti della causa, inducendole ad accogliere le sue proposte per il timore, in caso contrario, di una decisione sfavorevole da parte della Corte. Penso che questo sia un rischio molto grave, perchè, come affermò già nel 1865 il ministro della Giustizia italiano presentando il nuovo codice di procedura civile, la conciliazione della causa è il miglior risultato che si possa ottenere, ma solo quando rappresenta una libera scelta delle parti.
Tuttavia, si deve dire che esistono, anche in Italia, giudici che ritengono non solo corretto, ma assolutamente doveroso che sia la Corte a guidare la conciliazione tra le parti, per assicurare la tutela delle così dette parti deboli, ed evitare che, senza la supervisione di un organo pubblico imparziale, queste parti, come può avvenire ad esempio nelle cause dei consumatori o di lavoro, possano accettare soluzioni solo apparentemente vantaggiose, ma completamente inadeguate, sia perchè non sono in grado di valutare in modo appropriato i propri diritti, sia perchè le loro risorse economiche non gli consentono di condurre una lunga controversia giudiziaria. Questi stessi giudici considerano generalmente con sospetto le conciliazioni che avvengono presso istituzioni private, in quanto non darebbero le stesse garanzie, favorendo gli interessi delle parti più forti sul piano economico, ed attuando in sostanza quella che talvolta si definisce in modo negativo come un esempio di privatizzazione della giustizia.
Credo pertanto che queste preoccupazioni debbano essere attentamente valutate, ma che non possano giustificare alcun pregiudizio ideologico contro la conciliazione e le altre forme di ADR. La disuguaglianza di posizioni delle parti è certamente una realtà , in molte controversie, ma i suoi effetti non sono affatto limitati ai procedimenti di risoluzione alternativa, e si estendono ai procedimenti giudiziari dinanzi alle Corti. Si tratta di una preoccupazione che appare particolarmente fondata per quanto riguarda le controversie che coinvolgono intere categorie di soggetti, le c.d. Class Actions, della cui introduzione anche in Italia si è cominciato a parlare, e che, certamente, così come avviene del resto negli stessi ordinamenti di origine, richiedono, in caso di accordo tra le parti, ed in relazione all’effetto vincolante che tale accordo avrà per tutti gli interessati facenti parte della categoria, la valutazione positiva del giudice.
Per cercare di garantire il rispetto dei diritti delle parti più deboli, però, ciò che è veramente importante non è tanto, e soltanto, la presenza di un giudice, quanto quella di un difensore, e di un difensore che sia preparato ad assistere la parte tanto nel processo che nelle procedure alternative. E’ per questo che è necessario porsi il problema di fornire questa assistenza alle parti che non sono in grado di pagare le spese per un difensore, così come è necessario che gli avvocati siano pronti ad assistere le parti anche nei procedimenti di ADR, compito che richiede una preparazione specifica.
Le Corti giudiziarie possono sicuramente avere un ruolo nella stessa gestione diretta di procedure di risoluzione alternativa delle controversie, come del resto avviene già in alcuni paesi. Tuttavia, perchè questo ruolo possa essere svolto in modo corretto ed efficace, occorre dare vita ad attività di formazione specifica dei giudici, alla creazione presso le Corti di strutture dedicate alla preparazione dei casi e alla scelta delle procedure più adatte, con l’impiego di adeguati sistemi di gestione della causa.
Se vogliamo però che l’ADR possa essere svolta efficacemente anche dai giudici, credo sia ugualmente necessario che la conciliazione, o le altre forme di ADR, siano condotte da un giudice diverso da quello al quale la causa è assegnata. La legge italiana, in realtà , già prevede una simile possibilità , in quanto la Corte del giudice di pace può procedere al tentativo di conciliazione di qualunque controversia, anche di quelle da trattare davanti a Corti superiori, ma ciò è possibile solo prima dell’inizio della causa, e, nella pratica, la previsione ha avuto finora una rarissima applicazione.
Un altro punto da esaminare, forse il più importante, riguarda il ruolo delle Corti giudiziarie nell’ADR condotto dai centri esterni che forniscono simili servizi. Per la verità , alcune legislazioni, come quella italiana, prevedono anche un’altra ipotesi: quella di un tentativo di conciliazione obbligatorio quale condizione per poter iniziare la causa, da condurre davanti ad organismi pubblici. Questo avviene ad esempio nelle controversie di lavoro, o in alcune ipotesi di cause contrattuali. Queste previsioni sono state fortemente limitate dalla Corte Costituzionale italiana, per il rispetto del principio del diritto di difendersi dinanzi ai giudici. La legge, secondo la Corte, può prevedere un simile tentativo, ma la parte non è obbligata a comparire e, comunque, il tentativo deve avvenire entro precisi limiti di tempo, dopo il quale la causa può comunque essere iniziata.
Nell’esperienza italiana, queste previsioni hanno avuto un effetto assolutamente trascurabile, in termini di riduzione del numero delle nuove cause, e sono generalmente percepite dagli interessati non come uno strumento per definire la controversia, ma come un ostacolo da superare per poter iniziare il procedimento giudiziario.
L’esperienza di alcuni paesi del sud america, in particolare dell’Argentina, è stata molto diversa. Il tentativo di conciliazione obbligatorio ha avuto, lì, un successo notevole, in termini di numero di controversie definite, che si avvicina al 40% del totale. Ma c’è da notare che in quell’ordinamento il tentativo avviene dopo l’iscrizione della causa, e quindi non ne condiziona l’inizio, ma non può durare oltre 60 giorni.
Personalmente, non ritengo utile la previsione di un tentativo obbligatorio di conciliazione prima dell’inizio della causa, e penso che il successo del tentativo di conciliazione sia maggiormente assicurato dalla libera accettazione delle parti, come dimostra l’esperienza concreta. Il punto centrale e cruciale, invece, è costituito dal ruolo delle Corti nel promuovere e facilitare l’ADR, ed in particolare la conciliazione, nel corso della causa. Un ruolo molto importante, svolto peraltro non solo dal giudice, ma anche dal personale che lo assiste, fin dal momento dell’iscrizione della causa, per la possibilità loro data di informare le parti sull’esistenza di procedure alternative e dei centri ai quali si possono rivolgere. Naturalmente, si dovrà evitare che, in questa fase, alcuni dei centri di ADR siano favoriti rispetto ad altri, e le Corti stesse dovranno stabilire contatti e accordi, anche con gli avvocati, per rendere trasparente e corretta questa attività . Non si può affatto escludere, a questo proposito, che la stessa Corte istituisca una lista di conciliatori ed arbitri indipendenti ai quali chiunque si possa iscrivere, possedendo determinati requisiti. Esiste già , in Italia, qualche esempio in materia, con la creazione di protocolli tra la Corte, l’ordine degli avvocati e la Camera di Commercio, che ha una competenza generale a fornire un servizio di conciliazione per tutte le controversie che coinvolgono i consumatori.
Ugualmente importante è la promozione dell’ADR attraverso sperimentazioni da svolgere nelle singole Corti. Il problema più grave, attualmente, è comunque rappresentato dalla scarsità di conciliatori esperti e professionalmente formati, a prescindere dal fatto che operino dentro o fuori gli elenchi delle Camere di Commercio, senza i quali è illusorio cercare di favorire lo sviluppo delle procedure alternative. Molto importante è anche il coinvolgimento delle imprese, per le quali l’ADR può rappresentare un notevole beneficio, in termini di riduzione dei costi, di durata e gravità dei conflitti, così come il coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche.
In secondo luogo, la Corte può svolgere un ruolo molto incisivo anche nella fase successiva all’iscrizione a ruolo della causa, cercando di individuare i casi nei quali la procedura di ADR abbia possibilità di successo. Per questo motivo, nella fase iniziale della causa, è importante che vi sia la possibilità per il giudice di interrogare le parti e chiedere loro, direttamente, se siano disponibili a svolgere una procedura di ADR, anche al di fuori della Corte, illustrando loro i possibili vantaggi della scelta. La comparizione delle parti dinanzi al giudice è pertanto molto importante, e deve essere favorita al massimo dalle norme procedurali.
In Italia la legge ha recentemente introdotto specifiche previsioni sulla conciliazione nelle cause societarie, prevedendo che le parti possano rivolgersi a qualsiasi centro di ADR esterno alla Corte, ma anche l’istituzione di un elenco di organismi riconosciuti dal Ministero della Giustizia, in possesso di determinati requisiti. Solo gli accordi raggiunti presso questi organismi possono essere utilizzati come titolo esecutivo. Sono stati anche previsti limiti minimi e massimi di spesa per il servizio di conciliazione offerto dagli organismi pubblici.
Altro punto molto importante è rappresentato, poi, dalla possibilità che il comportamento delle parti, in relazione alle procedure di ADR, sia valutato dal giudice ai fini delle spese di giudizio. Un punto questo molto controverso, in quanto la valutazione del comportamento delle parti non può costituire oggetto di valutazione delle ragioni del mancato accordo e del merito delle proposte. Ciò difatti metterebbe a rischio la riservatezza della procedura. Occorre pertanto trovare un punto di equilibrio tra l’esigenza di incentivare le procedure di ADR e quella di evitare che le posizioni delle parti siano conosciute dal giudice, in caso di fallimento del tentativo, rendendo problematico lo stesso svolgimento della procedura. Una soluzione potrebbe essere quindi quella di stabilire che il giudice possa valutare, al termine della causa, la ragionevolezza e la giustificabilità del rifiuto da parte del vincitore della causa di procedere all’ADR, con le necessarie conseguenze in termini di spese di giudizio, almeno nei paesi dove è prevista la condanna alle spese della parte soccombente. Certo non come una conseguenza automatica, ma come una valutazione caso per caso, basata sul comportamento delle parti nella causa e sulla obiettiva incertezza del caso.
Ed in effetti una delle più recenti soluzioni raggiunte in merito alla disciplina delle cause societarie, che ha eliminato la precedente previsione di una piena conoscenza da parte del giudice del merito della proposta formulata dal conciliatore, subordinandola alla richiesta di entrambe le parti, ha certamente eliminato un elemento molto pericoloso, ai fini della stessa praticabilità del tentativo
Conclusioni
L’ADR ed in particolare la conciliazione, rappresentano innegabilmente una grande opportunità , per le parti e per le stesse corti. Costituiscono una grande opportunità non solo perchè vantaggiose sul piano dei costi, in particolare per le imprese, ma anche perchè permettono di giungere a soluzioni più soddisfacenti, grazie alla maggiore flessibilità dello strumento, rispetto alla decisione del giudice.
Non si tratta di scegliere e promuovere l’ADR perchè il sistema processuale dei singoli paesi incontra difficoltà sempre maggiori a trattare in modo rapido ed efficiente le cause, in una situazione che si definisce ormai, in molti paesi, come letteralmente esplosiva. Al contrario, l’ADR ha caratteristiche positive in sè, e, se mai, richiede un sistema efficiente, come migliore incentivo per il suo sviluppo. Esige capacità , preparazione, cura ed organizzazione, tanto alle Corti che agli avvocati che alle singole imprese e a singoli cittadini. Richiede una mentalità adeguata, che certamente può essere favorita, oltre che dai buoni propositi, anche dalle necessità che sempre più ci costringono a cambiare e a modernizzarci.
In questa prospettiva, l’ADR è un’alternativa alla sentenza tradizionale, ma non è alternativa alla giurisdizione, nel senso che può essere compresa in un moderno concetto di giurisdizione. Sono completamente d’accordo con l’affermazione del Lord Chancellor, contenuta nel suo scritto sulla modernizzazione della giustizia, secondo la quale il sistema giudiziario civile esiste per aiutare la gente a risolvere in modo corretto e pacifico le loro controversie.
L’ADR può in conclusione divenire uno strumento importante per una trasformazione della giustizia civile e per una sua evoluzione verso un sistema più flessibile e attento alle caratteristiche del caso concreto. Può in sostanza costituire quella Corte con molte porte di cui parlò Frank Sander, uno dei padri del movimento ADR, nel 1976 in un celebre discorso, e che potrebbe rispondere meglio alle esigenze del nostro tempo.
Marcello Marinari